La
tv mi guarda, ovvero come chiarire il concetto di privacy al gatto.
E'
successo di nuovo, Filippo, ho avuto la netta sensazione che la televisione
mi stava spiando, mentre la stavo guardando. Lo chiederò al Garante
perché sono convinto che stanno violando la mia privacy, caro
il mio gatto! Dopo essere scrutato dalle telecamere delle banche, dei
supermarket e degli incroci, fotografato dai turisti, ridotto a non
avere diritto d'esistere senza codice fiscale, questa nuova sensazione
mi sta facendo impazzire. Capisco che a te come gatto la privacy non
interessa, ma a me come umano, Sì, ho diritto alla mia vita privata,
lo dice la Legge.
Quando qualcuno dei "loro" fissa la telecamera, lo sento:
mi sta fissando e sta anche sbirciando la casa ed è imbarazzante,
non credi? Potrei non essere presentabile e avere la casa in disordine.
Ricordo che da ragazzo avevo una collaboratrice domestica che, prima
di sollevare la cornetta del telefono per rispondere, si passava le
dita tra i capelli per aggiustarli e mentre rispondeva si raddrizzava
anche il grembiule, per non dimenticare un cortese sorriso di circostanza.
Forse quella donna mi ha condizionato e non me ne sono reso conto.
E' sgradevole pensare che la giornalista del telegiornale del mattino,
bella e agghindata come se dovesse partecipare ad un party tra V.I.P.,
mi possa vedere spettinato, con la barba da regolare, l'espressione
un po' persa di chi si è appena alzato dal letto e, a fatica,
si rende conto che la giornata è iniziata. E' per questo motivo
che la mattina mi limito ad ascoltare la radio, tanto per evitare di
farmi vedere impresentabile. Per difendere la mia privacy. In sostanza,
accendo la tv solo quando mi sento a posto e a mio agio. Lo dovrebbe
essere anche la casa, ma cosa pretendono? Non abitiamo una villa sulla
Costa Azzurra! Posso, al massimo, togliere la polvere, raddrizzare un
quadro, darci una sistematina alla buona, ma farla arredare da un arredatore
di grido non è possibile. Noi siamo tipi comuni, amico mio, anche
se tu credi di essere il gatto di JR di Dallas, perché la fai
sempre da padrone. La nostra casa non merita di apparire sullo schermo.
Di solito, si vedono case fantastiche, straricche e penso alle popolazioni
dei Paesi poveri che ci guardano con la convinzione che ad Occidente
sia tutto America: un posto dove tutti sono favolosamente ricchi, belli
ed eleganti e mai poveracci. Penseranno che in Occidente non sia nemmeno
acconsentito essere brutti e poveri e si nasca già benestanti.
Crederanno che ogni casa abbia la piscina e le cucine un frigorifero
grande come un armadio quattro stagioni. Pieno, ovviamente. La gente
guida automobili lunghe come TIR e se possiede una barca, assomiglia
al panfilo di Onassis, come minimo. Una bella differenza che salta all'occhio
e al cuore, se si è costretti a vivere di miseria in una stamberga
e lavorare duro, se si è tanto fortunati da trovare un lavoro
appena sufficiente a sfamare l'intera famiglia. Non c'è da meravigliarsi,
dunque, che tutti vogliono venire da noi. D'altronde, siamo sinceri,
anche se qui non siamo a Hollywood, è indubbiamente meglio di
quanto la vita offre loro. No? Oltre a tutto, qui sembra che tutto si
sprechi, ed è anche vero se ci pensi bene, considerando l'immagine
che diamo di noi. Ma sto divagando, torniamo alla televisione che mi
guarda e alla privacy.
Bubbole, dirai tu, da gatto pragmatico, la televisione è come
una pistola: funziona in un solo verso, "andata" e non come
un boomerang che è "andata e ritorno" ed è impossibile
che dallo studio televisivo mi possano vedere. Ma ne siamo assolutamente
sicuri? Oggi la tecnologia fa miracoli: puoi scattare foto col cellulare,
scrivere e-mail, chattare e scambiare immagini con un esquimese che
se ne sta comodamente al caldo nel suo igloo, utilizzare telecamere
così sottili che ti scrutano nel corpo, tanto che tra un po'
non potremo nascondere nemmeno i sentimenti. Per non parlare poi delle
intercettazioni telefoniche e delle banche dati che, a pensarci bene,
mi fanno impazzire. Sì, mi angoscia sapere che qualcuno ascolta
le mie ciance, conserva i miei e-mail e i messaggini del cellulare.
Penso a queste orecchie indiscrete, memorie impudiche, che si perdono
dietro a me. Roba da pazzi! Ma che cosa gliene frega a questa gente
di me? Neanche fossi Osama bin Laden!
Per non parlare del concetto di qualità. Perché oggi è
tutto qualità, origine controllata, marchi e, da ultimo: bollini
blu. Beh, io questo bollino blu non lo ho e, fatta salva la fiducia
che ripongo in mia madre, assoluta, non sono del tutto certo nemmeno
delle mie origini, della mia qualità come prodotto umano. Posso
auto certificarmi, ma solamente da quando ho cominciato a capire, interpretare
il mondo che mi circondava, rendermi conto delle mie azioni, dei miei
comportamenti, che avrebbe dovuto iniziare più o meno con l'eliminazione
dei Pampers, suppongo. Se continua così, in un futuro prossimo,
che fine faranno quelli che non sono in grado di esporre il loro bollino
blu? Saranno esiliati su Marte e privati anche della televisione? Già,
perché, mettiamo il caso che la mia sensazione non è solamente
un prodotto dall'immaginazione, ma realtà, la giornalista di
prima potrebbe anche rifiutarsi di informarmi. Quali garanzie posso
darle di essere uno spettatore D.O.C. e non uno inaffidabile, magari
un falso? E' qui, casomai, che entra in gioco la reciprocità.
Lei è iscritta al suo Albo, ed io? Chi sono io che l'ascolto
e apprendo le notizie? Quali garanzie potrei darle d'averle recepite
al modo giusto e, perché no, di essere in grado a mia volta di
raccontarle agli amici al bar? Non c'è nulla da fare: il nostro
è ormai un mondo di mistificazioni, copie fatte in Oriente, falsi,
roba da vucumprà. Siamo tutti potenziali ospiti di Mi manda Rai
Tre e di Striscia la Notizia.
Ma perché diavolo sono finito col mettere in dubbio anche me
stesso? Solo per il pensiero di essere spiato dalla televisione? Per
difendere la mia privacy?
Ecco cosa capita a guardare troppo lo schermo, uno finisce col perdere
la realtà, col farsi condizionare. Dovremmo leggere di più,
passare le serate con un buon libro e scorrere le righe per trovare
quelle parole, quei concetti che, con molta più calma, ci fanno
capire, ragionare a mente fredda. Aiutano a farci un'opinione o a cambiarla,
se è il caso. Pungolano la nostra fantasia, la mettono in moto
perché ci obbligano a guardare con la mente e non con gli occhi
come fa la tv.
Sì, la televisione ci rapisce anche se non ci guarda, ci priva
di noi stessi. Ci afferra e ci porta nel suo mondo fatto di notizie,
immagini, suoni, battute, angosce e divertimenti continui, il tutto
senza darci respiro, senza considerarci come fa uno scrittore mentre
scrive e sceglie il modo migliore per raccontare, per essere compreso,
per dare il messaggio che ha dentro. E senza bollini blu e nemmeno certificati
d'origine controllata. Privo di colori che confondono e suoni che frastornano
le orecchie.
Intanto, in ogni caso, mi darò una sbirciatina con calma, non
vorrei trovarmi addosso un ideogramma cinese e scoprire che non sono
io ma un'imitazione di me spacciata alla mia mamma cinquantacinque anni
fa e, giacché ci sono, controllerò anche te, Filippo.
Con tutta l'elettronica che ci circonda, tu potresti essere un gatto
cibernetico e non un trovatello come ho creduto finora ed emettere anche
una radiazione pericolosa.
Ma che fai? Tiri su il pelo e mostri le unghie? Scherzavo sciocchino.
Solo un gatto autentico è in grado di fare a striscioline tutte
le fodere delle poltrone come fai tu. Nessuno sarebbe così abile
da costruire un gatto artificiale talmente dannoso. Nemmeno i Giapponesi.
paolo
carbonaio
Pubblicato
nella rubrica "Sottocoperta"
del settimanale on line |
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