TV
diseducational. Piccolo schermo, ogni giorno va in scena la fiera delle
illusioni.
Ho
gusti televisivi semplici: i telegiornali, un buon film e i programmi
culturali. Quelli sugli animali non li guardo più, mi angosciano,
ne ho abbastanza del sadismo degli operatori che prima mi fanno intenerire
per un cucciolo e poi tirano fuori il predatore e patatrac! A volte
ascolto qualche dibattito se l'argomento è interessante, saltando
continuamente tra un canale e l'altro, molestato dagli intermezzi pubblicitari
che mi fanno scattare l'indice sul telecomando. Grande invenzione il
telecomando, mi esalta come un pilota da caccia che abbatte gli aerei
nemici.
Dopo la prima esperienza scioccante, rifuggo come la peste i programmi
dove una platea di spettatori segue una coppia di disperati che litiga
sugli affari loro, "ammaestrati" da una conduttrice che, con
maligna perseveranza, continua a riattizzare la discussione per trasformarla
in rissa. Ricordo che lui era un ragazzo, aveva capelli impomatati,
barba trascurata, orecchino con crocetta, jeans strappati, mentre lei
portava i capelli esplosi color carota finta, un trucco da Semiramide
ed ai piedi scarponi da lagunare. Si palleggiavano la colpa di qualcosa
che aveva messo in crisi la loro relazione, tra vari "sì
ma tu hai detto
ma allora non hai capito
però quella
volta
eppure sai che ti amo
e dove lo metti il sentimento
perdonami
vorrei
ma non posso
", il tutto incessantemente interrotto dalla
domatrice incendiaria che si arrabattava ad eccitare gli animi. Non
riuscivo a raccapezzarmi, mi ero perso l'inizio e, tutto sommato, era
una discussione su fatti dei quali non me ne importava assolutamente
nulla. Ma quelli che m'impietrirono furono gli spettatori, completamente
presi dal problema dei due. Intervenivano accalorati, accapigliandosi
tra loro. Da rimanere sconcertati. C'era la signora elegante che dava
consigli, soddisfatta perché finalmente poteva occuparsi dei
fatti altrui, dimenticando i propri. S'infervorava nel perorare la causa
di lei come un crociato alla difesa di Gerusalemme e rintuzzava mordace
gli assalti degli altri spettatori che volevano dire la loro. Me la
immaginai sposata e provai pietà per il marito, come per il cucciolo
dei documentari. Dopo di lei, prese la parola un signore molto distinto
che brandiva il microfono come Mosè il bastone, mentre divide
le acque del Mar Rosso. Precipitai nel panico: era un pontificatore.
Il suo non era un intervento ma un'enciclica, mancava solamente l'inizio,
Populorum progressio. Le sue certezze erano assolute. Era il Verbo.
Nessuno dei presenti fu in grado di azzittirlo. E' la razza più
pericolosa che abbia mai calpestato il pianeta, peggiore del Tirannosaurus
Rex! Anche la domatrice sembrava in crisi e io mi sentivo come un eretico
al processo, mentre il tribunale dell'inquisizione si perde in giaculatorie
e sofismi che mi sarebbero costati la dannazione e la vita. Fu l'intermezzo
pubblicitario a salvarmi. Ruppe l'incantesimo, mi riportò alla
vita, la mia, e per riconoscenza mi guardai i primi cinque spot, prima
di spegnere e scappare via.
La
nostra dovrebbe essere una televisione per famiglie e allora me la immagino
la famiglia tipo, seduta attorno al tavolo, i piatti ancora da togliere,
la brocca dell'acqua ed il cartone di Tavernello. Lui, operaio in fabbrica
con la vita scandita dalla sirena dei turni, lei casalinga ed il figlio
studente. Alla TV, un programma d'intrattenimento spezzettato dalla
pubblicità, che ha l'unico pregio di dare il tempo di scambiare
due parole o andare a fare pipì. Sullo schermo, un gruppo di
ospiti e un conduttore noto, in un continuo intercalare di chiacchiere,
musica e applausi. Gli spettatori si divertono, lo studio è pieno,
per loro è una giornata diversa, forse anche remunerata. Una
giornata ben diversa da quella della famiglia che attorno non ha uno
studio televisivo o un teatro, ma il tinello con qualche riproduzione
di quadri famosi e sulla credenza paccottiglia, ricordo di un viaggio
a Venezia o in Sicilia. I tre non applaudono a comando, anzi non applaudono
affatto e si limitano al massimo a qualche sorriso o commento, coperto
dal cicaleccio della televisione.
Ospite della trasmissione, oltre a qualche personaggio famoso, gente
un po' strana che si potrebbe considerare normale, comune, ma che spesso
normale non è, e tanto meno comune. Tra loro c'è n'è
uno che racconta divertito la sua vita di truffe, raggiri e imbrogli.
E' simpatico. Ormai in pensione, si è ritirato dall'attività,
quella di fregare il prossimo. Ha anche pagato col carcere, intendiamoci,
non deve più nulla alla Società, tanto che ora se la può
lecitamente ridere tranquillo e godere quella notorietà che la
televisione dispensa con tanta generosità. L'ospite potrebbe
anche essere un malato di gioco che si è speso tutto al video
poker, i soldi suoi e quelli degli altri e ne ha fatto un libro accaparrando
così assieme notorietà e diritti.
E'
il fascino dei 21 pollici, quello del volto sconosciuto che improvviso
entra in milioni di case e si spoglia dei panni sporchi per fare audience,
per fornire spettatori ai prodotti degli spot. E' denaro nuovo per chi
se l'è bruciato al gioco, oppure non ha saputo guadagnarselo
onestamente.
Poi ci sono i casi pietosi, che coinvolgono emotivamente e quelli farseschi,
di giullari che vendono fumo travestendosi da maghi e veggenti, che
abusano della credulità altrui e hanno trovato il modo di far
rendere la loro studiata estrosità, dando spettacolo per i crapuloni
pronti a bersi anche le turlupinature più evidenti, più
smaccate, grazie a queste maschere artefatte create apposta da una regia
scarsa di scrupoli.
Ultimo caso risaputo, l'intervista ad un serial killer, il tutto in
orario di grande ascolto, per i più giovani che potranno acculturarsi
ascoltando i suoi pensieri e suoi ragionamenti, e mi domando che compenso
avrà ricevuto questo assassino, per avere la soddisfazione di
raccontarci di lui, invece di stare in cella ed essere dimenticato fino
alla fine dei suoi ergastoli. Quale sarà stato l'audience e il
ritorno economico per la TV per averci offerto un tale momento d'emozione,
quei primi piani del viso di un pluri omicida. Mi chiedo anche cosa
avrà provato chi ha sofferto per le sue uccisioni.
Ma
sarà giusto così? Cos'ha di positivo questa commedia continua,
fatta per catturare la nostra attenzione, il nostro interesse? Non si
avverte qualcosa di sbagliato, una stonatura, una presa in giro?
Con o senza canone o spot pubblicitari, questo schermo ci deride con
le sue patetiche facce sorridenti. Deride l'onestà, il sudore
del lavoro, i pericoli che tanti rischiano per svolgerlo, la monotonia
di vite grigie, di domeniche a guardare le vetrine dei negozi chiusi.
C'incanta, mostrandoci personaggi fuori delle righe, che recitano l'ennesima
impostura della loro vita tra applausi programmati. Abbindola i giovani
e mostra loro un mondo di cartapesta dove la fama sembra tanto facile
da raggiungere, dove bastano una parrucca, pochi scrupoli, qualche eccesso
scambiato per coraggio, che in realtà è solo inconsistenza,
e si arriva alla notorietà. C'illude che è facile sedere
accanto a splendide donne, attori famosi e diventare parte del mondo
dei lustrini e dei grossi guadagni, mentre invece la vita è diversa
e ad alcuni fa credere di non aver saputo fare altrettanto, deprezzando
la loro realtà e forse rendendola inaccettabile.
Ed è amaro, allora, la mattina dopo alzarsi e riprendere al suono
della sirena della fabbrica.
paolo
carbonaio
Pubblicato
nella rubrica "Sottocoperta"
del settimanale on line |
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