Ulisse
2000 - l'Odissea, ovvero viaggiare in treno.
Sono
tornato, ma non chiedetemi del viaggio perché ancora non sono
completamente sicuro di essere qui, finalmente a casa davanti al computer.
Faccio fatica a credere di essere ancora vivo e non il mio fantasma
che torna sulla terra a mettere in guardia i mortali dai perigli del
viaggiare. Non mi meraviglierei, se invece di farlo su di un treno delle
nostre ferrovie, avessi fatto lo stesso percorso sulla diligenza di
Ombre Rosse. Assalti indiani e l'assenza di Ringo a parte, l'esperienza
non sarebbe stata troppo diversa.
Le ferrovie dovrebbero avere come slogan "Vivete un'Odissea con
noi" e come testimonio il mitico eroe Ulisse, perché la
mia, come la sua, è stata una vera vicissitudine. Un'Odissea
iniziata già alla stazione di partenza perché poche notizie
possono sconvolgere un viaggiatore durante l'attesa sotto una pensilina
affollatissima e senza una panchina disponibile, quanto l'apprendere
da un altoparlante che il suo treno, oltre ai passeggeri, porta un ritardo
di venti minuti.
E' l'inizio dell'incubo e i pellegrini più pratici capiscono
che sta per prendere loro lo stesso scoramento che colpirebbe i viaggiatori
della diligenza scoprendo che gli indiani che li inseguono sono assai
più numerosi dei fili d'erba della prateria. S'inizia allora
a tendere le orecchie a quel gracchiante marchingegno, consapevoli che
al primo annuncio seguiranno altri e difficilmente saranno messaggeri
di buone novelle.
Si sentono i primi mugugni, qualche maledizione e svariati e coloriti
commenti sulle discusse qualità del governo e delle ferrovie
ed è un crescente che va aumentando con i nuovi annunci che sentenziano
che da venti minuti il ritardo del treno è passato ai venticinque,
trenta, quaranta, cinquanta... con il passo demoralizzato del condannato
che sale i tredici scalini del patibolo.
La febbre dell'incertezza si diffonde e l'intero popolo della pensilina
sembra composto di marionette con i fili collegati alle scatole parlanti,
sempre più antipatiche, da cui un annunciatore ostile, sanziona
la pena a cui saranno condannati per aver preferito la strada ferrata
alle autostrade brulicanti di mandrie d'autotreni e automobilisti assatanati,
oppure all'autostop.
Il lungo marciapiede della pensilina si trasforma in una babilonia perché
ai mesti viaggiatori del treno fantasma si aggiungono nel frattempo
quelli dei treni che, per bontà divina, si materializzano sullo
stesso binario e sguardi pieni di sdegnosa invidia accompagnano i favoriti
dalla sorte che riescono ad infilarsi nei vagoni e a lasciare quella
landa di sofferenza.
L'annunciatore, intanto, sembra essersi scordato di loro, scampoli della
migrazione quotidiana e continua ad informare il mondo ferroviario di
treni che viaggiano in orario, arrivano, partono e fanno il loro mestiere
onestamente. Annuncia anche le novità che dovrebbero migliorare
il servizio e lo fa con orgoglio e per sua fortuna chiuso in qualche
anonimo ufficio della stazione, perché se lo facesse direttamente
a voce, tra quegli sventurati, finirebbe come minimo lapidato con i
ciottoli raccolti tra i binari.
L'annuncio che il treno della speranza sta finalmente per arrivare,
quando si diffonde è normalmente incomprensibile, coperto da
scariche statiche, il vociare della gente e lo stridio di un altro treno
che si sta fermando. Un rumore molesto che puntualmente prende alla
sprovvista lasciando tutti raggelati.
La pensilina si rianima, mentre i viaggiatori dimenticati s'interpellano
angosciati tra loro, cercando di ricostruire il messaggio dell'altoparlante,
unendo tra loro le poche sillabe che ciascuno è riuscito a captare.
Un lavoro da crittografi.
Il
panico comincia ad invadere il marciapiede perché il treno arriva
veramente, bontà divina, ma su di un altro binario! Non sarà
il numero sei dove tutti ormai s'erano così bene ambientati da
sentirsi quasi a casa loro, ma il numero undici che, sul momento, sembra
una sconosciuta località agli antipodi del mondo.
Inizia una fuga disordinata, una cavalcata allucinante in un sottopassaggio
gremito di folla come un rifugio antiaereo durante l'incursione nemica.
Il binario undici, la nuova destinazione, diventa l'ultima spiaggia,
una zattera alla deriva che si deve assolutamente raggiungere prima
di rimanere avviluppati dalla folla degli altri viaggiatori, che sembrano
indifferenti alla loro travagliata situazione e li ostacolano con valigie
e borsoni. Squali che vogliono impedirgli di raggiungere la salvezza.
La tensione è al massimo, l'ansia scuote i petti, il sudore annebbia
la vista e le rotelle delle valigie si rifiutano di girare sotto un
peso che aumenta metro dopo metro, finché si esce dall'inferno
a riveder le stelle e, gioia e apprensione, si scopre che il treno è
già arrivato e attende di sfamarsi di nuova carne e non si sa
per quanto rimarrà così, a bocche spalancate.
Inizia un nuovo assalto e i meschini si trasformano in lanzichenecchi,
decisi a prendere la rocca e i suoi tesori. Chi vuole raggiungere il
vagone numero uno è costretto a salire sul numero dodici, mentre
chi ha la prenotazione per il numero undici è costretto a salire
sul numero tre. Ma poco importa al momento, salire è l'unico
desiderio in assoluto, una missione, la conquista del Sacro Graal, fuggire
dalla stazione, dal Caos. Dimenticarsi il tempo delle attese e delle
incertezze.
A
bordo l'angoscia si attenua e si comincia a viaggiare ma a piedi lungo
interminabili corridoi alla disperata ricerca del tanto agognato sedile
prenotato, abbarbicati al proprio bagaglio. Si consuma così una
buona parte del viaggio perché i vagoni sono tanti ed i corridoi
strapieni di valigie e viaggiatori molti bisognosi di una sana dieta
dimagrante e spesso anche di un affidabile deodorante. E' un vero percorso
di guerra, e mentre si cammina il treno, grazie a Dio, fa lo stesso
e per certi sembra di tornare in stazione mentre per altri sembra che
il viaggio verso la loro destinazione lo fanno a piedi.
Raggiungere finalmente lo scompartimento giusto è una gioia incomparabile
che riempie gli occhi di lacrime, è la salvezza ed il peggio
è passato. Si sistema il bagaglio e finalmente ci si può
accomodare, sotto lo sguardo di posticcia indifferenza degli altri passeggeri,
quelli già a bordo, pacifici come turisti a prendere il sole
godendosi il panorama. Qualche sorriso di circostanza, un convenevole
e, poi, il solito balletto timido ed impacciato per trovare una sopportabile
posizione per gambe e piedi, disperatamente bisognosi di un po' di riposo.
Il resto del viaggio ha una trama piena d'incognite: funzionerà
l'aria condizionata o il riscaldamento? Sarà possibile raggiungere
il w.c. prima che almeno un'altra decina di ardimentosi compagni di
sventura decidano improvvisamente di conquistarlo come la vetta dell'Everest?
Passerà il carrello delle bibite, oppure s'incaglierà
in qualche corridoio tra secche di valigie e viaggiatori d'assalto privi
di prenotazione?
Poco importa, nonostante il ritardo, i disguidi e i malfunzionamenti,
il treno va e finché va c'è speranza d'arrivare.
paolo
carbonaio
Pubblicato
nella rubrica "Sottocoperta"
del settimanale on line |
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