L'indifferenza
Sai,
Filippo, mi ha sempre infastidito chi chiama animale qualcuno per il
suo modo di agire, per la sua crudeltà, perché è
un'immagine sbagliata, un raffronto che non regge. Certi comportamenti
come uccidere senza necessità, infierire sulle vittime, torturarle,
sfruttare i più deboli, non fa assolutamente parte del tuo mondo,
ma del mio, di noi umani che siamo capaci di farlo sia nei vostri, sia
nei nostri stessi confronti.
E' pura barbarie e, come sai, la barbarie non vi è mai appartenuta
dalla Creazione in poi. E' nata con l'Uomo, si è diffusa, raffinata
e nessun vaccino è in grado di debellarla. E' la conseguenza
di certe caratteristiche che voi non avete, come l'odio, il fanatismo,
il settarismo, l'ingordigia, l'assoluta indifferenza per il dolore altrui,
l'egoismo. Le abbiamo nel sangue, nei ricordi atavici che ci accompagnano
nel cammino della nostra evoluzione. Ma è anche l'indifferenza
un lato negativo degli uomini, o almeno di una buona parte di loro,
perché alimenta la barbarie altrui non contrastandola.
Già con gli animali mostriamo il nostro disinteresse assistendo
indifferenti al trasporto dei vitelli da macello, all'utilizzo di animali
nei giochi violenti, nei combattimenti, all'indegna prigionia in allevamenti
intensivi, ai crudeli esperimenti da laboratorio, alla loro eliminazione
per ricavarne pellicce. Utilizziamo gli animali per il nostro benessere,
il nostro piacere e divertimento, perché, sotto sotto, non li
consideriamo come noi, convinti come siamo, da un concetto religioso
sbagliato, di essere la razza dominante, quella a somiglianza di dio,
unica detentrice del diritto di decidere sull'esistenza degli altri
esseri viventi su questo precario pianeta, che continuiamo a distruggere
per autolesionismo.
Ci illudiamo, giunti nell'Era Moderna, che con l'abolizione della schiavitù,
con la Carta dei Diritti dell'Uomo, con il diffondersi di principi democratici,
di essere migliorati, civilizzati, ma non è così.
Perché è l'indifferenza che ci frega, quella nei vostri
confronti e anche nei nostri.
Riscopriamo ora che la schiavitù non è affatto scomparsa.
C'è ancora. Non sono più visibili i ceppi, gli schiavi
prelevati in Africa e venduti per le piantagioni americane, le carovane
di gente costretta ad attraversare deserti per arrivare al mercato dove
sarà messa in vendita e ci restano solo scene disegnate su vecchie
stampe, raccontate nei libri e rivissute artificiosamente in serial
televisivi e questo ci basta, ma la realtà è ben diversa.
Le navi negriere ci sono ancora e hanno la forma di gommoni, vecchi
pescherecci, consunte navi da carico condannate all'ultimo trasporto.
Con questi mezzi indegni arrivano nuovi carichi di schiavi e schiave,
importate dai paesi dell'Est, dall'Africa e dal Sud America e messe
sul mercato come oggetti da consumare e poi gettare dopo un intenso
sfruttamento da parte di questi nuovi negrieri del ventunesimo secolo.
Certo, si sa, la prostituzione è vecchia come il mondo e fino
a pochi decenni fa i clienti andavano a soddisfare i loro bisogni nelle
case di tolleranza, da certe professioniste che quella vita, perlopiù,
l'avevano scelta e la domanda condizionava l'offerta. Ora invece questa
"merce" d'importazione invade le strade, l'abbiamo sempre
a disposizione, obbligata a servire le voglie altrui con la violenza
e la coercizione. Le schiave non sono più nei mercati, incatenate
ai ceppi nell'attesa dell'acquirente, ma sono sui marciapiedi, in affitto
e non vediamo le loro catene, caso mai dei sorrisi tristi.
Il mercato è cambiato, la domanda è relativa, secondo
me, perché l'offerta è in pratica senza limiti, tanto
queste nuove schiave provengono da un serbatoio senza fondo, quello
della miseria e l'approvvigionamento è assicurato.
Allora mi chiedo, anzi, chiedo a coloro che a questo mercato si rivolgono
da "consumatori": come fanno a rimanere indifferenti? Con
quale benda coprono gli occhi della loro coscienza? Perché si
sa che questa è schiavitù e si conoscono le violenze che
le donne subiscono, le crudeli regole a cui devono sottostare. Così
come chiedo a quelli che i minori li vanno a cercare qui e all'estero
per i loro indegni desideri: Come fanno?
Magari s'indignano per il buco nell'ozono, per la distruzione delle
foreste amazzoniche, per chi compra pellicce, per un canile dove i cani
si maltrattano e contro quelli che d'estate li abbandonano sulle strade.
Tutti motivi più che validi per indignarsi e vanno contrastati,
ma il resto? Vale il lamento del conte Ugolino, che "più
del dolor poté il digiuno"?
Certo che non spetta a questi pruriginosi combattere il fenomeno. E'
lo Stato che ci deve pensare e non con l'apertura di villaggi del piacere
o case chiuse che è in fondo un palliativo se a gestirle è
la malavita, ma con il braccio di ferro, quello di Leggi severe e soprattutto
applicate veramente, con la distruzione di quel perverso meccanismo
composto di sfruttatori, passeur, organizzazioni mafiose e miseria morale
ed in quest'ultima c'è spazio anche per i clienti e la loro indifferenza.
paolo
carbonaio |