LE RADICI DEL MALE

Sono nel terreno su cui camminiamo da sempre, a volte riaffiorano appena, altre esplodono verso l'alto generando l'albero delle intolleranze, della xenofobia violenta e cieca. Sono le radici dell'antisemitismo. Non hanno un seme comune e nemmeno un'aiuola definita e quando crescono non guardano in faccia nessuno e non sempre si colorano di parte, ma si alimentano di motivazioni diverse. Radici le cui origini affondano nel primo cristianesimo bisognoso per affermarsi ed espandersi di coprire la sua genesi, l'ebraismo stesso.
Allora non rimaneva che rinnegare le origini, fare una rilettura di comodo del Vecchio Testamento, mettere all'indice l'antica religione e chi la praticava con la calunnia dell'anticristo. Farne degli assassini, dei crocifissori. Denunciare e perseguitare un popolo e la sua religione, che non ha saputo riconoscere il Messia e continua tenacemente ad attenderlo. Una lenta e continua denuncia, fatta d'emarginazione, discriminazioni, calunnie e disprezzo. E, sebbene tardiva, a cancellare questa mentalità non è servita nemmeno la dichiarazione approvata con il Concilio Vaticano Secondo del 1965 con la quale la Chiesa ritirava le accuse di deicidio rivolte agli Ebrei perché non fondate. Queste radici, come un virus, hanno attecchito così bene che ancora oggi, nel terzo millennio, fanno parte della nostra "cultura", delle nostre assorbite e mai sradicate definitivamente memorie storiche. Quando, anche inconsciamente, vestiamo gli Israeliti con gli abiti dell'usuraio, del commerciante senza cuore e senza scrupoli.
Sul cammino di questo popolo che non riusciamo spesso a comprendere, così com'è fedele al suo Credo, si sono scatenate le fobie di uomini come Ferdinando il Cattolico re di Spagna, determinato ad espellere ogni ebreo dal suo regno. Dalle persecuzioni della santa inquisizione, dalle sue conversioni imposte a forza di torture, è germogliato il tristo bisogno dei non ebrei di dimostrare la purezza della propria razza, la necessità di dichiarare che la loro stirpe non è contaminata dalla pur minima goccia di sangue giudeo. Di rimarcare esagerando le caratteristiche fisiche che individuano quella razza inferiore da allontanare se non eliminare.
Relegati nei ghetti, costretti a fare commercio o prestito di denaro come unica fonte di sopravvivenza, la "civiltà" europea dei secoli passati ne ha fatto il comodo capro espiatorio per aizzare le masse della miseria contro di loro, rei di gestire in proprio la ricchezza, di accumularla, escludendo i non ebrei - comoda giustificazione per i governi di allora ma anche di oggi, che non hanno saputo e voluto migliorare le condizioni di vita dei loro popoli e hanno dato fuoco alla miccia dei massacri, come i pogrom della Russia zarista e stalinista. Infine, nel ventesimo secolo con il nazismo, l'esaltazione assoluta della purezza della razza, la denuncia di un complotto mondiale ebraico per accaparrarsi le ricchezze e, di conseguenza, l'estirpazione totale e definitiva, la sistematica eliminazione. La shoah.
Tutto questo che sembrava passato riaffiora nuovamente ora che ci s'illudeva di aver messo la maiuscola alla "c" della nostra civiltà, ora che sembrava esserci una condanna unanime e convinta agli orrori dei forni crematori. Perché l'antisemitismo, quello orbo, trinaricciuto e violento esiste e anche se sembra assopito, in realtà sta all'erta, continua a covare e per ricordarci la sua esistenza o, forse, per sentirsi lui stesso ancora vivo, a volte gli basta tracciare di notte una svastica sul muro di una casa. Ad ogni occasione - grazie anche a quanto sta succedendo in Medio Oriente - queste radici malefiche riaffiorano.
Ci riportano agli occhi documenti e dichiarazioni aberranti dove si nega la storia con lo sterminio perpetrato dai nazisti, dove si cerca di rinvigorire la fiamma dell'odio urlandola in comizi e cortei dove si bruciano bandiere, garantiti dalla democrazia che dà a tutti la libertà di esprimere la propria opinione. Oggi uno Stato sovrano come l'Iran, con la voce carica d'odio del suo presidente, infiamma virulento quei popoli retti da governi che da sempre si sono opposti ad Israele. Condanna alla distruzione un altro Stato sovrano con il suo popolo, oltre a voler diventare una potenza nucleare, mentre a governare i Palestinesi c'è un partito politico che sul terrorismo ha creato la sua forza. E tutto ciò, mentre una Europa sempre più imbelle e suddita degli interessi economici e ancora intrisa di razzismo nega la sua cultura liberale e biascica parole di sconforto e di condanna che nessuno tiene in considerazione.
Consci della forza di queste radici, di quanto sia difficile estirparle e di come esse continuino a germogliare anche nei Paesi democratici come il nostro, non ci rimane che continuare a parlarne, a ricordare la storia, mostrarla ai più giovani, dare a loro l'opportunità di capirla, interpretarla con discernimento, sapere cosa effettivamente si cela dietro certe frasi di scherno, certi atteggiamenti d'intolleranza, aprire loro la porta del libero pensiero, privo di condizionamenti e pregiudizi. Lo dobbiamo fare anche per tutte le vittime del terrorismo, senza distinzione di fede o nazionalità, perché esse non sono ectoplasmi e nemmeno vite senza nomi e senza famiglie, che i media normalmente ignorano troppo presi nel riportare le immagini di un assassino che si fa riprendere mentre dedica la sua giovane esistenza al suo dio per un distorto concetto di fede. Ma un fatto resta e non si può ignorarlo e neppure cancellarlo.
Questi Ebrei così “testardi”, così decisi ed uniti ci sono da sempre. Sono la culla della nostra infanzia e la nostra cultura. L’origine ma anche il tempo di oggi e di domani. Vanno rispettati, ammirati, difesi e, se mai possibile, almeno imitati.

paolo carbonaio





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