Un permesso, una vita.

Sono amareggiato Filippo, amareggiato per la morte di un uomo, una morte forse evitabile. Un uomo che lavorava per noi, un padre come me.
Capisco che questo nostro spazio merita, come finora quasi sempre fatto, più campo all'ironia e meno alla tristezza, ma stavolta sono veramente amareggiato, anzi direi che sono furibondo.
Furibondo col mondo, con quelli che usano le parole come pallottole, che fomentano l'odio, che della lotta per i diritti e la giustizia ne fanno bombe, agguati vigliacchi e violenza cieca. Sia che sventolino una bandiera estremista, sia un testo religioso.
Uomini e donne che pretendono di imporre con la forza i loro concetti di equità e giustizia, concetti che, letti o sentiti, dimostrano chiaramente che nei loro ragionamenti mancano anche di logica e d'umanità.
Ma quello che mi ferisce, in un'occasione come questa, è che chi ha ucciso non era in galera dove già ci stava, ma libero grazie ad un permesso che lo ha lasciato uscire dal carcere. Cosa vuol dire permesso temporaneo per chi si sa un assassino o un potenziale assassino? Che valore può avere la sua parola, la promessa di tornare appena scaduto il termine?
Lo so che di questo abbiamo già discusso, ma come faccio a trattenermi e, soprattutto, com'è possibile accettare un fatto così assurdo. E' una doppia violenza che accresce una tragedia già per se stessa difficile da comprendere.
C'è poi un altro aspetto che mi fa pensare e nel contempo mi riempie d'amarezza ed è la facilità con cui dimentichiamo, presi come siamo da nuovi fatti, nuove violenze, nuove notizie.
Accettiamo come fatto giusto che due terroristi non potranno più uccidere e nel contempo presto dimenticheremo chi per questo ha dato la vita, ne scorderemo il nome e col tempo anche l'avvenimento. Succede sempre così ogni volta che capita per quelli che in divisa muoiono nel fare il loro dovere, che non è solo reprimere, ma prima di tutto difendere. Difendere noi che vogliamo vivere in una società libera e sicura. Tanti nomi, tanti uomini come noi persi nell'oblio del tempo e nel mare delle notizie quotidiane.
Medaglie e menzioni non bastano e, certamente non consolano chi li piange sinceramente, chi li ha persi per sempre. Non bastano vie e piazze per ricordarli, così come le lapidi e i monumenti che alla fine non sono altro che modesti tributi per alleggerirsi la coscienza di dimenticarli col tempo o peggio di non essere riusciti a creare delle regole che evitino il verificarsi di simili possibilità.
Giusto sarebbe averli sempre presenti, quando incrociamo i loro colleghi che continuano lo stesso lavoro, come se la pattuglia che vediamo sia composta anche da chi in pattuglia non va più. Non fantasmi, per carità, ma presenze reali personificate dal simbolo di una divisa che tanti giovani indossano e con cui affrontano i rischi che ci permettono ogni giorno di continuare a vivere, lavorare, divertirci e allevare i nostri figli.
E' sempre poco, ma sarebbe il giusto riconoscimento che tutti dovrebbero sentire dentro, assieme alla riconoscenza e al rispetto.

paolo carbonaio





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