C'era una volta un Paese

C'era una volta un Paese molto bello. Aveva splendide montagne ed un mare azzurro e limpido, le sue città erano piene di capolavori architettonici ed i musei traboccavano di opere d'arte di celebri artisti. La sua cucina, varia e saporita era apprezzata in tutto il mondo, così come il vino che si ricavava dai vigneti delle sue verdi colline. Insomma, un gran bel Paese, meta di visitatori disposti a fare migliaia e migliaia di chilometri per poterlo visitare.
La cultura e la bellezza erano di casa e non c'era angolo più nascosto che non meritasse un applauso per la natura o per i tesori d'arte che vi custodiva. Non che tutto funzionasse come un orologio svizzero e nemmeno che fosse stato perfettamente pulito, alla maniera di Mastrolindo, tuttavia, anche se treni e aerei partivano e arrivavano spesso in ritardo per incuria o per scioperi e molti grazie all'adesione al club dei furbetti del cartellino rendessero gli uffici pubblici luoghi di penitenza e dolore per i malcapitati cittadini, era comunque un gran bel Paese.
Come in ogni parte del mondo, il carattere dei suoi abitanti era piagnucoloso e querulo. Sempre pronti a protestare e condannare, eternamente scontenti e insoddisfatti. Per loro non c'era mai nulla che funzionasse a dovere, ogni fatto della vita quotidiana, dal lavoro al tempo libero, dalla culla alla pensione, erano motivo di insoddisfazione. E, naturalmente, tutto ciò non poteva che essere imputabile al governo del momento.
Perché una volta fatta la fatica di votare, la gente tornava nella quotidiana indolenza e nel menefreghismo. Ognuno intento a pensare a se stesso e a ciò che gli comodava. Almeno finché durava il governo, una durata ipotetica come le vincite al Lotto. Erano pure convinti che, per il solo fatto di essere cittadini che pagavano le tasse, vanto anche di molti che appena potevano evitavano di farlo, tutto fosse loro dovuto e tutto dovesse procedere perfettamente: “Pago quindi pretendo.
Ho eletto i polli da mettere al servizio dello Stato, quindi mi aspetto di vivere in un Paese a dir poco perfetto, almeno come capita nel villaggio felice di Haidi.” Comprensibile, direi, dopo tutto. Peccato che i polli, leggasi governanti, sindacati e vari super addetti ai lavori pubblici (super in quanto occupanti le poltrone dirigenziali) nella gran parte dei casi non siano riusciti a distinguere tra dovere e potere. Inteso come dovere, l’accudire al bene degli elettori e potere il farlo decidendo per lo stesso fine.
Cosicché, privilegi, emolumenti, pensioni, buone uscite, e ogni possibile miglioramento della vita sono usciti di controllo. D’altronde, come sarebbe stato possibile avere dei controllori validi se questi sono scelti dagli stessi controllati.
Troppo impegnati nel migliorarsi la vita, complice il menefreghismo di molti, hanno portato al disinteresse per il bene pubblico e per i cittadini. La loro salute, come la loro sicurezza sono andati a farsi benedire, Mastrolindo è stato mandato in esilio e Haidi è tornata ad essere solo una favoletta.
Col passare degli anni le cose sono peggiorate sempre più, meno che per gli eletti che a turno sono riusciti ad assicurarsi un futuro opulento e privo di incertezze, Politici, sindacalisti, importanti dirigenti, si sono inventati e votate leggi e creato regole adatte a soddisfare le proprie esigenze presenti e future e, perché No, anche quelle dei loro discendenti.
Nelle rare occasioni in cui sulle poltrone importanti si sono seduti personaggi che, miracolo dei miracoli, avevano effettivamente compreso l’utilità del loro potere per la comunità e hanno cercato di fare quanto ci si sarebbe atteso da loro, ci si è guardati bene dall’appoggiarli, ma, al contrario si è fatto di tutto per renderli invisi, abbatterli, distruggere la loro onorabilità, imputarli di ogni nefandezza. Insomma: che non capitasse che una mela sana possa rovinare un intero cesto di mele marce…
Che dire di più?

paolo carbonaio





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