L'assistente
Oggi
ho fatto l'assistente dell'idraulico, il garzone di bottega se mi fossi
trovato nella sua officina, invece che a casa mia. Lo so che non compete
a me tale ruolo, oltre a tutto, sono il cliente e sono io che lo pago
per la sua prestazione, ma che volete farci, finisce sempre così
quando si ha la fortuna di rintracciarne uno e trovarlo miracolosamente
disponibile, nonostante i molteplici impegni professionali, i lavori
urgentissimi da terminare e che sono in ritardo, il traffico e la pioggia.
E' cosa risaputa: trovare un artigiano è un'impresa difficile,
la ricerca dell'Eldorado, quasi impossibile se si ha bisogno urgente
di lui a fine settimana o, peggio, sotto le feste e quando arriva, è
come aprire la porta all'Arcangelo Gabriele che porta la buona novella,
un momento da ricordare e annotare per festeggiarne la ricorrenza nei
tempi futuri.
Per non parlare del patema d'animo che si prova, una volta accomodato,
mentre gli spieghiamo il problema che ci sta angosciando la vita, nel
fargli capire che siamo senza acqua in casa, oppure al buio per un corto
circuito inspiegabile e, alla fine, attendere pazienti come novelli
padri il consulto ed il responso.
Quando capita, sembra di vedere il dottor Balanzone, grave e autorevole,
al capezzale del malato. Osserva l'aggeggio guasto, l'impianto impotente,
la goccia d'acqua imperterrita che cade dalla tubazione, e capace di
demolire una diga olandese. Cogita, ragiona tra sé e sé,
si gratta pensoso la testa e poi emette la sentenza con tanto di commenti
e postille.
Ci guarda con commiserazione, centellinando sadicamente il finale tanto
agognato: "Sì, si può riparare. Ci penso io!".
E se aggiunge che può farlo all'istante, allora quella sensazione
di sgomento che ci attanaglia lo stomaco passa improvvisamente e ci
sentiamo sollevati come se stessimo in un letto d'ospedale e il medico
ci comunica che siamo fuori pericolo di vita. Che vivremo, in barba
alla nera signora con la falce.
Quando il nostro salvatore apre finalmente la sua borsa degli attrezzi,
è come l'aprirsi di un cielo plumbeo al primo raggio di sole
dopo una tempesta. Un piccolo squarcio benedetto a cui ci aggrappiamo
esultanti, mentre le angosce patite già si affievoliscono finendo
nello sgabuzzino dei ricordi lontani.
Avremo l'acqua, anche calda. Avremo la luce e metteremo via le candele
in un posto che dimenticheremo immediatamente, così alla prossima
occasione saremo costretti a ripetere la ricerca disperata dell'ultima
volta. Riscalderemo finalmente la casa gelida e riusciremo a farci una
doccia senza ritrovarci i ghiaccioli che ci colano dal naso. E altro
ancora, perché non riusciamo nemmeno ad immaginare di quante
cose si ha bisogno in una casa, tutte dipendenti dall'impianto idraulico
o da quello elettrico.
Lavarsi, leggere, cucinare, guardare la tv, lavorare al computer, riscaldarsi
e anche rinfrescarsi se fa caldo, e non ce ne rendiamo nemmeno conto
se non al momento in cui avviene il guasto. Quindi, gridiamo forte:
Evviva gli idraulici e gli elettricisti, i tecnici della caldaia e,
visto che ci siamo e mai vorremmo essere tacciati di fare favoritismi
a qualcuno, Evviva i falegnami, i pittori, i muratori e, perché
no? Anche gli antennisti, i decoratori, i ceramisti, i tecnici d'informatica,
i fabbri e le sarte e chi ne ha più ne aggiunga.
Evviva tutti quelli che ne capiscono più di noi, che sanno eliminare
una goccia o un torrente, ridare vita ad un salvavita che si rifiuta
di ricollegarsi, accendere il fuoco in una caldaia e far sì che
ci rimanga acceso, che ci apre la porta di casa nostra quando abbiamo
scordato le chiavi dentro, o ripara una serranda che ci ha murato vivi,
condannandoci all'eterna oscurità. Evviva tutti!
Ma torniamo alla mia esperienza di assistente idraulico, attività
occasionale, non retribuita e nemmeno riconosciuta dal datore di lavoro
del momento che la considera, caso mai, un fatto acquisito naturale,
se non dovuto. In realtà tale assistenza non è d'obbligo
e nemmeno è prevista nelle Leggi che regolano i rapporti di lavoro,
però, alla resa dei conti, mi sono accorto che è giocoforza
diventare assistente, quasi un fatto naturale e di cortesia come tenere
aperta la porta ad una signora, togliersi il cappello in un ristorante,
abbandonare la nave che affonda dopo i bambini, le donne e gli inabili.
Se il nostro artigiano lavora in alto, viene spontaneo tenergli la scala,
la nostra scala che siamo andati a prendere nello sgabuzzino, rovesciando
quasi tutto quello che avevamo ordinatamente accatastato. A questo punto,
gli passiamo anche gli attrezzi dalla borsa lasciata a terra. Sarebbe
impensabile stare a guardare mentre va su è giù come un
equilibrista al circo, col rischio di cadere e lasciare a metà
il lavoro per infortunio. Sarebbe un'azione perversa. Gli passiamo gli
attrezzi e, se è il caso, gli teniamo una luce diretta sul posto
dove lavora, andiamo in continuazione a chiudere e aprire l'acqua o
il salvavita appena lo ordina. A volte capita che gli manchi un attrezzo
assolutamente indispensabile che, per pura combinazione, ha lasciato
a bottega o nel furgone, e allora corriamo lesti a prendere i nostri
nella cassetta degli attrezzi dove, per trovarli, gettiamo tutto all'aria.
Dobbiamo fare presto, altrimenti il nostro salvatore non potrà
procedere con la riparazione e senza quel particolare e indispensabile
cacciavite o quella chiave inglese, corriamo il rischio di vederlo uscire
di casa, lasciandoci per chissà quanto tempo a sospirare il suo
ritorno.
Avrà tutto ciò che vuole, compreso un caffè per
sostenerlo, purché ripari il danno e ci ridoni la serenità.
Insomma, un'assistenza completa di quelle che farebbero morire d'invidia
uno sceicco arabo con la piscina traboccante di belle ragazze, un esercito
di servi a sua disposizione e sotto la villa una riserva infinita di
petrolio.
Una volta mi hanno raccontato di uno scienziato, una vera eminenza nella
fisica nucleare, che ha fatto venire un elettricista per sostituire
la lampadina al lampadario del suo laboratorio, altrimenti sarebbe stato
costretto a lavorare a lume di candela. E' stato obbligato a chiamarlo
per il semplice fatto che non ne aveva mai cambiata una in vita sua
e nemmeno sapeva che va avvitata o svitata secondo la situazione. Per
quanto lo riguardava, i lampadari nascevano e morivano con la lampadina
già compresa e fissa.
L'elettricista, arrivato con serafica calma, dopo che lo scienziato
era giunto al punto di minacciare il suicidio se non veniva in suo soccorso,
lo ha assunto immediatamente come assistente volontario e lo ha fatto
sgobbare come uno schiavo egizio, tanto che la sera il fisico, allo
stremo delle forze, è stato colto da una crisi e non era più
in grado di distinguere tra un neutrone e una chiave da tredici.
Capite adesso cosa vuol dire aver bisogno urgente di una riparazione
che da soli non siamo in grado di fare? Trovare un artigiano è,
oltre che miracoloso, una forma di coinvolgimento psicologico prima
e materiale poi. Ci sentiamo obbligati a rimanergli accanto e finisce
che non siamo capaci di starcene con le mani in mano. Ci sentiamo imbarazzati
a guardare e basta e appena accenniamo a passargli un cacciavite lontano
dalle sue mani, scatta la molla e ci troviamo assunti sul posto, senza
nemmeno un colloquio preliminare. Visti e presi.
Dobbiamo sempre ricordare, che aiutare i bisognosi è scritto
nel Vangelo. Però in questo caso non mi riferisco agli artigiani,
ma a noi stessi che, per averne uno, in certe drammatiche occasioni,
siamo disposti a venderci l'anima al miglior offerente, anche ad un
modestissimo apprendista diavolo in prova.
paolo
carbonaio
Pubblicato
nella rubrica "Sottocoperta"
del settimanale on line |
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