Ipnosi.
I
miei gusti televisivi sono abbastanza semplici: i telegiornali in generale
- senza preferenze di parte, per avere una gamma d'opinioni - qualche
buon film e i programmi culturali con preferenza alla storia. Quelli sugli
animali non li guardo più. Gli animali mi piacciono, ma ne ho abbastanza
dei commentatori e del sadismo dei cineoperatori. Sì, sadismo,
perché i due - la voce e l'immagine - prima ti fanno intenerire
con qualche cucciolo alle sue prime esperienze, oppure con l'uovo che
si schiude e poi tirano fuori il predatore e, patatrac, ti sparano nell'angoscia.
Ecco perché non li guardo più. Non mi rilassano, anzi...
A volte guardo qualche programma spiritoso - assaggini perlopiù
- a volte saltello annoiato tra un canale e l'altro, punto continuamente
dagli intermezzi pubblicitari che come impulsi elettrici mi fanno scattare
l'indice che continua a sfiorare i tasti del telecomando - grande invenzione
il telecomando, grandissima. Con questo aggeggio in mano ci si sente come
un pilota da caccia che sta per lanciare il suo missile.
Un giorno, però, soprappensiero, mi sono trovato a seguire una
trasmissione - non cito il canale per non fare torto ad altri che trasmettono
roba simile - dove una platea di spettatori-partecipanti seguiva due disperati
che si litigavano su fatti indiscutibilmente loro. Il tutto "ammaestrato"
da una conduttrice che, con maligna perseveranza, continuava a spegnere
o riaccendere la discussione. Insomma sembrava che in una mano avesse
l'estintore e nell'altra la benzina, se vogliamo dare consistenza visiva
al suo comportamento.
Ipnotizzato, ho iniziato a seguire la trasmissione. L'indice sul telecomando
in preda a paralisi.
Lui, il maschietto della coppia, sembrava appena uscito da una rivista
di moda per adolescenti - capelli impomatati, barba trascurata, orecchino
con crocetta appesa, jeans strappati, maglietta con scritta sul torace.
Lei, capelli esplosi color carota finta, trucco da Semiramide, lobi con
esposizione fieristica d'anellini d'argento, maglietta stinta, soliti
jeans ed ai piedi, scarponi da lagunare. Una coppia che non sarebbe passata
inosservata certamente.
Discutevano tra loro e non era una discussione da poco.
Si palleggiavano la colpa di qualcosa che aveva messo in crisi la loro
relazione - forse un terzo incomodo, dedussi tra vari: si ma tu hai
detto
ma allora non hai capito
però quella volta
eppure
sai che ti amo
e dove lo metti il sentimento
perdonami
Il tutto continuamente interrotto dalla domatrice che s'infiltrava come
un commando nella discussione per ravvivarla con qualche scoppio di Sintex,
qualche raffica di "e allora tu?"
Non riuscivo a raccapezzarmi, d'altronde mi ero perso l'inizio. Tutto
sommato, era una discussione accesa su fatti dei quali, sinceramente,
non me ne fregava assolutamente nulla.
Ma quello che m'impietrì, furono gli interventi degli spettatori.
Un pubblico appassionato, preso come non mai dal problema. Quasi fosse
personale. Intervenivano accesi e si accapigliavano anche tra loro stessi.
Da rimanere sconcertati.
Quelli, poi, che ottenevano il microfono erano da non perdere - almeno
mi sembrò sul momento.
C'era la signora elegante che sparava consigli e commenti, soddisfatta
in cuor suo che finalmente poteva occuparsi dei fatti altrui, dimenticando
i propri. S'infervorava nel perorare la causa di uno dei due giovani e,
come un crociato alla difesa di Gerusalemme, rintuzzava mordace gli assalti
di qualche altro spettatore che doveva assolutamente dire la sua anche
senza microfono. Me la immaginai sposata e provai pietà per il
marito, come per i cuccioli dei documentari di prima.
Quando prese la parola un signore molto distinto che, ottenuto il microfono,
lo brandiva come fosse la fiaccola delle olimpiadi.
Precipitai nel panico: era un pontificatore. Il suo non era un intervento
ma un'enciclica. Mancava solamente l'inizio, Populorum progressio.
Le sue certezze assolute. Era il Verbo. Nessuno dei presenti fu in grado
di azzittirlo. E' la razza più pericolosa che abbia mai calpestato
il pianeta, altro che Tirannosaurus Rex.
Stavo ormai agonizzando. Anche la domatrice sembrava in crisi. Mi sentivo
come un eretico al processo mentre il tribunale della santa inquisizione
si perde in giaculatorie e sofismi che mi sarebbero costati la dannazione
e la vita.
Fu l'intermezzo pubblicitario a salvarmi. Ruppe l'incantesimo, mi risvegliò
dall'ipnosi, mi riportò alla vita, la mia, quella reale.
Per riconoscenza mi guardai i primi cinque spot, prima di spegnere e scappare
lontano dalla tv.
paolo
carbonaio |