La
Satira allo specchio
Il giorno in cui la Satira vide
se stessa rimase profondamente sconcertata e non sorrise come sarebbe
dovuto accadere, ma le prese il magone e cadde in depressione. Come
avrebbe potuto ridere di quell'espressione emaciata e lo sguardo colmo
di tristezza e apprensione?
Scoprì che il Paese era pieno di musoni privi di spirito, integralisti
fanatici del pensiero e del comportamento ed i rari giullari che tentavano
di sdrammatizzare la Vita e riderci su erano considerati dalla maggior
parte, l'Autorità in testa a fare da padrona, dei sovversivi
da ghettizzare se non addirittura eliminare.
Prima di quel fatidico giorno, la Satira credeva, anche se non era pienamente
cosciente, che il suo destino era di evidenziare l'aspetto ridicolo
nelle cose serie, come nella la politica, la vita sociale, il sesso,
la religione e anche la Morte. Doveva essere portatrice sana e liberale
di quel sorriso che è capace di unire il sacro al profano, l'irreprensibile
al faceto, dando una scossa a quell'armatura di supponenza che distingue
certe istituzioni e certi personaggi importanti o che tali si credono.
Insomma, pensava di essere la madre naturale dei pensieri dissacranti
che generano la risata rendendo più umano tutto ciò che
si pone sopra la gente semplice e comune: un rimedio per smitizzare.
Chiariamolo subito: la Satira non aveva mai pensato di potersi trasformare
in derisione o sfottò. Il suo fine era di lasciar trasparire
delle verità, attaccare i pregiudizi, far uscire alla luce le
ipocrisie, seminare dubbi e mettere in discussione le convinzioni, dare
alla gente un motivo per pensare. Un lavoro di fino, quasi un'Arte scevra
da basse insinuazioni, volgarità, malignità invereconde.
Non deveva insegnare nulla e non c'erano regole se non quella del buon
gusto, non doveva essere di parte o gareggiare per qualche poltrona
importante. I titoli di merito li doveva conquistare sul campo con qualche
riga scritta, una vignetta o una scenetta sul palcoscenico: meriti di
passaggio che durano attimi e non fanno testo e molto raramente entrano
nella Storia.
Ma allora perché tanto sconcerto? Semplice, aveva scoperto di
essere sempre più spesso incompresa, che sempre più numerosi
erano coloro che non sapevano sorridere di se stessi, che chi otteneva
il potere la temeva e se l'accettava lo faceva solamente quando i suoi
strali colpivano le fazioni opposte. Inoltre, fatto ancora più
grave, subiva minacce tali che spesso era costretta a trattenersi annullandosi
per paura di rappresaglie, anche se era convinta di poter agire sotto
l'egida della Democrazia, di vivere nella Libertà. La sua era
diventata un'esistenza difficile e ogni giorno più rischiosa
perché, oltre ad avere avversari potenti come le religioni ed
il potere politico che hanno il terrore degli specchi nei quali rischiano
di vedersi come sono realmente, cominciava a temere anche se stessa.
Aveva compreso pure che alla fine questa paura sarebbe stata la sua
stessa morte, che sarebbe avvenuta il giorno in cui avrebbe perso definiticamente
le sue caratteristiche originarie e si sarebbe trasformata in una falsa
satira creata solamente per demonizzare gli avversari, alimentando l'odio,
il disprezzo e l'invidia con il solo scopo di distruggere la loro immagine.
Quel giorno, anche noi moriremo con lei, costretti a non pensare e nemmeno
agire se non nel rispetto di regole religiose o giuridiche imposte,
in un Paese privo di specchi, accontentandoci di qualche risata concessa
col beneplacito dell'ufficialità che l'avrà prima passata
al vaglio e l'avrà considerata innocua. Sarà il giorno
in cui rideremo a comando, sempre sul chi vive per paura di diventare
noi stessi il suo bersaglio.
Esagero? Mah! A me sembra che già si agonizza.
paolo
carbonaio |