E
io pago
"E
io pago" è l'attuale grido di battaglia di questa nostra
diplomazia di governo che sembra fare il verso a Totò, mentre
invece veste i panni di Don Abbondio, vaso di coccio tra vasi di ferro,
senza dignità e pronto a piegarsi agli eventi come una canna
al vento. Una diplomazia fatta di cedimenti che, sbandierando giustizia
e pacifismo, amore per la vita e per la libertà di tutti, cala
le brache di fronte alla violenza ed è pronta a mediare anche
quando si confronta con chi della mediazione se ne frega altamente,
come della vita altrui. Si potrebbe obbiettare che, in fondo, rifiutare
il ricatto sia alla fine un'azione crudele, che ci metterebbe sullo
stesso piano del ricattatore perché la vita è sacra e
va difesa ad ogni costo, ma quando si ha a che fare con assassini senza
scrupoli, macellai di esseri umani che in ogni caso non rinuncerebbero
alle loro turpi abitudini, allora il discorso è diverso.
In tal caso, la fermezza non è solamente puntiglio, ma un significativo
messaggio: è inutile che continui ad uccidere, perché
non otterrai nulla se non un maggiore impegno nello sconfiggerti. Perché
questa partita la può vincere solamente chi non arretra e chi
usa il rapimento ed il ricatto come arma deve capire che l'unico ricavo
sarà quello trovarsi di fronte contendenti ancora più
determinati. Salvare una vita in cambio della liberazione di altri assassini,
pagare i ricattatori che col ricavato continueranno ad armarsi, è
una vittoria di Pirro che alla fine produrrà solamente altra
violenza ed altri lutti. Siamo tutti felici che l'ostaggio sia salvo,
ma non dobbiamo scordare che un altro prigioniero è stato sgozzato
come un agnello, come se la sua vita avesse un valore relativo, visto
che era un "locale" e invece che scrivere degli articoli faceva
solamente l'autista.
Con questa operazione si è aperto un vaso di Pandora che porterà
ad altri ricatti, altre esecuzioni ed altre tragedie. Abbiano dimostrato
la nostra volontà di salvare un connazionale, ma nel contempo
anche la nostra debolezza che non vuol ancora significare di aver perso
la guerra, ma che è un segno chiarissimo di aver perso questa
battaglia. E a questo punto non meraviglia la proposta di sedere ad
un tavolo di trattative con questi sanguinari assassini, con l'utopistico
fine di trovare un accordo che fermi le ostilità, altro chiaro
segnale che da noi manca la capacità di decidere e la fermezza
dell'agire, presi come siamo più da ideologie di partito e interessi
politici di parte che da una convinta partecipazione internazionale
alla liberazione di una popolazione da sempre vittima.
Ora, visto che non siamo un popolo di vigliacchi e nemmeno di sciocchi,
dobbiamo pretendere da chi ci governa, ma anche ci rappresenta, che
la smetta di "governicchiare" litigandosi continuamente su
questioni di ridicola importanza e decida una volta per tutte quale
dovrebbe essere la nostra politica estera. Starà poi a noi decidere
se la approveremo o No e se il Governo avrà le carte per continuare
a governare. Non abbiamo bisogno di un Capitan Tentenna con ai remi
una ciurma di vogatori dei quali ognuno voga a modo suo e spesso l'uno
contro l'altro. Ne va della vita dei nostri ragazzi che oggi sono in
zona di guerra, di coloro che sono andati lì per aiutare le popolazioni
che soffrono l'oppressione del più crudele integralismo. Non
vogliamo nemmeno sentirci dei paria nei confronti degli altri Paesi
che, assieme a noi, sono lì per fronteggiare quella barbarie
e per questo hanno la dignità di avere come punto fermo e di
primaria importanza la sicurezza dei loro soldati e la determinazione
che una simile impresa pretende.
paolo
carbonaio |