Mar
Rosso
di
Humbert du Charbon
Ugo
Mursia Editore
ISBN 88-425-2516-2
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Tramontato
definitivamente il sole, eravamo immersi nel buio e considerando il
cadavere sgozzato, i due teschi dei guardiani e le due mummie nel sarcofago,
mi pareva che non avrei mai potuto trovarmi in un posto più lugubre.
Accesi il lume più per contrastare la sensazione d'isolamento
che provavo che per guardarmi attorno.
<<Ormai possiamo tornare nel Tempio, prendere le spade e tentare
di uscire dall'altra parte. Prima usciamo, prima sapremo cosa succede
sulle nostre teste.>> proposi <<Malik potrebbe aver bisogno
d'aiuto.>>
<<Andiamo!>> ordinò il giordano, come se fosse una
sua decisione improvvisa. Aveva il muso ancora più lungo del
solito e lo sguardo tetro. Mi rendevo conto che non aveva nemmeno ascoltato
le mie parole.
Alla luce rossastra del lume, il ritorno fu molto più agevole.
Scavalcammo il cadavere, salutai i due teschi e, finalmente, ci ritrovammo
a fianco del sepolcro per costatare che i due guerrieri ci avevano atteso
pazienti.
<<Prendi le spade mentre io vado a vedere se riesco ad aprire
il cancello che chiude l'altra uscita.>> disse il mio amico, lasciandomi
da solo a contemplare l'interno del sarcofago.
Il coperchio posto per traverso a metà impediva di vedere contemporaneamente
i volti dei due occupanti e, mentre mi chinavo per afferrare la spada
del cavaliere musulmano, in un lampo m'immaginai che il Templare avrebbe
improvvisamente stretto l'impugnatura tra le dita ossute e avrebbe sollevato
la sua spada per piantarmi la lama nel cuore. Non avevo la vocazione
del profanatore di tombe e tanto meno lo stomaco che una simile professione
richiedeva. Fui tanto rapido nel togliere la scimitarra che se il proprietario
fosse stato vivo non se ne sarebbe nemmeno accorto e, in ogni caso,
non avrebbe avuto nemmeno il tempo di reagire. Con un veloce passo indietro
mi scostai dal bordo del sepolcro, come se avessi dovuto evitare un
improvviso fendente da parte dell'altro cavaliere, ma non successe alcunché.
Percepivo in lontananza Abdul che si dava da fare con la chiusura del
cancello e nessuna faccia incartapecorita fece capolino dal sepolcro.
Mi chinai nuovamente avvicinandomi dall'altro lato e mi impossessai
anche della spada del Templare e le appoggiai entrambe sui gradini e
per finire, evitando di guardare dentro, spinsi sul coperchio che, obbediente,
ruotò sui misteriosi ingranaggi e si riassestò chiudendosi.
Controllai il fianco di pietra e notai che lo scudo del crociato scolpito
era ritornato nella posizione originaria.
La mano di Abdul che mi batteva sulla spalla mi sparò il cuore
in gola.
<<Sono riuscito ad aprire il cancello. Ora possiamo filare.>>
mi comunicò, chinandosi ad osservare i due cimeli. <<Speriamo
che l'uscita sul porto non sia murata oppure che la galleria non sia
crollata, altrimenti possiamo anche restituirle ai loro proprietari.>>
sospirò guardandomi serio, ma trattenendo un risolino.
<<Piantala di fare il menagramo!>> sbottai <<Questa
esperienza mi ha già tolto almeno dieci chili e aggiunto altrettanti
anni d'età. Non vedo l'ora di lasciare questo posto e ritornare
all'aria aperta.>>
<<Hai parlato d'aria?>> fece Abdul, girandosi di colpo <<Non
ci avevo fatto caso, ma qui sotto l'aria è perfettamente respirabile
e non c'è nemmeno puzza di chiuso!>>
<<Questo prova che c'è un'apertura, contrariamente all'entrata
della galleria di prima.>> concordai rassicurato <<Raccogliamo
tutto e filiamo via di qua!>>
Mi tolsi la camicia e l'usai per avvolgere strettamente le due spade,
rimandando a più tardi il piacere di ammirarle con calma. Raccogliemmo
gli strumenti, le lampade e ci inoltrammo nella seconda galleria. Questa
era la sorella gemella della prima e sembrava non finire mai, però
non c'erano teschi e nemmeno morti sgozzati e il pavimento era così
pulito che sembrava appena spazzato.
<<Hai faticato per aprire il cancello?>> domandai al mio
compagno.
<<Per nulla. Prima non ho voluto dirtelo, ma era chiuso con un
chiavistello ed un lucchetto perfettamente oleati. Un lucchetto moderno.>>
Per un miracolo non alzai di colpo la testa allo stupore di quello che
aveva detto, così evitai di sbattere nuovamente la fronte che
mi doleva ancora per la capocciata di prima.
<<Abbiamo profanato un sepolcro e i parenti sono ancora vivi!>>
borbottai <<Forse, sono fuori che ci attendono e noi portiamo
loro le spade che serviranno per giustiziarci!>>
<<Cosa brontoli?>> s'informò Abdul <<Possibile
che ti devi sempre lamentare?>>
<<Nulla. Stavo pensando ai tuoi progetti di Massaua. Sarebbe difficile
descrivere questo viaggio come una gita con turisti! Ti pare?>>
<<Sì, devo ammetterlo.>> fece lui ridacchiando <<Come
crociera ha un po' degenerato!>>
<<Però non ci siamo annoiati e nemmeno Malik si può
lamentare!>> gli feci eco, cercando di mantenere vivo quel momento
di buonumore.
<<Lo puoi ben dire! Oltre a tutto abbiamo fatto una scoperta storica
eccezionale. Abbiamo recuperato le spade e forse eliminato un fanatico
assassino.>> Aveva un atteggiamento soddisfatto. Non mi lasciai
influenzare.
<<Ancora non è finita.>> gli rammentai <<Dobbiamo
uscire, raggiungere la barca e tornare a casa vivi e, se possibile,
sani.>>
<<Allàh è Giusto. Vedrai che ci riusciremo.>>
Quel tratto di galleria era più lungo dell'altro e curvava continuamente
simile alle spire di un serpente. Man mano che avanzavamo, l'aria diventava
più calda anche se ci colpiva in faccia un vento leggero, doveva
mancare poco all'uscita.
<<Ci siamo.>> mormorò Abdul, quando un tenue chiarore
venne ad aggiungersi alla luce delle nostre lampade.
Eravamo alla fine del tunnel, l'aria calda odorava di salmastro e la
luce che illuminava l'entrata non era quella del sole, ormai tramontato,
ma quella di due torce che bruciavano ai lati di un'altra cancellata,
ovviamente chiusa. Questa sembrava molto più robusta dell'altra
e le torce erano sistemate a meno di un metro oltre le sbarre.
<<Siamo
attesi. Qualcuno ci ha pure lasciato una luce per favorirci l'uscita,
sempre che sia possibile aprire il cancello.>> bisbigliò
Abdul, sfilando la pistola dalla cintola e spegnendo il suo lume.
Lo imitai.
<<Amici o nemici?>> mugugnai <<Probabilmente nemici,
visto che, ultimamente, la percentuale dei nemici supera abbondantemente
quella degli amici.>>
<<Rimanere fermi qui è solamente tempo perso e ritornare
indietro è inutile.>> fece Abdul <<Avanziamo e vediamo
cosa succede.>>
Si avvicinò al pesante cancello e provò a spingerlo. Senza
un cigolio, il battente si aprì con la massima facilità:
sembrava che i cardini fossero stati appena ingrassati. Aveva una grossa
e robusta serratura, ma era aperta. Uscimmo per trovarci sotto la luce
delle torce, pronti ad affrontare chiunque ci avesse assalito ma, stranamente,
nessuno ci sparò. Ammetto che ne rimasi sorpreso, quasi deluso.
Avanzammo di qualche passo e ci trovammo fuori della galleria su di
uno stretto molo di pietra e sotto quello che rimaneva delle antiche
mura che difendevano la città dalla parte del mare. In cielo,
la luna diffondeva una luce argentata che accentuava le ombre rendendo
il paesaggio fiabesco. Il molo proseguiva a destra, con un lato addossato
alle mura e l'altro bagnato dalla risacca che rumoreggiava, schizzando
d'acqua le antiche pietre consumate dai secoli. Eravamo soli, o almeno
ci sembrava di esserlo, quindi iniziammo a seguire il molo finché
raggiungemmo uno spigolo delle mura dietro al quale il nostro percorso
scompariva. Ci acquattammo al coperto, pronti a subire un'imboscata.
<<Vedi qualcuno?>> mi informai, mentre il mio compagno sbirciava
oltre l'angolo.
<<Due vecchi seduti su di una panchina a fumare!>> m'informò
Abdul.
<<Ma va?>> esclamai, sempre più confuso per l'evolversi
della situazione.
<<Lo giuro. Se ne stanno lì tranquilli, a fumare e a guardare
il mare.>>
<<Incredibile!>> commentai <<Che si fa? Ci passiamo
di fronte con indifferenza e li salutiamo con una frase tipo: "Bella
serata, vero?">>
<<Perché no?>> rispose lui <<Preferisci forse
che li eliminiamo a revolverate?>>
<<Sì. Sempre in nome della fratellanza e della tolleranza!>>
mi scappò di dire, mentre l'assurdità della situazione
mi faceva desiderare di ridere come uno sciocco.
Abdul si raddrizzò, sistemò gli attrezzi sulla spalla,
infilò il suo revolver nella cintura e, con passo sicuro, si
diresse verso i due personaggi. Io lo seguii e voltato l'angolo abbi
la conferma alle sue parole. A pochi metri, seduti su di una larga pietra
piatta addossata alle mura, c'erano due vecchi barbuti. Avvolti in larghi
mantelli candidi e con i capi coperti da due zucchetti pure loro bianchi,
i due se ne stavano immersi nel fumo acre di due grosse pipe ricurve.
Al nostro apparire si voltarono appena per indirizzarci un'occhiata
austera.
<<Masâ-l-khîr! Buona sera.>> fece Abdul, chinandosi
appena, mentre superava l'angolo del muro.
<<Masâ-a-annûr.>> rispose il primo, con un rigido
cenno del capo.
L'altro vecchio esordì con una formula di saluti ben più
complessa che tradotta in poche parole significava: "Su di voi
scenda la salute e la misericordia di Dio e le sue benedizioni!"
Io mi limitai ad un "Assàlâm alaykum!" Salve,
ciao. Più sbrigativo e coerente con lo scarso arabo che conoscevo.
Ci avvicinammo, ma proseguire indifferenti sembrava fuori discussione.
Anche un imbecille avrebbe capito che i due stavano attendendo proprio
noi. Abdul lasciò cadere a terra gli strumenti ed il lume spento,
mugugnò qualcosa che non compresi e si accomodò a sedere
a sinistra del primo anziano. Lo feci anch'io, ma trattenni le spade
avvolte nella camicia e mi sistemai alla fine della panchina, a destra
dell'altro personaggio. Ancora nessuno sembrava intenzionato ad aprire
una discussione; pertanto sfilai di tasca la pipa e iniziai con estrema
calma a riempirla di tabacco e ad accenderla. Il vecchio alla mia sinistra
mi guardò con un sorriso compiaciuto; aspirò il fumo del
mio tabacco e chinò il capo in segno d'apprezzamento per l'odore
che iniziava a spandersi nell'aria calda della notte. Sembravamo indiani
intenti a fumare i nostri calumet sotto il cielo stellato del lontano
west.
Al debole riverbero della luna, con la coda dell'occhio, studiai i due
personaggi. Erano uomini che da tempo avevano doppiato lo scoglio dei
settant'anni d'età, ed era intuibile più dalla pacatezza
della voce e dall'atteggiamento, che dalle fattezze del viso. Avevano
due volti dai tratti nobili, molto simili tra loro, con la pelle rugosa
e del colore del cuoio, cotta da anni di esposizione al sole africano,
tanto che non era possibile comprendere se i due fossero sudanesi oppure
d'origine europea.
<<Coloro che negano l'Alleanza vi cercano.>> esordì
il primo vecchio in un inglese che avrebbe fatto invidia ad un docente
di Oxford. <<Essi stanno setacciando la città dei Ginn
per impugnare indegnamente Dhü-l-Faqâr e spezzare la lama
di Iblìs.>>
<<La polvere dei secoli sarà dispersa e non potrà
più celare la loro dimora.>> continuò l'altro anziano,
anche lui in un inglese perfetto <<Per volontà del Supremo
si dovrà trasferirle. Era scritto ed ora il loro viaggio si compirà.>>
<<Abbiamo i cuori pregni di pena per essere stati la causa di
tutto ciò.>> dichiarò Abdul, appoggiando la mano
sporca di polvere sul petto magro.
<<Non v'attribuite colpe che non avete.>> disse il primo
anziano <<Era scritto che questa Dimora sarebbe stata violata.
Sapevamo da qualche tempo che il sangue dell'intolleranza sarebbe scorso
fino a Suakin. Prima della prossima notte i vostri e nostri nemici troveranno
la Sala dei Cavalieri.>>
<<Ma distruggeranno il Tempio! E tutto andrà perduto!>>
esclamai, ricordando gli splendidi bassorilievi ed i coloratissimi dipinti.
<<Se troviamo altri uomini pronti a combattere, forse riusciremo
ad impedirlo.>>
<<Qui non ci sono altri uomini e loro vogliono le Sacre Lame e,
non trovandole, abbandoneranno il Tempio per venire a cercarvi.>>
mi tranquillizzò il mio vicino <<Potrebbero recare pochi
danni alla Sala e, in ogni caso, il Suo compito è terminato.
Ora l'importante è salvare le Sacre Lame e portarle in salvo.>>
Abdul si alzò, prese l'involto dalle mie mani e l'appoggiò
sulle ginocchia del primo anziano..
<<Ecco le spade àb hakîm, saggio padre. Le consegno
a voi.>> disse, chinando il capo riverente.
<<A due vecchi?>> chiese calmo l'altro, senza degnare di
uno sguardo l'involto <<Noi siamo gli ultimi guardiani di Suakin.
Il nostro compito è terminato e altri lo continueranno, lontano
da qui. Un altro Tempio le custodirà, così come altri
luoghi celano le Sacre Reliquie e dove i Fratelli consumano la loro
vita a preservarle.>>
<<Quali altre reliquie?>> domandai, affascinato dalle cose
sottintese che si celavano nelle sue parole.
<<Simboli reali, Verità sepolte sulle quali gli uomini
s'interrogano e consumano la vita nella loro ricerca.>> fu la
laconica risposta.
Sul momento le sue parole mi richiamarono alla mente l'Arca dell'Alleanza,
il Santo Graal e a quant'altro popolava i sogni e stimolava la curiosità
dell'umanità.
<<E tutto ciò dovrà rimanere nascosto per sempre?>>
chiesi.
<<Forse. Fintanto che gli uomini si combatteranno. Finché
l'odio sparso dal Male scorrerà sulla Terra. Fino allora la Vera
Conoscenza dovrà rimanere sepolta.>> Mi guardò negli
occhi accennando un sorriso. <<Un giorno l'Eterno ci giudicherà
pronti, ma nel frattempo dovremo e dovrete attendere, noi, voi ed i
figli dei vostri figli.>>
C'era poco d'aggiungere. Si capiva che non avrebbe detto di più
e ritenni di non insistere. Solamente Abdul, dopo aver raccolto l'involto,
non seppe trattenersi. Conoscendolo e ricordando la sua passione per
i misteri e per l'esoterismo, le parole del vecchio avevano conquistato
tutto il suo interesse.
<<Saggi Padri, chi siete?>> domandò, rimanendo in
piedi con le spade strette al petto <<Illuminate le menti di questi
semplici marinai e disponete della loro modesta forza e del loro coraggio
perché possano agire per il Bene.>>
<<Siamo solamente servitori, figli di servitori che, a loro volta,
erano figli d'altri servitori. La nostra breve esistenza ha lo scopo
di custodire e preservare la Conoscenza ed evitare che la Verità
possa finire nell'oblio ed essere dimenticata. Di generazione in generazione,
abbiamo vigilato su ciò che c'è stato consegnato. Ci sono
custodi per ogni Tempio, ma ora, il nostro Tempio ha cessato le sue
funzioni, il Male l'ha raggiunto e la nostra missione è al termine.
Crediamo che le Sacre Lame che tu stringi con tanto calore siano ora
in mani sicure e sarà vostro compito recarle alla loro prossima
Dimora e consegnarle a coloro che continueranno il nostro compito.>>
<<Dove Padre?>> lo interpellò il mio amico.
<<A Nord, nella terra dove l'Uomo incontrò Dio.>>
<<Nel Sinai?>>
<<Nel Sinai!>>
continua...........................