Trieste
- La Vedetta Liburnia di Aurisina e la Torre Piezometrica |
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Invece la popolazione, di oltre milleduecento anime, ha solo una cisterna.
La cui acqua non basta nemmeno per quattro mesi all’anno, per cui
bisogna recarsi “collo spendio di trequarti d’ora fra andata
e ritorno ad una sorgente presso il mare e ciò per aspra strada
o addirittura mandare i carri a San Giovanni di Duino”. All’istanza
è allegata una “mappa censuaria della Comune di S.ta Croce
nel Litorale, Territorio di Trieste”.
Appena nel marzo 1862 il Comune di Trieste informa della questione la Direzione dell’Acquedotto Aurisina, ricordando che “ripetute volte gli abitanti del villaggio hanno chiesto che fosse accordato uno sbocco d’acqua, ad essi stato promesso in compenso del fondo comunale occupato per l’acquedotto” ed invitandola perciò “a voler dichiararsi, in qual modo ritiene di venir incontro alla domanda dei medesimi”. La discussione si trascina negli anni seguenti, con un tentativo di coinvolgere anche la Società della Ferrovia Meridionale (Südbahn – Gesellscahaft), che però declina ogni responsabilità nel merito, in quanto la Direzione dell’Acquedotto Aurisina, all’epoca in cui aveva ceduto gli impianti (1858), si era assunta l’obbligo di definire tutte le pendenze relative all’occupazione dei fondi. Gli abitanti di Santa Croce dovettero quindi attendere ancora a lungo, prima di ottenere finalmente l'acqua, Abbandonata nel secondo dopoguerra, la torre fu riadattata ed attrezzata a vedetta nel 1985, a cura della sezione CAI di Fiume, per celebrare il proprio centenario. (a destra la targa che ricorda i lavori eseguita dall'Impresa Innocente e Stipanovich e sotto quella del CAI) - Da: carsosegreto.it |
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La torre maggiormente famosa in tal senso è la vedetta Liburnia, costruita nel 1854-56 dall’ing. Carl Junker, responsabile dell’acquedotto di Aurisina e del castello di Miramare. La torre manteneva alta e costante la pressione dell’acqua destinata alla Ferrovia Meridionale, rifornendo l’adiacente stazione. Di lì a poco verrà infatti inaugurata la prima linea ferroviaria Trieste-Vienna. Passando al Porto Vecchio chiunque può ammirare due altri esempi di torri piezometriche rispettivamente all’ingresso dal largo Santos, avvolta nell’edera e annesse, a mo’ di castello, alla Centrale Idrodinamica. In quest’ultimo caso mantenevano costante la pressione per tutti i 6 km delle tubature destinate ad alimentare sottoterra le gru idrauliche dell’ex area portuale. La Torre di Sistiana in sé è un esempio standardizzato dell’architettura del periodo, identica a strutture del genere in Lombardia o in Piemonte. In buon stato di conservazione, perché tutt’oggi usata tanto per l’impianto idrico, quanto per quello elettrico, è stata rialzata nel 1971. Trieste nel corso dell’ottocento soffrì indicibilmente la mancanza di un rifornimento di acqua potabile, sacrificato man mano alle necessità dell’industria e dei trasporti: l’energia a vapore richiedeva acqua per funzionare; e tra le necessità della popolazione di basso ceto e i monopoli delle ferrovie e dell’industria pesante, furono i primi ad avere la peggio. In tal senso si potrebbe inquadrare le ondate epidemiche di colera e la cattiva condizione delle periferie dell’epoca come una conseguenza della mancanza di un adeguato sistema idrico. La scelta del partito liberal-nazionale a Trieste di appaltare a società private la gestione dell’acqua ebbe conseguenze pesanti per la città: in tutto l’impero austro-ungarico Trieste era la città con il più alto prezzo dell’acqua. La Società Aurisina, responsabile dell’omonimo acquedotto, massimizzava il profitto e come tale non cambiava mai i filtri. L’acqua inquinata provocava ripetute epidemie di tifo tra il proletariato, a sua volta accusato di diffondere il morbo perchè “immorale” o “barbaro”. Pur a fronte delle difficoltà proprie dell’entroterra carsico, la mancanza di acqua era dunque una condizione artificialmente creata. Un tentativo di risolvere in via definitiva queste mancanze, anche nel contesto di una crescita che fosse economica e demografica, si ebbe negli anni Venti, quando fu costruito l’acquedotto Randaccio. Intitolato al Maggiore morto nel famigerato attacco della Quota 28 a sud del Timavo, l’acquedotto utilizzava come fonte d’approvvigionamento le sorgenti del Sardos, connettendole a propria volta con le fonti di Aurisina. La nuova opera idraulica aumentava il flusso a 75mila m3 giornalieri tramite la nuova adduttrice 900mm posta lungo il sedime della Strada Costiera. L’Acquedotto verrà poi potenziato nel 1947, 1952 e 1971, aggiungendovi le risorgive del Timavo, oggigiorno invece utilizzate come riserva. Un’importante svolta avvenne nel 1971, con la costruzione della condotta sottomarina, del diametro di 1300mm, che passava dal Villaggio del Pescatore, fino al Golfo di Trieste. Durante gli anni Ottanta avvenne l’ultima, grande, opera pubblica in tal senso con la realizzazione dei pozzi isontini che posero “in sicurezza” il sistema idrico triestino. La costruzione dell’acquedotto rientrò tra le opere promosse dal Regime; e per la stessa Trieste rappresentò un banco di prova in un anno, quale quello della crisi del ’29, particolarmente difficile. La Rivista mensile della città di Trieste ripercorse un anno dopo le tappe della costruzione, col tono oggigiorno divenuto caricaturale caratteristico del periodo. Il giornalista ricordò che “La deliberazione del Podestà Pitacco porta la data del 4 luglio 1928; il 12 luglio dello stesso anno la deliberazione podestarile riceveva la conferma della Giunta provinciale amministrativa; nello stesso mese l’ ing. d’Acunzo, incaricato della direzione dei lavori sul progetto da lui stesso fornito, iniziava l’opera”. Le tabelle di marcia rapide e incalzanti erano la firma di un regime che non voleva e non poteva spettare; infatti, ricorda l’autore, l’opera “Doveva essere compiuta entro l’autunno 1929; ma entro l’estate l’acquedotto avrebbe dovuto funzionare“. Eppure le avversità naturali resero difficile la costruzione, a partire dal “terribile inverno del 1929 (uno dei più tremendi che siano ricordati a memoria d’uomo). Nel gennaio, febbraio, marzo del 1929 su tutta la nostra Regione imperversarono nevi mai vedute e bora infernale”. Le scadenze obbligarono a tentare di lavorare nel pieno delle nevicate: “quando gli operai si accingevano a vuotare gli scavi dalla neve, altra neve, a turbini, scendeva a riempire i vuoti; il freddo era inaudito e impediva ogni movimento”. Per complicare la situazione, “la bora trasformava la valle di Medeazza in una zona percossa da un turbine rotante, d’una velocità e d’una violenza cui nessuno poteva resistere”. Pertanto “impossibile il lavoro manuale su nessun punto dei 28 chilometri di estensione dell’acquedotto”. Non rimase che aspettare aprile e maggio, quando i lavori ripresero con rinnovata intensità, a tal punto che “Nel settembre 1929 l’opera era molto innanzi, con grande sorpresa di persone in grado di valutare le difficoltà del lavoro”. Tuttavia “rimanevano parecchi punti oscuri: mancavano i filtri; mancavano gli sfiatatoi; tutta la condotta, fra S. Giovanni di Tuba e Oretta era scoperta”. E proprio a questo proposito compare, nell’articolo, la prima menzione della torre piezometrica, definita come “la torretta di equilibrio, in vetta al colle che guarda Sistiana aspettava di essere rivestita“. Il sindaco e i tecnici guardavano con malcelata preoccupazione alla fine dell’estate ormai incombente, ma l’ing. D’Acunzo mantenne un’assoluta fiducia nel progetto: “Ho promesso che l’acqua sarà immessa nell’acquedotto entro l’ estate; questo avverrà!”. E così effettivamente avvenne: “il 19 settembre 1929 (due giorni prima che l’estate finisse) il Podestà veniva invitato ad “immettere l’acqua nell’acquedotto“. Fonti: Realizzazioni fasciste: una visita all’acquedotto nuovo, in Rivista mensile della città di Trieste, A. 3, n. 7, luglio 1930 ( Fonte: La curiosa storia della Torre Piezometrica di Sistiana - di Z. Saracino - 28.08.2021) |
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