Trieste - Carso triestino

La Rocca di Monrupino

1 - La rocca di Monrupino, nella lingua slovena chiamata Repentabor ovvero "rocca fortificata" è situata sulla sommità del colle di Monrupino; il panorama, che si gode da qui è incantevole: a sud la vista scorre lungo l'altopiano carsico, a ovest si possono scorgere il mare Adriatico con le foci del fiume Isonzo, la cittadina di Grado e l'isola di Barbana e ad est il monte Nanos ed il monte Caven. Prima della rocca, sulle pendici del colle, era situato un castelliere protostorico fortificato, risalente alla metà del secondo millennio avanti Cristo, a testimonianza del quale oggi rimangono resti delle sue muraglie, con un perimetro lungo ben 1600 metri. Per la sempre rilevante posizione strategica, questo luogo venne più volte fortificato, sia in epoca romana che nel corso del Medioevo, rappresentando un fondamentale punto di riferimento difensivo per gli abitanti del luogo. Quando, a partire dal 1470, iniziò il periodo delle scorrerie turche, furono proprio gli abitanti a costruire intorno alla chiesa che vi sorgeva - menzionata per la prima volta in un documento vescovile dell'anno 1316 con il nome di "Sancta Maria Reypen" - un rozzo muro, non molto spesso, ma con un legante molto fermo, che in slavo veniva chiamato “tabor”.
Vicino all'entrata principale si vedono ancora i resti della Torre del Tabor con un arco murato, tratti della cinta muraria e la cisterna, oggi inutilizzata ma un tempo presenza indispensabile per la vita del luogo. Una volta cessato il pericolo rappresentato dalle scorrerie dei Turchi, iniziò la ricostruzione della preesistente chiesetta, riconsacrata nel 1512 dal vescovo di Trieste Pietro Bonomo, con uno speciale regime di indulgenze per i pellegrini e i devoti. La chiesa attuale, Santuario Mariano, è invece frutto di rifacimenti ed interventi settecenteschi, mentre il suo campanile - alto 19 metri è visibile da tutto il Carso - fu eretto solo nel 1802. Altra costruzione di quel periodo è costituita dagli edifici dell'attuale Canonica, dove il portone ad arco reca incisa la data 1559. Questa costruzione, oggigiorno è adibita ad attività parrocchiali. Ultimo edificio ospitato nella rocca, posizionato sulla rupe più alta del colle, è l’antica Casa del Comune, una piccola costruzione quattrocentesca in pietra, nella quale una volta si riuniva la “srenja”, cioè l’assemblea dei capifamiglia. L'aspetto esteriore della rocca è rimasto immutato sino al 1983, quando sotto la guida del parroco, venne iniziato un restauro completo, ultimato nel 1990. Ogni due anni, nel mese di agosto, presso la rocca di Monrupino si celebra la famosa manifestazione delle Nozze Carsiche. (da: www.wpeople.it)

Uno scorcio di Medioevo (la rocca di Monrupino/Repentabor). Al centro si vedono ancora i resti di un rozzo muraglione con murata una porta d’entrata ad arco: è l’antico Tabor, che per un piccolo tratto di muro si appoggia dietro sulla sacrestia, l’edificio a sinistra rispetto alla chiesa. L’impianto murale originario del Tabor, a pianta rettangolare, è databile dagli studiosi, dopo un’analisi stratigrafica muraria (Duiz) attorno al XIII secolo, perché morfologicamente molto simile alla trecentesca torre di Donota (in via Donota) e quella Rampana (in via delle Mura). Si narra come in quel periodo i templari avessero costruito proprio questa torre di vedetta dalla quale si poteva spaziare su tutto il territorio circostante e seguire per un lungo tratto la strada sottostante, che da Vipacco conduceva a villa Opicina e a Trieste. (Fonte: Dino Cafagna)

Questa rocca, per le sue caratteristiche, fu prima un castelliere (villaggio fortificato) preistorico e poi castrum romano. Nel medioevo fu edificata e fortificata soprattutto per far fronte alle incursioni turche. I Turchi comunque non erano quelli che pensiamo noi, cioè dei militari ottomani, che si spingevano fin oltre i loro territori, ma erano così definiti quelle bande di banditi per lo più bosniaci (Kandler), di religione musulmana, che, dopo il 1469, spadroneggiarono a cadenze più o meno regolari nell'entroterra triestino e nelle regioni limitrofe. Alcuni erano dei militari sbandati, che dopo la fine delle guerre, non avendo nessuna intenzione di ritornare a lavorare nei campi, trovavano più redditizio e conveniente rapinare i villaggi isolati; altri erano delle vere e proprie milizie ben organizzate. Non erano molto numerosi; tuttavia, per potersi spostare agilmente, usavano i cavalli, erano equipaggiati con armi leggere, prevalentemente armi bianche, e le loro incursioni erano di durata piuttosto breve. Non essendo retribuiti, dipendevano completamente dal bottino che riuscivano a rimediare. La loro caratteristica era quella di essere particolarmente feroci, di sgozzare con facilità chiunque si mettesse sulla loro strada, di razziare tutto, uomini e bestiame, distruggere e incendiare interi villaggi, di depredare le chiese, di far talvolta prigionieri uomini, donne e bambini da rivendere come schiavi o da utilizzare per un più redditizio riscatto. I villaggi sperduti e indifesi del Carso, posti sulla strada per raggiungere il più ricco Friuli, allora in mano veneta, erano da loro preferiti.
Le popolazioni del Carso, terrorizzate, venivano lasciate completamente sole, in quanto il potere centrale non aveva la possibilità di aiutarli, in più queste tecniche “mordi e fuggi”, in continuo movimento, quasi come i popoli della steppa, erano del tutto sconosciute alle tattiche militari di allora, mettendo in crisi l’organizzazione militare sia veneziana e sia austriaca, abituate a un modo diverso di operare. Alle popolazioni non restava altro che arrangiarsi da sole, costruendo, in luoghi sicuri, delle semplici fortificazioni, anche in rozza muratura (chiamata con voce slava: tabor), aspettando che le incursioni avessero rapidamente termine, vista l’impossibilità di affrontare da soli il nemico ad armi pari. Quando i Turchi venivano avvistati, gli abitanti dei villaggi correvano a rifugiarsi entro la piccola cerchia murata. Erano comunque sopportati, talvolta favoriti, dalle potenze vicine, che vedevano in questi invasori un mezzo per indebolire e screditare le terre confinanti.
Ricostruire con precisione il percorso delle bande turche nel nostro territorio è impossibile, dato che le cronache del tempo erano comprensibilmente confuse e perché le bande si frazionavano e ricomponevano continuamente, ritornando a volte sui loro passi. Sappiamo tuttavia che il Carso da Basovizza a S. Croce, ma anche da Duino a Monfalcone, venne più volte visitato da costoro, che calarono poi anche a Bogliunz. Una sola volta, nel 1471 (Kandler), essi raggiunsero Trieste, accampandosi sotto le mura, fuori la porta di Riborgo, spaventando a morte i triestini, che, organizzatisi, uscirono a dar battaglia e a cacciare i predoni fino alla piana di Zaule e poi fino alle terre di provenienza. Sotto: la porta di Riborgo e le mura medievali, in un dipinto del 1600 (area corrispondente oggi al Largo Riborgo). (Fonte. Dino Scafagna)

Santuario di Monrupino La cima della rocca di Monrupino è cinta da un possente muro di pietra a tratti alto anche 8 metri, interrotto da una porta, sulla cui sinistra si possono vedere i resti di un muraglione rozzo: il Tabor, di cui si vede anche un piccolo tratto di muro che si appoggia alla sacrestia, l’edificio a sinistra rispetto alla chiesa. I Tabor erano le cinte di difesa costruite dalle genti locali sul finire del 1400 per resistere alle invasioni dei turchi. La chiesa di Santa Maria Assunta è costruita interamente in pietra, come tutte le costruzioni tradizionali con tetto in lastre di calcare e il campanile addossato alla facciata, come accade in altre chiese dei paesi carsici italiani e sloveni. Le origini della chiesa, datata al 1512, sono mescolate alle leggende come l’esistenza di una precedente cappella dei Templari o come quella della lotta fra il Diavolo e la Madonna per la costruzione della chiesa, ostacolata dal primo e voluta dalla seconda che nel momento stesso in cui schiacciò il Diavolo lasciò la sua impronta su di una pietra che ora si trova alla base della Casa comunale, sulla sinistra della chiesa. (da: percorsiprovinciats.it)

Un castelliere si snoda alla base del colle ed è ancora facile seguirne la cinta muraria, soprattutto in certi punti. Si ritiene che il colle sia stato occupato poi dai romani e che la chiesa originaria sia stata eretta dai templari. La prima citazione della chiesa risale al 1316. I nomi più antichi si rifanno al Castrum Rupinum e alla Villa Mons Rupensis, ma la leggenda si amalgama alla storia, tingendola di mistero. Il vecchio tabor - luogo fortificato - lasciato in abbandono, venne occupato da qualcuno che di notte passava con rumor di zoccoli tra le case circostanti facendo sparire galline ed altri piccoli animali. Si pensò al diavolo. Un primo tentativo dei paesani di salire al colle venne respinto da fascine di fuoco. Il passaggio di un cavaliere fu occasione per incaricarlo di un suo intervento, ma il risultato fu lo stesso. Sempre più certi che si trattasse della presenza del diavolo, i locali si rivolsero al vescovo, che venne respinto alla stessa maniera da chi occupava il tabor.

L’invito fu di invocare l’intervento della Madonna per risolvere la situazione. In una notte di tempesta, tra tuoni e fulmini avvenne un qualcosa di inspiegabile. Il mattino dopo un cielo terso vide i villici salire timorosi alla vetta. Non vi trovarono nessuno ma sul masso ai piedi della casa di pietra è ancora oggi visibile l’impronta di un piede – quello della Madonna secondo i villici - e sull’albero di tiglio la coda del diavolo. Rep na Tabor significa in lingua slava la coda sul tabor, da cui deriverebbe il nome di Repentabor, nome sloveno del luogo. Il tabor ospitò così la prima chiesa dedicata alla Madonna. La parte più antica pare essere l’abside in stile gotico, la chiesa venne ingrandita e riconsacrata nel 1512, anno che vide forse anche la costruzione dell’attuale campanile. La data del 1802 che si nota scolpita è quasi sicuramente riferibile a qualche intervento di manutenzione o restauro. Risalgono al 1559 gli altri edifici, appoggiati al muro del tabor, con i caratteristici tetti in pietra, le finestre piccole. Un luogo intriso di storia, una tappa di riferimento che sorge dove all'inizio del nuovo millennio è caduto l’ultimo confine. (da: http://www.carsokras.eu)
Per tradizione si ritiene che la pietra sia anche in grado di favorire la maternità; le donne che hanno qualche problema ad avere figli, poggiano e sfregano il loro ventre contro la superficie del sasso per favorire la procreazione. (Fonte: Dino Cafagna)


Sgonico

Il toponimo Sgonico, attestato in questa forma dal 1309, deriva da Zvonìk e significa campanile. La prima menzione di Sgonico avviene in un documento del 1275, usando il toponimo Suonich. Altre fonti tra la fine del Duecento e l'inizio del Trecento nominano altre località del comune. Nel 1494 Sgonico è sede di un comunale andando a comprendeva anche Sales e successivamente, Rupinpiccolo, pur rimanendo soggetta alla giurisdizione dei Signori di Duino. Nel 1811 Sgonico diventa sede comunale vera e propria e ha potere su un territorio più ampio dell'attuale. Infatti esso ha giurisdizione anche su alcune località attualmente facenti parte dei Comuni di Duino-Aurisina e Monrupino. Solo con la creazione dei Comuni di Aurisina e Rupingrande alla metà dell'Ottocento Sgonico vedrà ridursi i confini comunali. Nel 1863 Sgonico divenne parrocchia a sé stante, facente parte dell'arcidiocesi di Gorizia. Dopo la prima guerra mondiale il territorio passerà all'Italia e, nel 1923, verrà inserito nella provincia di Trieste. (Da Wikipedia)

La chiesa di San Michele Arcangelo si trova nel capoluogo del comune di Sgonico (Zgonik), in provincia di Trieste. Esistente già nel secolo XVI, fu più volte rimaneggiata e l’edificio che oggi presenta forme più recenti L’ingresso è preceduto da un cortiletto in cui è piantato un bel tiglio e sopra il portale c’è una lapide raffigurante San Michele. È affiancata da un alto campanile, staccato dalla chiesa. La chiesa di San Michele Arcangelo è a navata unica, che si presenta completamente bianca. Nell’abside di stile gotico, un altare maggiore barocco con statue in marmo e un’icona di Cristo. Nella navata un altro altare con statue ligne e vari affreschi del XIX-XX secolo. Nel soffitto, all’interno di riquadri, è raffigurata la Madonna Immacolata. (da: viaggioinfriuliveneziagiulia.it)




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