Trieste - Il Canal Grande e Via Gioacchino Rossini



Sopra a destra: La targa in memoria dell'Imperatrice Maria Teresa in Borgo Teresiano. Il Borgo Teresiano fu progettato per dare un po' di respiro e sviluppo alla città che stava assistendo al fiorire del commercio portuale. Venne ricavato dall'interramento delle saline della città, urbanizzando un'area al di fuori dalle mura. Con il suo asse viario a trama ortogonale, è uno dei primi esempi di piani regolatori cittadini moderni. Il Borgo Teresiano si sviluppa tra la via Carducci, il corso Italia, la stazione ferroviaria e le rive.

Sopra e a sinistra:
I due mascheroni sporgenti, posti alla attuale fine del porto canale, risalenti al 1700, epoca in cui il canale fu creato e sitemato per accogliere i velieri, servivano al rifornimento .di acqua dolce per gli equipaggi. L'acqua proveniva dal fontanone che si trovava in Via della Zonta, rifornito a sua volta dal torrente Staribrek, Oggi il fontanone non esiste più, mentre la condotta sottomarina che portava l'acqua ai due mascheroni è andata danneggiata durante la costruzione della Chiesa di Sant'Antonio iniziati nel 1925. La condotta non fu mai riparata e oggi i due mascheroni fanno da sfogo all'acqua della fontana davanti alla chiesa.

A sinistra:
Le antiche bitte d'ormeggio del 1700, detti "garofolini", quando nel canale, grazie ai ponti mobili, entravano i velieri.
Sono in pietra bianca del Carso alti un metro e infissi nel terreno per il loro doppio e la forma a fungo serviva per evitare che le cime di ormeggio si sfilassero..

Sopra: Il marometro posto alla base di una delle vecchie piazzole che sostenevano il vecchio ponte mobile e posta all'altezza del civico n. 10 di Via Rossini. Si tratta di una pietra graduata che segna l'altezza del punto zero sul livello del mare e le escursioni di marea.
Curiosità: (Fonte: Paolo Rumiz nel suo 'Viaggio a piedi in Istria ) "Durante la traversata Cesare Tarabocchia da Lussino raccontò una storia stupefacente. Disse che nel 1918, col passaggio di Trieste all'Italia, il punto zero trigonometrico agganciato al livello del mare non fu più calcolato sull'Adriatico settentrionale, ma sul Tirreno, con punto di riferimento Genova. E poiché il mare d'Occidente era mediamente più basso di quaranta centimetri rispetto a quello d'Oriente, il livello reale del mare a Trieste risultò quasi sempre superiore a quello virtuale impostoci dai tirrenici, il che falsò dalle nostre parti le misure altimetriche calcolate su quello zero d'importazione. C'erano sempre quaranta centimetri in meno. Gli italiani ignoravano che tutto il reticolo delle altimetrie austro-ungariche era stato costruito proprio a partire dallo zero triestino, e per la precisione sul livello del mare nel canale di Ponterosso, misurato dai geografi imperiali. Non sapevano che l'altezza dei monti transilvani e della Slovacchia, dei campanili dell'Ungheria e del Tirolo, delle colline di Moravia e delle isole dalmate, tutto dipendeva dal mare di Trieste, primo porto dell'impero. Ma anche dopo il 1918 le nazioni nate dalla dissoluzione dell'Austria-Ungheria conservarono le trigonometrie imperiali. Tutte, salvo l'Italia alla frontiera dell'est. Col risultato che oggi, dal Lago di Costanza ai Carpazi, le altimetrie di mezza Europa sono calcolate su una città che per una beffa del destino non può misurare in modo veritiero nemmeno se stessa."

Il Canal Grande, con imbocco dal Bacino di San Giorgio, nel Porto Vecchio è a tutt'oggi navigabile e si insinua nel cuore del borgo voluto a metà del XVIII secolo da Maria Teresa d'Austria. Realizzato nel 1756 dal veneziano Matteo Pirona scavando il collettore principale delle saline originariamente presenti sul luogo. Inizialmente si trattava di una vera e propria darsena che arrivava fino all'attuale chiesa neoclassica di Sant'Antonio Nuovo
La parte terminale del canale fu interrata con le macerie della città vecchia dopo la fine della prima guerra mondiale e corrisponde all'omonima piazza.
La presenza di tre ponti girevoli consentiva ai velieri di giungere fino al cuore della città per scaricare le merci.
Oggi dei tre ponti ne sopravvivono due ma rimane il nome dell'attuale piazza Ponterosso a memoria del colore di uno dei tre originari. Sopra il ponte centrale, una statua riproduce un frettoloso James Joyce forse diretto verso la sua abitazione nel vicino palazzo che ospita oggi un caffè a lui dedicato.
Nei decenni scorsi le vivaci venderigole (venditrici in dialetto) offrivano frutta, verdura e fiori in un mercato allestito all'aperto, oggi ancora presente. La fontana della piazza era alimentata dall'acqua di una sorgente del rione di San Giovanni, il cui putto è stato per questo battezzato dai triestini Giovanin de Ponterosso.

L'edificio in Via Gioacchino Rossini n.10, noto come Casa Biasoletto, stilisticamente legato all'attiguo fabbricato d'angolo tra via Roma e via Rossini, è stato costruito nel 1821 su progetto dell'architetto Giovanni Righetti. Attorno al 1839 vennero apportate alcune modifiche ad opera di Valentino Valle. In origine l'edificio aveva solo due piani, l'elevazione del terzo piano venne realizzata nel 1851 su disegno dello Smetich. Tuttavia, nella relazione allegata al decreto di vincolo della Soprintendenza, si fa riferimento all'architetto Leopoldo Colnhuber come autore di questa sopraelevazione. All'interno del palazzo, il soffitto dell'atrio presenta un affresco raffigurante un'allegoria della Grecia vittoriosa sui turchi con l'aggiunta delle date 1821-1881. Probabilmente il dipinto fu commissionato dal proprietario dell'edificio, di origine greca, nel sessantesimo anniversario della rivoluzione greca. I fregi esterni: Tre pannelli a bassorilievo con scene di putti. Il pannello a sinistra raffigura un baccanale con fanciulli e faunetti che giocano, quello centrale putti che reggono ghirlande e due amorini con l'effigie di Mercurio. Il pannello di destra raffigura putti con la capra Amaltea che portano Bacco in trionfo. Il fregio, per la sua somiglianza con i bassorilievi presenti nel Palazzo della Borsa Vecchia, è attribuito ad Antonio Bosa, allievo del Canova. (da:http://biblioteche.comune.trieste.it)

Casa Galatti: L'edificio, dalle elaborate linee architettoniche, sorge all'angolo tra le vie G. Rossini (già Contrada della Posta) e Trento (già Contrada dei Carradori). L'affaccio principale prospetta via G. Rossini. Sette eleganti paraste di ordine gigante, decorate da motivi a rilievo di carattere floreale e zoomorfo, ne scandiscono la parte centrale coprendo in altezza due piani (il primo e il secondo). All'animazione di facciata concorrono inoltre finestre e porte-finestre coronate da timpani triangolari, cornici marcapiano, mensole a voluta, nonché riquadri su cui campeggiano leoni alati scolpiti a bassorilievo. Le specchiature sono collocate sotto il davanzale delle finestre, che ne risultano cosí abbellite. Al primo piano, inoltre, la presenza di un grande poggiolo dalla ringhiera in ferro battuto. Tali elementi sia testimoniano la scelta di rinnovare, interpretandola, la migliore espressione del neoclassicismo urbano, sia costituiscono un indubbio simbolo dell'intraprendenza commerciale dei committenti del palazzo. Lo stabile fu infatti per lungo tempo - fino al 1898 - residenza effettiva dei conti Galatti. La famiglia, di origine greca, giunse a Trieste dalla lontana isola di Chios attirata dalle prospettive commerciali offerte a quel tempo dal Porto franco.

L'abitazione sorse sui fondi contrassegnati dai numeri 807, 881, 882 pertinenza dell'allora Commendatore Giuseppe Muratti che, dalla famiglia Rossetti proprietaria dell'immobile a partire dal 1782, ereditò uno stabile piuttosto fatiscente. I lavori di costruzione non principiarono antecedentemente al 1883. Il palazzo fu quindi ceduto il 18 aprile 1883 ai fratelli Costantino e Stefano Galatti per un ammontare complessivo di 240.000 fiorini. Peraltro il primo progetto di Casa Galatti risale al 1850 ed è opera di Andrea Seu, capomaestro muratore. Tuttavia, nonostante l'approvazione del Magistrato Civico competente, il progetto non venne realizzato: mancò l'assenso di Anna Apostolopulo Carciotti e di Maria Carciotti Omero che possedevano gli edifici confinanti. Tra il primo e il secondo piano è visibile una lapide commemorativa. Voluta da Giuseppe Caprin, in memoria della morte di Domenico Rossetti avvenuta nel 1842, vi si legge: MDCCCXCII / in onore/ di/ Domenica Rossetti/ vissuto alla patria/ qui morto nel MDCCCXLII/ il Municipio. In realtà l'iscrizione tende a creare degli equivoci: induce infatti a credere, erroneamente, che l'illustre cittadino triestino sia morto proprio in quello stabile. Rossetti invece si spense nella casa di sua proprietà in seguito demolita. Trasferitasi a Vienna, la famiglia Galatti continuò a rimanere in possesso dell'immobile fino al 1979, anno in cui lo cedette all'ing. Sergio Zini. (da: biblioteche.comune.trieste.it)

Sopra e a sinistra: Case Hierschel - Di Lenardo: Nel 1825, subito dopo la progettazione di Palazzo Vucetich, sempre l'arch. Antonio Buttazzoni eseguiva queste case attigue che si trovano lungo il Canale. Sono due edifici di identica fattura che costituiscono un unico blocco; la sola differenza è data dalla maggior ampiezza di quella verso sinistra, che comprende due finestre in più. Si tratta di una delle opere che contribuirono al rinnovamento della zona e che non si limita al fondale, dove di lì a pochi anni sorgerà la chiesa di Sant'Antonio, ma si estende anche alle quinte laterali. L'attuale aspetto non corrisponde, però, al progetto del Buttazzoni, ma rappresenta il risultato di ripetute modifiche apportate dal Vittori (1882) e dal Geiringer (1897), che hanno aggiunto ai palazzi decorazioni di sapore eclettico, celandone l'originaria impostazione neoclassica. (da: http://members.xoom.it)

Casa Biasoletto-Homero divisa in due sezioni, opera del ticinese Giovanni Righetti ed eretta nel 1821. La prima sezione ha subito modifiche nell'impaginazione della facciata in periodi successivi; tuttavia, questi interventi posteriori si sono mantenuti su una linea di complementarietà e rispetto senza sconvolgere completamente il progetto originario. Infatti, la scansione dei piani, i rapporti tra pieni e vuoti ed il ritmo elegante e decoroso di questa facciata rimangono la logica conseguenza della proposta avviata dalla sezione accanto. Probabilmente, i pannelli a bassorilievi rappresentanti dei puttini che si muovono elegantemente, sono opera dello scultore bassanese Antonio Bosa il quale, in una lettera alla Deputazione di Borsa, attribuisce a se stesso la paternità (da: http://members.xoom.it)
Casa Reyer-Reinelt, Progetto dell'architetto Ruggero Berlam (1854 - 1920) situata tra Via Gioacchino Rossini 6, Via Nicolò Machiavelli 5 e Via Trento 2 - Oggi del palazzo originale rmane solamente il portone settecentesco posto in Via Trento. Ultimo proprietario fu il commerciante di caffè Franceso Taddeo Reinelt erede della ditta (1799 Casa Reyer & Schlike), dalla quale il palazzo prendeva il nome. Reinelt fu il triestino più ricco della fine del 1800. Oggi sede della Friulia. vi ebbero sede: il Comando Legione Territoriale della Finanza (1923), il dopolavoro poligrafici Filippo Corridoni e Guido Presel (1942), il DMM (dopolavoro internazionale Marina Mercantile), la Società Ars Amici (1930) la sala di lettura del GMA (1947-1954), l'USIS



Questo sito con gli scritti e le immagini che lo compongono
è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons
Creative Commons License