Trieste - Corso Italia, Largo Riborgo e Via degli Artisti

Corso Italia rappresenta, sul piano topografico ed urbanistico, la divisione creata tra le due realtà urbanistiche diverse: la città vecchia e quella nuova, Il Borgo Teresiano. La via andò formandosi sulle prime saline interrate, dopo la demolizione delle mura cittadine. Nel 1749 le saline arrivavano almeno fino a via San Spiridione, la restante zona era ricoperta di prati e abbondante vegetazione, per coprire le saline furno impiegati i carcerati che portarono la terra dal colle di Montuzza, iniziando così a creare la "Contrada Grande".
Il Corso ebbe denominazioni diverse. Contrada Grande o Larga nel 1776, ma anche, di Vienna, per la presenza, tra la chiesa di S. Pietro e la casa n.502, di una porta che, prima dell'apertura della Via Commerciale, nel 1779, permetteva l'uscita dalla città in direzione di Vienna. Contrada del Corso nel 1783. Fu dall'inizio la strada principale e più affollata di Trieste. Assunse il nome di Corso solo nel 1783, quando, sotto il governatore Pompeo de Brigido, incominciò, negli ultimi giorni di Carnevale, ad esser percorsa dalle carrozze. Il corso di carrozze si fece ogni anno più intenso e nel Carnevale 1830 il nome divenne definitivo. Nel 1919 il Corso fu intitolato a Re Vittorio Emanuele III, poi Corso Ettore Muti nel 1943, Corso Tito durante l'occupazione titina di 40 giorni nel 1945 e alla fine Corso Italia il 21 aprile 1988 con il ricongiungimento di Trieste all'Italia.
L'arteria si snoda abbastanza irregolarmente verso Piazza Goldoni, quasi sorvegliata dalla bronzea statua dell'imperatore Leopoldo I, ubicata in Piazza della Borsa per interessamento del conte Lowasz nel 1808. L’ultima parte del Corso, verso piazza Goldoni, era in quel tempo più larga, quasi simile ad una piazza, tanto che veniva indicata col nome di Piazza delle Pignate, perchè fin dal 1870 si teneva il mercato di stoviglie e pentole in metallo e terracotta. Cataterisica del Corso e quasi tutte le strade della città, sono le colonnine di pietra che erano disposte lungo i marciapiedi per proteggere i pedoni dalle carozze e dai cavalli, vennero tolte verso il fine del secolo. La lastricazione dell'intera via avvenne in periodi successivi, compresi tra il 1820 ed il 1825, allorquando il Comune decise di regolare le vie e le piazze della città sostituendo il vecchio ed irregolare selciato con uno più consono ed ordinato. Nel 1822 fu stipulato un contratto, con il muratore Giacomo del Ben, per la nuova pavimentazione dall'angolo di Casa Hierschel, in Piazzetta di Riborgo, fino alla Piazzetta di S. Lazzaro "detta, volgarmente, Piazza della Legna". Nel 1825, fu affidato, all'impresario Stefano de Marchesetti, il compito di collaudare il nuovo lastrico.
Le pietre, solidi blocchi di masegno estratti da cave "buone e ben soleggiate", furono disposte a spina di pesce su un letto di ghiaia ben battuta senza che, tra una pietra e l'altra, "vi restasse un solco maggiore di tre o quattro linee".
Il lato destro della via presenta edifici alquanto recenti, risalenti agli anni in cui la fisionomia di Città vecchia venne alterata da opinabili demolizioni: il palazzo delle Assicurazioni Generali con la Galleria Protti (ad opera di M. Piacentini, risalente al 1939), il Grattacielo di largo Riborgo dell'arch. U. Nordio (1936), il Palazzo del Banco di Napoli (1935-1936), la sede del Banco di Roma dell'arch. Slocovich (1932). Intervallano questi edifici, dando respiro alla contrada, Largo Riborgo creato negli anni Trenta modificando la vecchia Piazzetta S. Giacomo e Palazzo Hierschel, risalente al 1833, alterato, nella sua fisionomia originaria, nel 1951 con l'apertura della galleria Rossoni dove, dal 1976, trova posto la famosa libreria "I. Svevo". All'ultimo piano del palazzo c'era il noto studio fotografico aperto da Giuseppe Wulz alla fine dell'800. Il lato sinistro del Corso presenta edifici prevalentemente neoclassici: Casa Steiner, opera del Pertsch, al numero civico 4, la cosiddetta casa Ananian (poi Treves) al numero civico 12, opera del Polli e risalente al 1905. Seguono il Palazzo della Riunione Adriatica di Sicurtà ed altri edifici in stile liberty risalenti al primo '900. Tra questi spicca Casa Polacco, al n. 22 opera di Depaoli (1908). Si discosta il palazzo sede dell'Upim dell'arch. G. Zammattio del 1912. (da: biblioteche.comune.trieste.it)


Palazzo Ananian al n. 12 di Corso Italia.

Sopra e a sinistra: Palazzo Ananian (poi Treves) al n. 12 di Corso Italia. Fatto erigere da Gregorio Ananian Medico di famiglia armeno-cattolica, che aiutò i bisognosi e nel testamento previde una Fondazione oggi attiva in suo nome. Una lapide lo ricorda sull'edificio che fu progettato dall’architetto Polli tra il 1905 e il 1909. Gregorio Ananian, medico e ostetrico nato a Costantinopoli nel 1780 da una famiglia armeno-cattolica benestante, studia medicina a Padova e lavora a Parigi. Rientrato in patria è medico di corte presso il sultano Selim III e in particolare è attivo nell'harem gransignorile per le sue competenze di ostetrico. Trasferitosi a Trieste nel 1814, non esercita la professione ma si distingue per la generosità dei suoi interventi a favore dei più bisognosi .

La targa che si trova in corso Italia 12, su uno dei molti edifici che egli fece costruire, ricorda la sua attività di benefattore a beneficio di studenti poveri. L'edificio riedificato nel 1908 col suo patrimonio originariamente era a tre piani e nel 1819 l'architetto Fister nel 1819 l'aveva innalzata di un piano su richiesta del proprietario. Al piano terra si trovava la pasticceria Adolf Wunsch e al primo piano il Gabinetto Chinese, un esercizio a metà tra museo e negozio, dove al prezzo di 20 carantani (che venivano rimborsati all'atto di un acquisto) si poteva ammirare e scegliere tra una vasta campionatura di prodotti dell'arte e dell'industria dei paesi orientali. (Cmsa)

A sinistra e sopra: Corso italia 10

Casa Steiner al n. 4. L'edificio è stato progettato nel 1824 dall'architetto Matteo Pertsch. L'aspetto attuale del palazzo rispecchia quasi fedelmente l'idea originaria dell'autore; rispetto al disegno firmato da Pertsch sono state modificate le lesene, in origine lisce, i temi rappresentati nei pannelli a rilievo e il gruppo scultoreo a coronamento della facciata che non è stato eseguito nella realizzazione. L'attribuzione del pannelli decorativi della facciata risulta ancora aperta; la vicenda è legata ad una disputa tra Matteo Petrsch e lo scultore Antonio Bosa che in origine aveva ricevuto l'incarico di eseguire i pannelli, realizzati invece con ogni probabilità da Luigi Zandomeneghi. Il nome del palazzo deriva dal negozio di vestiti di Ignazio Steiner che qui si trovava agli inizi del Novecento. Alcuni studiosi tra cui il Rutteri hanno proposto la denominazione Czeicke, in ricordo del primo proprietario del palazzo. Nel 1824 sono state sopraelevate parzialmente le soffitte su progetto di Giovanni Scalmanini.
La struttura presenta pianta rettangolare con cinque livelli fuori terra. Affaccio unico su Corso Italia. La facciata si presenta tripartita con un corpo centrale sul quale si sviluppa una falsa loggia su tre piani. Il pianoterrra, realizzato a bugnato liscio, è caratterizzato da sette fori commerciali ad arco a tutto sesto e da un marcapiano aggettante, sorretto da mensole a finta travatura, su cui si imposta un balcone con balaustra in ferro battuto. Quattro lesene giganti scanalate di ordine corinzio si sviluppano, unendo tre ordini, nella parte centrale della facciata. Il primo piano presenta una porta finestra centrale e sei fori finestra coronati da lunette con rilievi. Al secondo e terzo livello fori finestra con cornice lineare in pietra. Tre pannelli decorativi arricchiscono la superficie centrale della facciata tra il secondo e terzo piano. Sopra il terzo ordine corre una fascia marcapiano aggettante in corrispondenza della loggia. Lo sporto di linda è decorato da una cornice a dentelli.
Tra secondo e terzo piano fregio formato da tre pannelli a bassorilievo raffiguranti allegorie delle Arti Maggiori. A sinistra l'Architettura, al centro la Pittura e a destra la Scultura. Le scene sono ambientate con sfondi architettonici e piante.
(da: biblioteche.comune.trieste.it)

Palazzo Greinitz dell'arch. G. Zammattio del 1912, con decorazioni Liberty del pittore triestino Pietro Lucano, tra Corso Italia, Via Giuseppe Mazzini, Via Santa Caterina da Siena e Via San Lazzaro.
"Nel rinnovo della "Piazza Nuova" (piazza della Repubblica), nell'isola compresa fra le vie San Lazzaro- Corso e via Santa Caterina, nell'agosto del 1909, viene costruito un palazzo per conto del consigliere commerciale Hans Dettelbach (fondatore della filiale di Trieste della società per azioni Greinitz di Gratz) dove, il 11 novembre 1911, in Corso N°18, verrà trasferito il loro negozio di ferramenta, metalli,( nel 1919 la Greinitz cederà le sue filiali di Trieste e Fiume alla Società Adriatica Ferramenta e metalli di Venezia). La progettazione sarà affidata all'architetto Giacomo Zammattio(1855-1927). Tale palazzo dalle linee liberty, elegantemente decorato da Piero Lucano, diventerà dal 1935 la sede storica di UPIM. Proseguendo lungo il Corso accanto al palazzo Dettelbach da poco concluso,." (Fonte: Margherita Tauceri - Trieste di ieri e di oggi)

Corso Italia n. 11
Sopra a sinistra: Casa Hierschel de Minerbi (Palazzo Rossoni) al n. 9 di Corso Italia, del 1833 in stile Neoclassico. Progetto dell'Architetto Antonio Buttazzoni per Mosè Hierschel, ricco mercante triestino. Al 1891 risale l'innalzamento progettato da Giovanni Battista Dreina, un attico arretrato rispetto alla facciata con una veranda vetrata che ospitò lo studio fotografico dei Wulz dal 1868 fino al 1981. Ristrutturato nel 1951 dal proprietario, il commerciante triestino Vittorio Rossoni, con la creazione al pianterreno di una moderna galleria con negozi su progetto dell'architetto Riccardo Melan.
Attualmente l'edificio ospita al pianterreno diverse attività commerciali e magazzini e ai piani superiori appartamenti. Descrizione morfo - tipologica:La struttura, a pianta trapezoidale, è costituita da quattro livelli fuori terra. Al pianoterra galleria passante da Corso Italia a Via degli Artisti. La facciata principale presenta al pianterreno un passaggio aperto caratterizzato da archi a tutto sesto sostenuti da pilastri con rivestimento in pietra. Al primo piano si aprono quattro fori finestra con timpano triangolare. Al centro un balcone con balaustra in pietra su cui si apre una porta-finestra. Il secondo livello presenta cinque fori finestra con cornici lineari aggettanti. A coronamento un eleganti cornice a triglifi. L'ultimo piano è caratterizzato da una terrazza a balaustra continua, con attico e veranda a vetri. L'edificio risulta importante anche la decorazione degli interni. Dal pianterreno si accede ai piani superiori attraverso una scala marmorea, a due rampe parallele, che presenta balaustra e colonne ioniche e una fascia di stucchi decorativi lungo il bordo superiore delle pareti. Al primo piano si trova un ampio atrio rettangolare con pavimento a riquadri di marmo grigio chiaro e nero, decorato da semicolonne ioniche in marmo e da lesene con capitelli a foglie di acanto. La sala più importante del piano nobile è decorata da riquadri raffiguranti paesaggi fantastici da Lorenzo Scarabelotto. Intarsi in legno e madreperla caratterizzano il pavimento. Le stanze che affiancano il salone centrale presentano decorazioni a monocromi e cornici in stucco. Il secondo e terzo piano, ampiamente rimaneggiati, sono destinati ad uso abitativo. Dall'appartamento del terzo piano si accede al sottotetto, alle due stanze sopraelevate e alla veranda. (da: biblioteche.comune.trieste.it)

A sinistra:
Casa Gellosig
al n. 21, costruita nel 1800 su progetto dell'architetto Sebastiano Zanon. Nel 1882 su progetto di Giovanni Berlam venne alterata parte della struttura interna e nel 1927 furono apportate delle modifiche al pianoterra
.La struttura ospita al pianoterra attività commerciali e ai piani superiori unità abitative. Descrizione morfo - tipologica:Il manufatto è costituito da quattro livelli fuori terra più due abbaini. Affaccio principale su Corso Italia e secondario su Via del Monte. La facciata presenta un pianoterra occupato da fori commerciali e da una superficie superiore costituita da tre ordini trattata ad intonaco con fori finestra rettangolari arricchiti da cornici lisce in pietra. Al pianoterra si apre un portale ad arco a tutto sesto, con mensola in chiave di volta, incorniciato da due lesene scanalate in pietra che sostengono un balcone con balaustra in ferro battuto decorata da motivi geometrici. Sul balcone del primo piano si apre una porta finestra con timpano triangolare (da: biblioteche.comune.trieste.it)

A destra: Palazzo Salem edificato nel 1873. Fu di proprietà della famiglia di Enrico Paolo Salem che ricoprì la carica di podestà di Trieste dal 1933 al 1938.
Enrico Paolo Salem (Trieste, 10 ottobre 1884 – luglio 1948) è stato un banchiere e politico italiano. Figlio di un matrimonio misto, tra padre ebreo e madre cattolica, fu con Renzo Ravenna a Ferrara uno dei due soli podestà fascisti di origini ebraiche in Italia prima dell'introduzione delle leggi razziali. Nacque a Trieste nel 1884 da un matrimonio misto tra padre ebreo e madre cattolica.[1] Il lato paterno della famiglia era originario dei Paesi Bassi, giunto in città mezzo secolo prima. Fu sia circonciso che battezzato. Irredentista, all'inizio della prima guerra mondiale si offrì volontario nelle file del Regio esercito. Fervente nazionalista, nel 1921 si iscrisse al Partito Nazionale Fascista. Nel 1923 acquistò il castello di Saciletto a Ruda e lo fece restaurare secondo canoni estetici d'ispirazione romantica.
Nel 1933 venne scelto come candidato podestà di Trieste, in quanto amministratore di banca, figura intermedia tra i fascisti più rivoluzionari e i conservatori legati all'establishment liberale cittadino. Venne nominato podestà il 21 ottobre 1933. Promosse numerosi lavori pubblici in città, deterrente alla disoccupazione, per il risanamento e l'abbellimento della città, tra cui nuove case per gli sfollati, la "tripperia" e il "frigorifero" per le carni, il mercato all'ingrosso di frutta e verdura, e fu per questo soprannominato «podestà picòn». Dopo le sue dimissioni, avvenute il 10 agosto 1938, e la promulgazione delle leggi razziali, venne sollevato da ogni incarico e con la sua famiglia fu in un primo momento perseguitato dal regime.


Il 6 dicembre 1938 indirizzò una lettera di sei pagine al Ministero dell'interno, rivendicando la propria fede fascista e la sua appartenenza alla razza ariana, soprattutto facendo leva sulla cittadinanza italiana conferita al padre nel 1881 e sulla madre ariana cattolica nata a Vienna e con nazionalità italiana. Il ministero procedette a riconoscere Salem come "non ebreo" con notifica alla prefettura di Trieste del 9 marzo 1939.[4] Trasferitosi prima a Firenze e poi a Roma, durante l'occupazione nazista vide i suoi beni a Trieste confiscati e finì per essere nuovamente perseguitato.[4] Riuscì tuttavia a sopravvivere alle vicissitudini della guerra e morì nel luglio 1948.[5] Dopo la sua morte gli è stata dedicata una via a Trieste. (Da Wikipedia)

Sopra: La sede del Banco di Roma dell'arch. Slocovich (1932)
tra Corso Italia e Piazza Silvio Benco

Sopra: Corso Italia 23: Edificio databile agli inizi del 1800. Nel 1887 veniva sopraelevato di un quarto piano dall'architetto Ruggero Berlam, che arricchiva la facciata con elementi decorativi dandole l'aspetto attuale. La struttura ospita al pianoterra attività commerciali e ai piani superiori unità abitative. Descrizione morfo - tipologica:L'edificio presenta pianta rettangolare con cinque livelli fuori terra. Affaccio unico su Corso Italia.

La facciata, trattata ad intonaco bianco, è scandita verticalmente da una serie di lesene e orizzontalmente da fasce marcapiano e marcadavanzale ad intonaco grigio. Il pianoterra, caratterizzato da rivestimento a bugnato liscio a fasce orizzontali, è caratterizzato da due fori commerciali e al centro da un portale ad arco a tutto sesto con mensola in chiave di volta e mensole laterali. Al centro del primo piano, in corrispondenza dell'ingresso principale, emerge un balconcino con balaustra in ferro battuto su cui si apre una portafinestra con trabeazione decorata da motivi a festoni e timpano curvilineo su colonnine. I fori finestra sono arricchiti da una cornice rettilinea aggettante in pietra. (da biblioteche.comune.trieste.it/


Corso Italia n.13 - Casa Pardo costruita nel 1913-1914 dall'imprenditore. Venezian - Architetto Enrico Nordio. Sede anche dell'Ordine dei Giornalisti del F.V.G. con il Circolo della Stampa e un tempo sede anche del famoso studio fotografico Ceretti.

Sopra:
Palazzo delle Assicurazioni Generali progettato dall'architetto Marcello Piacentini i cui lavori iniziarono il 1935 e si conclusero nel 1939. Lo attraversa la galleria pedonale intitolata ad Arrigo Protti e decorata con affreschi di Carlo Sbisà.

A destra:
Palazzo d'angolo tra via Silvio Pellico e Corso Italia della Farmacia già Rovis del 1903 degli architetti G.M. Skerl e F.E.R. Cavalieri - La casa appartenne a Marino Lousy, che la donò all'Istituto dei Poveri. Lousis (alla greca) o Lusy come si autodenominò in Svizzera, discendente da una ricca famiglia greca presente a Trieste tra otto e novecento, fu collezionista di arte orientale, la sua collezione di sirimono fu la più grande e importante d'Europa e molte di queste stampe fanno parte ora del museo d'arte orientale di Zurigo e alcune al nostro museo di via Cavana. Fu anche scalatore, una cima delle "5 torri" porta il suo nome ed un'altra via dolomitica fu a lui intitolata. Pittore incisore acquafortista e cultore dell'occultismo morì vicino a Montreux in Svizzera nel 1953. (Fonte: A. Sofianopulo).

A destra:
In Corso Italia c`è il Caffè Torinese, locale storico aperto nel 1919 con l`intervento dell`ebanista Debelli noto per aver arredato le navi passeggeri di inizio `900, Vulcania e Saturnia. All`interno si possono ancora vedere gli arredi in legno e ottone. A distanza di oltre un secolo il bar Torinese impreziosito da un originale bancone in stile Liberty, illuminato da uno scenografico lampadario in cristallo, rimane uno dei pochi esempi di locali storici inalterato nel tempo. Entrato nella lista dei locali storici italiani nel 1999 conserva la targa d`oro che certifica la storicità del mobile interno e della struttura, Con il cambio di gestione da ottobre 2014, il bar Torinese ha assunto una veste più giovanile allargando l`offerta oltre che alla caffetteria alla pasticceria fresca e ai vini di grande spessore e pranzi veloci con ingredienti selezionati. (Fonte: Trieste di ieri e di oggi)


A sinistra e sopra: Palazzo in Corso Italia ai n. 23/25/27

Corso Italia 24
Corso Italia 26
All’incrocio tra Corso Italia e Via Imbriani troviamo Casa Polacco, un edificio in stile liberty costruito nel 1909 dall’architetto Romeo Depaoli per Gisella Polacco al posto di uno slargo che allora era chiamato “Piazza delle pignatte” per via di un mercatino che vi si teneva e questo spiega come mai il palazzo è tuttora rientrante rispetto agli altri edifici del Corso.
L’edificio è a pianta irregolare con il pianoterra e il mezzanino adibiti ad uso commerciale con ampie vetrate per l’esposizione di merci, in particolare ospitò un negozio di merceria per ricci borghesi, il Grande Salone di Mode, dotato nel 1909 di una delle prime insegne luminose della città sulla facciata del Corso, poi fu sede della libreria editrice Italo Svevo, della ditta Richard Ginori e del Banco di Napoli. Le decorazioni sono eleganti e leggere, pilastrini e foglie di cardo ornano la facciata e le aperture; alla semplicità del pianoterra si contrappone la decorazione via via più ricca negli ultimi tre piani riservati alle abitazioni della famiglia Polacco, un cornicione aggettante, finestre con ghirlande e foglie sotto i davanzali e una fascia con musi di leone. L’ingresso è posto sull’angolo smussato del palazzo, sormontato da una lunetta impreziosita da uno scudo con le iniziali del secondo proprietario dell’edificio, l’industriale Gastone Dollinar, mentre le finestre dei piani superiori sono delimitate da colonne corinzie. All’ultimo piano circondano un finestrone rotondo due figure femminili opera di Romeo Rathmann, nato a Trieste nel 1880 e morto a Londra nel 1962, già autore delle sculture di Palazzo Viviani Giberti; la tradizione vuole che riproducano le fattezze delle sue due amanti. ( Fonte: https://danieledemarco.com)

Casa Treves Corso Italia 14, via san Nicolò 33, via Dante Alighieri 2 Architetto Giorgio Polli, 1903-1904.
 
Corso Italia e Via Roma con Scorcola visti da Via Tor Bandena
Il Corso è la principale arteria cittadina,vivacissima, piena di negozi e fiancheggiata da interessanti palazzi. Essa andò formandosi sulle prime saline interrate, dopo la demolizione delle mura cittadine. Nel 1749 le saline arrivavano almeno fino a via San Spiridione, la restante zona era ricoperta di prati e abbondante vegetazione, per coprire le saline furno impiegati i carcerati che portarono la terra dal colle di Montuzza, iniziando così a creare la "Contrada Grande" . Nel 1783 ebbe il nome di "Corso", quando sotto il governatore conte Pompeo de Brigido, negli ultimi giorni di carnevale questa strada iniziò ad essere percorsa da eleganti carrozze riccamente addobbate, dalle quali venivano gettati confetti e petali di fiori, ai lati della strada la gente ammirava questo spettacolo che di anno in anno divenne ...famoso, tanto da far concorrenza ai corsi carnevaleschi delle grandi città. L’ultima parte del Corso, verso piazza Goldoni, era in quel tempo più larga, quasi simile ad una piazza, tanto che veniva indicata col nome di Piazza delle Pignate, perchè fin dal 1870 si teneva il mercato di stoviglie e pentole in metallo e terracotta. Cataterisica del Corso e quasi tutte le strade della città, sono le colonnine di pietra che erano disposte lungo i marciapiedi per proteggere i pedoni dalle carozze e dai cavalli, vennero tolte verso il fine del secolo. (Fonte Margherita Tauceri)

Largo Riborgo ex Piazza Malta
Sopra: L'opera scultorea "il guerriero morente"
del 1960 di Marcello Mascherini (1906-1983).
Sopra il grattacielo rosso noto come Casa Opiglia-Cernitz ( 1935 -1937), è opera dell'Architetto Umberto Nordio. A sinistra del grattacielo il palazzo del Banco di Napoli del 1935/36.
L’attuale largo Riborgo venne ricavato negli anni Trenta con la demolizione di numerosi edifici già esistenti attorno all’antica piazzetta San Giacomo. Già con delibera Giunta Municipale d.d. 28.3.1919 n. IX-31/5-19 venne soppressa la denominazione «piazzetta S. Giacomo», di modo che la piazzetta stessa divenne parte della via Riborgo (attuale via del Teatro Romano). Con Delibera del Podestà n. 2023 d.d. 24.11.1934 venne stabilito di battezzare il nuovo largo, risultante dall’atterramento di alcuni edifici, «piazza Malta». Infine, con Delibera Presidenziale n. 407 d.d. 6.7.1946 la denominazione «piazza Malta» venne mutata in quella di «largo Riborgo». Riborgo è toponimo attestato almeno dal 1297 («in contrata Riburgi»), che in epoca medioevale indicava anche una torre vicina e l’intero quartiere cittadino che si trovava nei pressi. Il toponimo è ampiamente documentato per tutto il Medioevo e l’età moderna in varie forme (Riborch, Riborgh, ecc.) e ha per base la voce lat.-germ. BURGUS. Più discussa è invece l’ origine della particella RI-; secondo Tribel (1884) la denominazione originaria era Triborgo (perché avrebbe indicato tre borghi incorporati nella città) che avrebbe perduto successivamente la T, riducendosi a Riborgo. Secondo Ravasini (1929), che riprende Coletti (1840), il nome sarebbe derivato da un «rio del borgo», con riferimento al rio che scorreva nel fossato lungo le mura cittadine. Rutteri (1981) accoglie l’interpretazione di Tribel. In largo Riborgo, oltre alle facciate laterali del palazzo sede del Banco di Napoli e dell’edificio delle Assicurazioni Generali attraverso il quale è aperta galleria Protti, si trova la casa-torre o meglio grattacielo Cernitz-Opiglia, eretto su progetto dell’arch. U. Nordio (in collaborazione con l’ing. Orazio Sturli) nel 1936; al centro del largo si nota invece una scultura di M. Mascherini (1961) qui posta nel 1968 raffigurante un «guerriero morente». Bibliografia: A. Trampus, Vie e Piazze di Trieste Moderna, Trieste, 1989.

Il Teatro Filodrammatico in Via degli Artisti

Via degli Artisti
Via degli Artisti 3 e 5: Il nucleo originario dell'edificio, la cui prima notizia certa risale al 1803, viene realizzato tra il 1828 ed il 1829 su progetto di Giuseppe Fontana, per volere di Isacco Guetta, ricco mercante israelita e proprietario dal 1821 del fondo, in precedenza occupato da un gruppo di case distrutte da un incendio nel 1826. Il teatro viene inaugurato la sera del 22 giugno del 1829. Il progetto originario era caratterizzato da un basamento, movimentato da cinque portali a tutto sesto e da quattro piani con diverse aperture. Una pianta acquerellata del 1828, firmata da Bartolomeo Zucca, testimonia come fin dalla sua origine il palazzo viene utilizzato come teatro; internamente la struttura si presentava ripartita in un ordine di palchi, una galleria, un loggione e una platea, divisa in due settori con sedici file. La sala principale viene decorata da Giuseppe Gatteri con raffigurazioni di puttini, festoni, fiori, simboli delle arti e un gruppo con Apollo affiancato dalle muse, dipinto sul sipario.  L'edificio viene appaltato nel 1829 ad Israel Jacha con il fine di adibirlo a spettacoli marionettistici. Il 16 febbraio dello stesso anno il teatro viene affittato alla Società Filarmonico-Drammatica diretta da Francesco Hermet e dal 1893 viene appaltato a diverse compagnie di prosa e lirica.
Nella seconda metà dell'Ottocento vengono apportate diverse modifiche alla struttura; nel 1853 viene completato un importante restauro su progetto degli architetti Antonio Botta e Giuseppe Bernardi e nel 1879 di Giovanni Rigetti. Ulteriori interventi sono attribuibili a Eugenio Scomparini e a Giuseppe Fumis per la parte decorativa. Il 13 settembre 1879 viene inaugurato il nuovo teatro. Ulteriori interventi interessano la struttura nel corso del XIX secolo con interventi ad opera di Ulderico Ravallo e Mario Garlatti. Nel 1907 il locale viene chiuso per mancanza di misure di sicurezza; tale circostanza induce il gestore Vittorio Ulmann, impresario e direttore di due grandi teatri di Parigi, a rinunciare ad un progetto di ammodernamento, fondando in seguito il "Nuovo Filodrammatico", divenuto poi "Eden". In data 7 aprile 1916 viene annunciata la ristrutturazione del teatro su disegno dell'architetto Arnerrytsch. Solo nel 1921, ristrutturato grazie agli interventi del pittore Agostini e del decoratore Novak-Novaretti sotto la direzione dell'Impresa Sbrizzi e Grassi, il teatro viene riaperto. Il 1988 segna la definitiva chiusura del locale, in gran parte distrutto a causa di un incendio probabilmente provocato da alcuni senzatetto che vi si erano insediati. (da: biblioteche.comune.trieste.it)
Teatro-cinema Filodrammatico: Venne eretto nel 1829 su progetto di Giuseppe Fontana, per volere di Isacco Guetta, ricco mercante israelita e proprietario del fondo, inizialmente era un importante teatro con palchi, galleria e loggione e platea, la sala era decorata con puttini festoni e altri simboli delle arti. Subì un importante restauro nel 1853 e nel 1879. Nel 1876 e 1884 vi recitò, Eleonora Duse, che venne contestata dal pubblico. Agli inizi del '900 iniziano le proiezioni cinematografiche, Dopo un modesto incendio venne chiuso nel 1907, per mancanza delle norme di sicurezza, tale circostanza indusse il gestore Rodolfo Ulmann a non rinnovare il teatro, e di aprire invece, in via dell'Acquedotto, il "Nuovo Filodrammatico", divenuto poi "Eden". Nel 1921 la sala viene riaperta come cinema e teatro varietà, si esibisce Angelo Cecchelin e la sua compagnia. Dopo altre ristrutturazioni, nel 1938 riprendono gli spettacoli teatrali e le pellicole cinematografiche, dopo fasi alterne che lo vedono tornare agli antichi fasti, nel 1972 finisce per diventare un cinema a luci rosse (Cafagna nel suo libro scrive: "il primo porno-cinema d'Italia) Chiude nel 1985 per restauro dell'edificio, le pellicole erotiche vengono proiettate al "Cinema Eden" in viale XX Settembre. Il locale viene completamente distrutto da un grave incendio, provocato dai fuochi accesi durante la notte da alcuni senzatetto, nel 1988 viene chiuso definitivamente. (Fonte: Margherita Tauceri)



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