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Trieste - Cittavecchia: Cavana

Ipotesi sull'origine del termine "Cavana": Il primitivo nome della Piazza Cavana era quello di “Piazza del Sale”, ricordava l'unico “Magazzino dei Sali” della Città, che si trovava esattamente dove ora c’è il Palazzo Fontana, si trattava di un caseggiato semplice, in muratura grezza, con due piccole finestre, due muri di rinforzo per contrastare la spinta laterale del sale qui immagazzinato e con un’unica porta, sopra la quale, come raccontato dallo storico Pietro Kandler, era murata una lapide, sormontata da una grande aquila, voluta dall'imperatore Carlo VI per ricordare la fondamentale vittoria sui turchi (battaglia di Zeuta, del 1697) e onorare il principe Eugenio di Savoia, valoroso suo comandante. La lapide andò distrutta con l’atterramento del magazzino nel 1821. L’etimo del termine Cavana, deriva a sua volta dal latino “cavea” = cavità, concavità, da cui in veneto cavana (termine usato ancora oggi) = terreno concavo dove I pescatori tiravano a secco le barche; poi coperte, per proteggerle dalla pioggia, dal freddo e dal sole, con foglie o paglia o meglio ancora con un tetto in legno. La toponomastica locale ci racconta Infatti come questa zona fosse abitata da pescatori: via del pesce, via della pescheria, via del sale, riva dei pescatori, ecc. (Fonte: Dino Cafagna)
Piazza Cavana, si crede che il nome derivi dal latino " cavànea" con il significato di piccolo porto. A conferma di ciò, nel 1993 in via Cavana 6, in occasione di lavori di ristrutturazione edilizia, venne riportato alla luce un tratto di banchina portuale di epoca romana. Altri pensano che il nome possa derivare da una cava di pietra che esisteva nelle vicinanze cioè poco prima di arrivare in "Piazzetta Barbacan" e da cava si sia giunti a " Cavana". (Fonte: Margherita Tauceri)
Piazza Cavana - Sopra a sinistra e al centro della foto: Casa Fontana - Piazza Cavana (sotto), sino al 1829 era chiamata Piazza del Sale per un magazzino di sale che era posto in fondo alla piazza e demolito in quell’anno. Il magazzino era stato costruito nel 1714 a commemorazione della pace conclusa con i Turchi dopo la battaglia di Zeuta, vinta da Eugenio di Savoia. L’imperatore Carlo VI, per l’occasione, fece apporre una lapide che così diceva: «Il decreto di Cesare comandò che fosse posta questa lapide per la pace ristabilita al mondo dal desiderassimo Eugenio. Sia gloria a te Dio padre, Dio figlio, Dio Spirito Santo». Ceduto il magazzino al Comune che intendeva situarvi il mercato del pesce, venne venduto a Carlo d’Ottavio Fontana, il quale, al suo posto, costruì i magazzini e le botteghe attuali. La piazza venne chiamata Cavana perché da essa ha inizio la via con questo nome, che a sua volta lo assunse con tutta probabilità per l’esistenza remota di una cava in quei paraggi. In questa piazza sboccano tra altre, Via del Pesce e Via del Sale.

A sinistra:
Edificio edificato nel 1827 su progetto di Pietro Nobile. Il progetto per casa Fontana risulta dalla rielaborazione di un disegno predisposto: sulla quale venne costruito l'immobile in precedenza era occupata dal magazzino del sale, fatto erigere dall'imperatore Carlo VI agli inizi del Settecento e demolito nel 1821. L'edificio, in stile neoclassico, venne fatto costruire dal Comune che lo destinò a mercato del pesce. Al pianterreno, infatti, c'era un portico sorretto da colonne doriche, dove si svolgeva il commercio.
I due piani superiori erano ad uso di abitazione privata.

Nel 1829 il commerciante di tabacco Pietro d'Ottavio Fontana entrò in possesso del primo e del secondo piano dell'edificio; mentre nel 1831, rivelatosi insufficiente lo spazio per il mercato del pesce che venne trasferito altrove, il Comune cedette al Fontana anche il porticato. Nel 1831, su disegno di Valentino Valle, Fontana fece chiudere il porticato per ricavare dei locali da adibire a magazzino. La facciata principale, in origine, era decorata con clipei a bassorilievo e finestre sormontate da timpani rettilinei. All'interno alcuni soffitti presentano delle decorazioni ad affresco. Al secondo piano, sulla parete della scala elicoidale vi è un affresco che riproduce l'aquila e la lapide che si trovava nel demolito magazzino del sale. Si tratta di una commemorazione della battaglia di Zenta. Nel 1884 al primo piano di casa Fontana aveva sede il "Gabinetto di Minerva". Nel 1955 l'immobile era di proprietà del barone Giuseppe Morpurgo e della baronessa Lavinia Morpurgo nata Fontana. Nel 1988 l'edificio è stato interessato da lavori di ristrutturazione. In particolare al piano terra sono state realizzate opere funzionali per l'adattamento degli spazi ad ufficio bancario. (da: http://biblioteche.comune.trieste.it)

Piazza Cavana: Su casa Hoffmann c'è una antica edicola settecentesca con un Cristo in croce. Sotto l'ascella del Cristo vi è conficcata una pallottola di pistola che, si racconta, fu sparata nell'autunno del 1944 da un sotto ufficiale tedesco ubriaco.

La Farmacia al Redentore o Farmacia Serravallo di Piazza Cavana 1, ubicata nel Palazzo Serravallo dal 1912, a Trieste, fu fondata nel 1805; passò in proprietà del cav. Jacopo Serravano nel 1848, ma solo nel 1890 venne inaugurata la nuova sede in cui tutto attorno al loggiato erano disposti, come tutt'ora, molti locali adibiti agli svariati servizi che si connettevano con l'esercizio della farmacia: laboratorio chimico ed analitico, parlatori per medici, gabinetti per primi soccorsi. L'arredamento originale dell'epoca, un ricco arredo neorinascimentale, stucchi e lampadari Liberty, è vincolato ancora dalle Belle Arti. La Farmacia al Redentore fa parte degli "itinerari Italo Svevo" in quanto lo scrittore vi acquistava il famoso ricostituente 'Vino Ferruginoso di China Serravallo'. Nei primi ‘900 impiantò a Barcola lo stabilimento di produzione e nel 1987 l’azienda si trasferì in Porto Franco Vecchio.(Fonte: Dino Cafagna)
Via San Rocco (prima laterale destra di via San Sebastiano) Denominazione settecentesca a ricordo della chiesetta dedicata ai Santi Sebastiano e Rocco posta al lato sinistro della strada, dall'altro lato si trova il palazzetto de Leo, oggi Civico Museo d'Arte Orientale.
Via delle Beccherie Vecchie prima laterale destra di via dei Capitelli.
La strada prese il nome dal macello che venne qui trasferito dall'attuale piazza Unità d'Italia, nel 1650, prima che fosse nuovamente trasferito nei pressi dell'attuale via delle Beccherie.
Piazza Cavana: sopra, vista da Via Boccardi, casa Prandi antica e nobile famiglia triestina (lo stemma nella foto a destra). Di origine longobarda, di Padaro nel Trentino, con Francesco Prandi sono cittadini di Trieste già dal 1529. Bernardino Prandi abitava in Cavana e nel 1626 riceve lo stemma a Vienna dall'imperatore. La famiglia nel 1700 ha ricoperto importanti cariche al Comune della città. Ferdinando I nel 1700 li eleva concedendo il predicato Prandi d'Ulmhort. Dal 1842 fanno parte della nobiltà Tirolese e nel 1947 viene loro concesso dal Papa il titolo di Conti Pontifici. Fedeli servitori dell'Impero Austro-Ungarico, si rifiutarono di aderire all'Esercito Italiano e al Partito Fascista e furono mandati al confino in Sardegna.

Via Alberto Boccardi con il retro di Casa Fontana
Sopra: Casa Hoffmann che fa angolo con Via dei Capitelli che dal 1807 al 1817 fu sede della storica Scuola di Nautica.


Via del Sale (da piazza Cavana a via della Pescheria) - Denominazione ottocentesca, che ricorda l'esistenza dell'antico magazzino del sale che venne demolito nel 1821. Si trattava di un edificio importante, perchè fino dal 1693 il commercio del sale marino era stato dichiarato monopolio dell'erario sovrano. Da ricordare che sul muro delle scale della casa in via del Pesce n 2 si trova affrescata una riproduzione della lapide che ricordava la battaglia di Zenta del 1697, che ornava la facciata del magazzino del sale.(Fonte Dino Cafagna)


Via della Pescheria
Via dei Fornelli con la Antica Trattoria Ghiacceretta dove il Duca Amedeo D'Aosta aveva l'abitudine di andare a mangiare pesce per il quale la trattoria, aperta da più di mezzo secolo, era famosa. - Via dei Fornelli (da via della Pescheria a via del Fortino) Denominazione sette-ottocentesca suggerita dalla presenza, alla fine del XVIII secolo, di alcune caldaie per la lavorazione dei bozzoli dei bachi da seta, operazione preliminare per la preparazione della seta.

Via della Pescheria: da Via del Pesce a Piazzetta dello Squero Vecchio, così chiamata pwerché portava al mercato del pesce posto fino al 1806 tra Via del Pesce e Via della Sanità, oggi Armando Diaz.
Via della Pescheria 5
Via del Pesce dove si svolgevano le operazioni che precedevano per legge l'immissione del pesce alla vendita.
L’isolato compreso tra via della Pescheria e via Diaz era attraversato nel medioevo dalle mura che delimitavano la zona di Cavana. L’edificio di via della Pescheria, al numero civico 9, è identificato dagli studiosi con la torre detta “Tiepolo”. La torre venne, nei secoli successivi, abbassata e trasformata in abitazione civile. La sua struttura conserva ancora la disposizione originale a tre piani più soffitta e una camera per piano; la ridotta altezza dei suoi solai giustifica la definizione popolare datele di "casa dei nani". Da notare la ridotta altezza delle porte, finestre e solai se confrontate con la casa accanto. La torre, già citata negli Statuti nel 1319, prende il nome dalla famiglia Tiepolo oriunda di Venezia, particolarmente ricca da permettersi una casa fortificata. Molti la identificano, per le sue piccole dimensioni, con l'edificio della casa di tolleranza il "Metro Cubo" che invece non stava al numero 9 ma il numero 7, cioè la casa vicina.
Via della Torretta: denominazione settecentesca. La famiglia triestina dei Tiepolo era oriunda da Venezia; possedeva nella contrada di Cavana numerose case, una delle quali era fortificata con una caratteristica torretta, presente proprio su questa via, nota col nome di Torretta dei Tiepolo. Nel tempo la famiglia occupò cariche importanti negli Uffici del Comune, ma si estinse dopo la metà del secolo XVI. Questa via nasce da quella di S. Sebastiano e s’immette in quella della Pescheria. Dietro la torre Tiepolo, spicca la torretta omonima, che diede poi il nome alla via della Torretta. Davanti e verso il mare, tra la torre Tiepolo e quella Fradella. (Fonte: Dino Cafagna)


Via di Cavana

Via di Cavana
Via di Cavana

Via di Cavana 12 L'edificio s'inserisce nella fase di espansione settecentesca del rione detto di Cavana, all'interno del Borgo Cittavecchia. Il palazzo, di cui rimane sconosciuto il nome del progettista, viene costruito a fine XVIII secolo; esiste solamente un disegno di sopraelevazione datato 1831 e firmato dall'architetto Giovan Battista de Puppi. L'edificio è destinato fin dall'origine ad ospitare attività commerciali al pianoterra e unità abitative ai livelli superiori. Ulteriori opere di ristrutturazione hanno interessato il palazzo nel 1861 su disegno dell'architetto Lorenzutti e limitatamente alla facciata del pianoterra nel 1965. La struttura, con pianta rettangolare, è costituita da tre piani fuori terra. Affaccio principale su Via di Cavana, secondario su Via Madonna del Mare. La facciata principale è caratterizzata dalla presenza del motivo del portone monumentale, adottato nelle dimore cittadine fine settecentesche come denuncia esteriore del prestigio individuale. La soluzione visibile nell'edificio in esame rappresenta una sintesi tra il "barocchetto" d'ispirazione bavarese e un "recupero quasi canonico dell'ordine" come sviluppato anche nella vicina Casa Vicco (Firmiani, 1989). Il portone d'ingresso collocato al centro del prospetto principale risulta inquadrato da semi pilastri su alti piedistalli a sostegno di una trabeazione decorata con metope e triglifi. Il portale ad arco a tutto centro è arricchito da un panduro raffigurante una testa d'uomo. Al primo piano è collocato un balcone con parapetto in ferro battuto con motivi geometrici su cui si apre una porta fiestra con cornice curvilinea. Le finestre di forma rettangolare sono caratteirzate da cimasa lineare in pietra. La superficie muraria è trattata ad intonaco di colore rosa. Elementi ornamentali esterni: Parapetto in ferro battuto con motivi geometrici al primo piano del prospetto principale - Fregio decoratro con motivi classici, metope e triglifi, in corrispondenza della trabeazione del portale centrale - Panduro raffigurante una testa d'uomo in chiave di volta del portone d'ingresso.

Sopra: Casa Pepeu costruita per Moisè Marchioni e A.C. Jesurum nel 1804, come si desume dalla data riportata nell'arco del portone principale, su disegno dell'architetto Francesco Balzano, a cui spetta anche l'originale progetto neo-cinquecentesco della distrutta Sinagoga nel vecchio borgo. Il progettista di formazione dalmata rappresenta un unicum nel panorama cittadino di fine Settecento rispetto agli architetti triestini della svolta neoclassica. Il palazzo, caratterizzato da "spunti sanmicheliani e sansoviniani" (Tull Zucca, 1976), viene destinato ad ospitare diversi appartamenti, tra cui quello dello studioso Francesco Pepeu, da cui il nome dell'edificio. Tra i personaggi qui ospitati si segnala il console di Francia Maurice Séguier favorevole all'arrivo di Napoleone durante la seconda e terza occupazione francese. Agli inizi dell'Ottocento nel palazzo viene ricordata la presenza di una scuola di lingua italiana. Tra il 1881 ed il 1898 i locali del pianoterra sono stati interessati da interventi di ristrutturazione. (da: http://biblioteche.comune.trieste.it)

Palazzo (Antonio) Vicco costruito tra il 1796 ed il 1797, tra Via Cavana e Via dell'Annunziata. Nel 1831 il palazzo venne destinato a residenza della curia vescovile. Al posto dell'attuale palazzo sorgeva l'Ospedale dell'Annunziata eretto ai tempi del vescovo Rodolfo de Pedrazzani (1302-1323), riedificato nel 1355, fu affiancato da una cappella dedicata alla B.V. Annunziata, da cui deriva il nome della via. In seguito alla demolizione per ordine sovrano dell'ospedale e della chiesetta, nel 1795 il fondo fu acquistato dal negoziante portoghese Antonio Vicco. Dal 1813 al 1820, anno della sua morte, nel palazzo fu ospitato, in esilio scappato dalla Restaurazione, Giuseppe Fouché, duca d'Otranto, ministro degli interni di Napoleone.
Storia: C’è un personaggio nella storia di Trieste che, circondato da un alone di terrore e di mistero, ogni tanto ritorna alla memoria. Uomo intelligente, intraprendente, colto e astuto che ha vissuto gli ultimi anni della sua vita a Trieste, precisamente nel palazzo Vico (oggi vescovado) in via Cavana. Joseph Fouché fu il ministro della giustizia nel periodo della rivoluzione francese, dimostrandosi abile nel saper destreggiarsi dalle varie correnti politiche. Fu poi ministro della giustizia sotto Napoleone, ristrutturando, quasi reinventando un nuovo corpo di polizia, più efficiente e più spietato, macchiandosi di numerosi atroci crimini. In quel periodo Napoleone gli concesse il titolo di duca d’Otranto. Egli dimorò a Trieste dal 1813 al 26 dicembre 1820, giorno della sua morte, dopo essere stato allontanato nel periodo della Restaurazione, perché, tra i tanti crimini, aveva di fatto condannato a morte, alla ghigliottina, Luigi XVI. L’arrivo a Trieste fu dovuto a varie motivazioni: conosceva già la città, che riteneva, per il suo clima temperato, una città ideale per la sua salute, qui vi aveva accumulato numerose ricchezze, accantonate proprio pensando al futuro, e soprattutto perché invitato dalle sorelle di Napoleone, Elisa e Carolina, che gli avevano palesato una vita tranquilla, tra ricevimenti e concerti.
L’inverno del 1820 fu particolarmente freddo, battuto da una gelida bora, che gli procurarono una polmonite. Sentendo vicino la morte, chiese al figlio di bruciare tutte quelle carte che aveva salvato, in previsione di un libro di memorie, che avrebbero raccontato tutti gli atroci misfatti di cui era stato testimone durante la rivoluzione francese e poi di Napoleone. Morì il 26 dicembre, a sessant’anni, un giorno d’inverno particolarmente freddo e scuro, battuto da una gelida bora. Si racconta che, mentre il suo carro funebre saliva verso San Giusto, dove verrà seppellito, un forte colpo di bora abbia fatto cadere la bara, facendo ruzzolare a terra il suo cadavere; il tutto fu interpretato dal popolo, inorridito da tale spettacolo, come un segno divino di biasimo. (Fonte: Dino Cafagna)


Sopra: Fabbricato realizzato nel 1788 su progetto dell'architetto Sebastiano Zanon. Sul fondo nel quale il convento dei padri Cappuccini, con l'annessa chiesa, costruiti nel 1617. Il convento fu soppresso nel 1784, e nel 1786 i locali vennero adattati a ospizio per gli orfani. L'anno successivo gli immobili furono venduti all'asta pubblica. Nella lunetta del portale d'ingresso vi sono le lettere N.G., iniziali di Nicolò Grassi, il primo che abitò nella casa. Al piano terra vi è una Farmacia, già della famiglia Benussi dagli anni Venti. Negli anni Cinquanta l'immobile era di proprietà del medico lussignano Lamberto Gladulich. L'immobile è documentato anche con le denominazioni "casa Kissovitz". (da: http://biblioteche.comune.trieste.it)

Via di Cavana 13 - Palazzo Fecondo - "Il fabbricato fu costruito nel 1789 su progetto dell'architetto Andrea Fister. L'edificio, in stile neoclassico, è noto anche con il nome di casa Fecondo, dal nome del proprietario: Gasparo Fecondo de Fruchtental. L'immobile fu oggetto di successivi interventi. In particolare, la sopraelevazione dell'ultimo piano è certamente posteriore all'edificazione della casa. Tra il 1890 e il 1911 fu modificata la facciata al pianterreno. L'edificio è stato ristrutturato tra il 2001 e il 2002.
Il portale d'ingresso è sormontato da un mascherone. In questo edificio, tra la fine del Settecento e il 1817 aveva dimora il console di S.M. Britannica Edward Stanley giunto a Trieste nel 1788. Nella casa nacque lo studioso Luigi de Jenner, come ricorda l'epigrafe apposta sulla facciata dal Comune nel 1950. (Fonte: bibliotechecivichedelcomune)


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