Prese
del pane e del formaggio.
Prese la barca, e andò al limite
del mare per pescare il sole,
al crepuscolo.
Lo chiamavano "Dio".
Ma forse solo per prenderlo in giro.
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Si lavora per vivere, ma non si vive solo per lavorare, e chi pone
o intravede nel lavoro l'unica ragione della propria vita, se non
cieco, è quantomeno daltonico.
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L'amicizia degli animali, e particolarmente del cane, molte volte sostituisce
per l'uomo l'amicizia dei suoi simili. Infatti il cane è una
creatura istintivamente fedele, affidabile, leale, quindi un amico paziente,
tranquillo, di cui ci si può fidare, e che non ha certamente
quelle furbizie, quei "distinguo" o, se si vuole, quei limiti
che rendono invece l'uomo così diffidente verso i suoi simili.
Inoltre è remissivo, acritico: accetta tutto e non protesta mai.
Al più abbaia o guaisce, ma una carezza o un biscottino... e
subito scodinzola, riconoscente e felice. Ovvero proprio come certuni
pretenderebbero gli umani, se non altro i cosiddetti amici.
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Con
quell'incondizionata dedizione che dimostrano a chi sentono vicino,
gli animali sembrano creati apposta per aiutare l'uomo, per consolarlo,
per fargli ritrovare la purezza e l'ingenuità della sua infanzia.
La spontaneità perduta, ma soprattutto quell'entusiasmo di vivere
e di rapportarsi alle cose della vita, che il tempo e la consapevolezza
della propria individualità, ma anche dei propri limiti, hanno
via via arrugginito.
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M'imbarazza
e alle volte m'addolora dire di no, ma è ben più crudele
quel sì che non si può mantenere.
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Anche
chi dona tutto di sé può essere soggetto a malevolenze
o a critiche d'ogni genere. Per certuni la riconoscenza costa ben
più fatica dell'ingratitudine. Ed è pure inutile.
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A
Bologna si dice che far l'amore con la propria moglie è come
giocare a carte senza una posta, e al che aggiungerei che se l'amante
diviene come una moglie, altro non resta che giocare a carte... ma
con la posta.
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L'uomo
non sa non mentire, e neanche a se medesimo. Per cui si fida poco
o niente dei suoi simili. Pur fingendo il contrario.
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Chi
interiorizza troppo l'amore non lo vive: lo interpreta ma non lo soffre,
ovvero non dà nulla di sé. Magari crede di amare, ma
continua ad amare solo se stesso.
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Saranno magari dei poveri diavoli ma ricchi, anzi straricchi dell'affetto
dei loro figli.
Difatti ciò che conta per i figli è
l'equilibrio, la pazienza,
il sentimento o, al limite,
addirittura
tutto il contrario. Comunque una partecipazione sofferta, intensamente
vissuta
e non certamente la sola ricchezza. Anche se i soldi nessuno
li rifiuta.
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Chi usa defilarsi da ogni impegno, glissare ogni difficoltà,
comunque far di tutto per non soffrire, non è neanche in grado
di apprezzare le grandi e forse nemmeno le piccole gioie della vita.
Ovvero non vive, ma vegeta.
La sua è una vita di sola routine.
Un'uggiosa, malinconica, inutile, infinita routine, in cui egli ripercorre,
si ripete, si nasconde... passa e sparisce senza praticamente accorgersi
di niente, forse neanche d'esser vissuto.
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L'ignavo
definisce
Destino
la sua pigrizia.
Dubbio
la sua vigliaccheria.
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T'hanno dato tutto…
e te ne disinteressi completamente
Non t'hanno dato niente…
e sei lì, affascinato,
ad attendere che s'accorgano di te.
Incongruenze dell'amore!
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Se
non un caso clinico, l'omosessuale rappresenta comunque una brutta copia,
anzi una grottesca parodia dell'individuo cui aspira ad essere. Lo stato
in cui siamo o, meglio, che madre natura ha scelto per noi, non permette
evidentemente delle deroghe.
E se una sessualità sofferta lo
spingono prepotentemente in una certa direzione - e quindi ad agire
in un certo modo -, il rischio è che prima o poi tutto gli si
ritorca addosso.
E il profondo senso di vuoto che ne deriverà,
se non alla tragedia, lo porrà tristemente di fronte a se stesso,
alla disperata ricerca di una nuova, intonsa, credibile identità.
Anche se molto probabilmente sarà ormai troppo tardi.
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Ritengono
di poter dare un senso alla loro esistenza, abdicando ad ogni residua
autonomia o, se si vuole, soggettività e unendosi e omologandosi
l'un l'altro. Niente di più ingannevole. Anche quando supporranno
di raggiungere una perfetta identità, anche cioè quando
idee e costumi collimeranno del tutto (ovvero nel momento stesso in
cui si sarà raggiunto proprio l'oggetto dell'unione o della consorteria),
nascerà un nuovo problema: il rimpianto d'aver perduto il gusto
dialettico delle diversità, quindi il sale stesso della vita.
Ormai non avranno più nulla da dirsi e, di conseguenza, nemmeno
delle ragioni plausibili per restare insieme. I bei proponimenti del
passato e le tanto conclamate affinità, null'altro rappresenteranno
ora che delusioni, noia, al più "inutili disavventure".
Resa perciò impossibile ogni convivenza, a quel punto ognuno
se ne andrà per la sua strada, forse alla ricerca di se stesso
e del tempo così malamente perduto, comunque di nuovi equilibri.
Ma per poco: "l'iniquo destino", che li perseguiterebbe, li
farà ricompiere più o meno lo stesso percorso. E così
all'infinito...
Quella è gente che non penserà mai in
modo autonomo o, meglio, che non sa e non saprà mai rendersi
conto del cervello che dispone o, ancora più semplicemente, quella
è gente che non sa gestirsi se non porta quel cervello all'ammasso.
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Se
gli uomini dovessero fare dei figli, molto probabilmente non ci sarebbe
più l'umanità.
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Lavorano per guadagnare quei soldi che poi dovrebbero "lavorare"
per loro, e non sanno che essi sono invece maledettamente pigri, oppure
pazzerelloni, comunque ben poco affidabili.
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Ciò
che l'uomo intende per dolore si riduce nella donna a semplice fastidio,
ma ciò che la donna intende per piacere è solitamente
per l'uomo una gran faticaccia.
Anche se se la cerca.
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A fronte
delle incertezze, delle remore, di tutti quegli assilli che rendono
così precari gli equilibri dell'uomo, è la forza del sentimento
che prevale nella donna, che la rende più coerente, più
concreta: ben più adatta alle gioie e ai dolori della vita d'ogni
giorno.
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L'uomo e la donna sono fatti per stare l'uno con l'altra, per divenire
- come dire - un tutt'uno. Ma, poiché entrambi interpretano a
loro modo quel tutt'uno, dopo le prime avvisaglie o uno dei due cede
e si sacrifica, o se ne vanno - e ognuno per la sua strada - nuovamente
alla ricerca della cosiddetta anima gemella. Ovvero ricompiono più
o meno il medesimo percorso, per poi ritrovarsi incompresi, inconclusi,
cioè al punto di prima.
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Se
mi guardi
è perché nel profondo dei miei occhi
intravedi il riflesso dei tuoi.
Altrimenti ti sarei indifferente.
Illusione... inafferrabile certezza. |
L'umanità
è naturalmente irrequieta, altrimenti si sarebbe già
da tempo estinta: consunta dalla noia.
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Volare
sulle ali del vento tra il passato, il presente e i baluginanti fantasmi
delle mie fantasie. Immortale, onnipotente.
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Gli imbroglioni
non si presentano mai con la loro vera faccia e alle volte nemmeno con
il il loro vero nome. Il loro verbo è simulare, comunque farsi
credere diversi da come sono.
Come gli imbecilli, del resto, solo che costoro proprio non ci riescono.
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Se
ti ha già buggerato, ora l'imbroglione se ne sta certamente alla
larga, comunque cerca di non farsi notare... almeno per un po'. L'imbecille,
invece, è - come dire - difeso dalla sua stessa imbecillità,
per cui, sebbene il risultato sia sempre lo stesso e il gabbato resti
sempre tu, te lo ritrovi subito tra i piedi.
Tanto per lui non è
successo niente. Anzi, se appena accenni a lamentarti o tenti una qualche
seppur timida rimostranza, rischi magari che s'offenda. Spudorata innocenza!
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Per certuni anche la puzza più immonda è un fragrante
profumo.
Ma che poi pretendano che la si annusi!...
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Il furbo
non fa alcuna fatica a passare per fesso...
Se gli conviene, s'intende.
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Il
fesso, quand'è autentico,
si presume furbo.
Anzi, il più
furbo dei furbi.
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Di solito la modestia - anche se falsa - è ben più producente
della boria.
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Si
avventurano nei viaggi più disagevoli e bizzarri, e vanno lontano,
il più lontano possibile, dicono per sfuggire alle banalità,
alle consuetudini, ai soliti musi, a quella che per loro è ormai
l'opprimente realtà d'ogni giorno, e non si rendono conto che
invece è solo dai loro complessi che sfuggono, ovvero da loro
stessi.
Gira e rigira, così alla fin fine rimangono sempre lì...
come l'asino alla mola.
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Chi
non sa, non è in grado o, peggio, si rifiuta di prendere coscienza
del proprio stato, oppure illude se medesimo e gli altri alterando
più o meno malaccortamente la propria identità, alla
lunga rischia addirittura di non ritrovarsi più. Salvo a carnevale
forse.
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A forza
di raccontarle agli altri,
ora le frottole
le racconta anche a se
stesso.
Il guaio è che se le prende per buone.
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Le
ombre che ci passano accanto...ombre, solo ombre.
E anch'io per loro.
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Se
bastano poche parole per farsi capire perché dirne tante?
Forse per non farsi capire o perché non si ha niente da dire?
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Chi
vanamente si pavoneggia e cerca o comunque s'affanna a voler strafare,
quasi sempre ottiene esattamente il contrario.
Oltre alla derisione,
s'intende.
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Il
talento è merce rara, ma la buona volontà non è
da meno.
Anche se meno appariscente.
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La
cicala e la formica,
ovvero vivere per vivere
o vivere per lavorare.
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La cellula
madre, poi tante altre cellule. L'individuo, altri individui. Ad ognuno
una vita, ad ognuno un destino. Eppoi la fine, la decomposizione.
E
il ciclo della vita che riprende il suo corso. Tutto come prima. In
un gioco perenne in cui io, tu, ogni individuo, ogni altro individuo
che verrà null'altro siamo che dei fragili fuscelli in balia
del tempo, del caso, o forse di quanto già per noi prestabilito.
Da chi?
Forse da un'intima motivazione della natura, forse da una certa
anima del mondo che abbisogna della nascita e della morte per esistere,
o forse da qualcuno, da qualcosa, comunque da una qualche entità
cui semplicemente piace così?
Forse lo sapremo quando magari
non ci servirà più, e forse allora tutto quest'inspiegabile
enigma si sarà dipanato. Ma forse rimarrà invece tale,
e noi diverremo soltanto quello che già ampiamente si sa, cioè
una croce, un'epigrafe, una cartella più o meno ammuffita all'anagrafe
o magari in qualche malinconica parrocchia periferica.
Eppoi più
niente.
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Le
idee, come delle palle di gomma, rimbalzano e tornano indietro. Alle
volte però non ritornano più e si disperdono chissà
dove. Tuttavia lasciano quasi sempre una traccia, un alone: quel profumo
d'uomo e di libertà che le rendono preziose. Anche se scomode.
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Il
troppo stroppia, il poco manca, e il niente... basta non lo si sappia.
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Ad abusarne,
anche il caviale puo' essere indigesto... ma non ne sono certo.
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Caviale
e champagne... ma poi che ghiottoneria i fagioli! Specie se di nascosto.
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La
qualità del cibo si definisce alla percezione del palato.
Salvo intontimento da reclame.
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Anche
se divaga, viaggia o s'immerge nella folla, l'uomo resta intimamente
abbarbicato al proprio io interiore, quindi a quella stessa solitudine
che intende sfuggire. Ma ha anche l'incoscienza di non rendersene conto,
comunque di non filarci su. Per cui ride per non piangere, e magari
gli va bene così.
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La
propensione della donna all'ottimismo, comunque a un sano realismo,
è la migliore,
anzi, forse è l'unica garanzia
per il futuro dell'umanità.
Almeno di questa umanità.
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Secondo
me, è ragionevole solo colui che si rende conto d'aver ragione
salvo prova contraria.
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Se,
ad esempio, cerchi la verità alla fine ti ritrovi con l'angoscia,
idem se persegui la giustizia. Ma in fondo che diritto abbiamo noi di
rendere le cose così false e difficili? La vita è bella
proprio perché indefinibile, per cui va lasciata tale, proprio
così com'è..... O no?
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Io
di donne non ne capisco un granché, ma loro si capiscono?
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La donna
non ama te, ma la funzione che svolgi o, al più, l'idea che
le ispiri.
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Chi
d'amor troppo disserta,
è perché non è mai stato
o,
al momento,
innamorato non è.
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Chi d'amor s'esalta... d'amor si ribalta.
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E'
la donna che rende importante l'uomo... anche se poi ci gioca.
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Che
unicamente il matrimonio consacri l'amore lo sostiene, anzi lo pretende
soprattutto chi non ha nulla da perdere.
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Penso
che tutti noi vorremmo innamorarci, e magari fino al punto d'incretinirci
del tutto.
Tuttavia non è facile e, alle volte, quasi impossibile. Salvo
l'incretinimento ovviamente.
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Che
la proclami o la sottenda, ma già la verginità può
rappresentare un'attrazione pressoché irresistibile, comunque
un patrimonio per la donna. E ciò perché tuttora persiste
nell'inconfessabile di gran parte degli uomini la leggenda, anzi il
mito della verginità della donna.
Mammone inguaribile, a quest'ingenuo
romantico innanzi tutto piace ancora restare bambino, sognare, illudersi
delle fate e quindi elevare la sua donna ad angelo, addirittura a santa
come la sua mamma, per l'appunto.
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Già
prime della classe, prime al coro e al saggio ginnico; linde, di garbata
eleganza, profumate quanto basta, sempre le più solerti agli
auguri e alle feste di beneficenza. La domenica a messa.
Logicamente vergini.
Fulgido esempio di coerenza e di ferreo attaccamento
a tradizioni e principi. Ma nessuno che ci tenti!
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Dal
caos nasce il mondo.
E dal suo armonico disegno, alla pari della natura,
degli animali, del bello e del buono, l'uomo nasce per la donna e
la donna per l'uomo.
Ma poi tutto si complica, degenera, imbarbarisce:
ritorna nel caos.
Forse era meglio pensarci prima.
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Nei
momenti più significativi della vita, sia allegri che drammatici,
il confronto con se stessi è poco tangibile, quasi banale.
Ma i paroloni e le grandi frasi fatte serviranno poi, per raccontare.
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Blatera
d'amore, di purezza dei sentimenti, di sublimazione del sacrificio,
ma dentro, nell'algido chiarore dei suoi occhi, un sogghigno: il cinismo
di chi non ha mai sofferto.
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La
mano nella mano
per dirmi piano piano
che i soldi sono pochi
per lasciarsi innamorare.
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Non
certo gli slogans e le bandiere, ma l'educazione, l'operatività,
l'inventiva: infine il grado di civiltà della sua gente,
renderanno grande quel paese.
Comunque degno d'essere vissuto.
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Il
nero si svela celeste, il grigio
bianco, e spariscono così
le rughe, gli occhi s'lluminano, palpita il cuore.
Cos'è?
L'amore
o sto sognando... desto?
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Chi
non sa amare forse non sa
nemmeno piangere.
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Non
si va avanti guardando
sempre indietro.
Anzi così ci si può sbattere il muso.
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E'
una tipica mania del cosiddetto uomo della provvidenza, in genere di
tutti i dittatori, d'intendere la storia, specie quella del proprio
paese, come qualcosa di strettamente personale, per cui va rivista e
corretta.
E non è che l'inizio, purtroppo. Il peggio avviene
dopo: quando s'attaccano alla geografia.
|
Chi osa pensare autonomamente, se in democrazia è un originale,
comunque un simpatico sognatore, in dittatura è un invasato,
comunque da ricoverare. Se poi si dà da fare anche in politica,
l'un po' meno simpatico della democrazia, diventa il reazionario e nemico
del popolo della dittatura.
|
Qui
si può perdere la faccia, lì la testa, ma è proprio
lì, dov'è interdetta, che la politica si nobilita, che
diviene missione. Che esprime quella carica morale cui purtroppo qui
siamo ormai disavvezzi.
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Ove
prevalga il cinismo, l'intolleranza o un eccessivo culto di se stesso
(per non dire egoismo), solo un uomo libero, per cui critico e quindi
autocritico, sa anche quando e come tornare indietro.
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Quando
hanno dei problemi all'interno,
i regimi accusano a destra e a manca.
E non fanno nemmeno troppa fatica: addebitano ad altri le loro stesse
nefandezze.
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Il
progresso dell'umanità avviene per la partecipazione di tutti
al bene comune. Peccato ci sia poi chi ne approfitta. E tanti, troppi
che lo imitano
Pure noi, accidenti.
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La
liberaldemocrazia, se da un lato tende a far evolvere i cittadini a
soggetti maturi e partecipativi, dall'altro, vanificando le ideologie
- quindi le passioni politiche -, forse ne assopisce le coscienze.
Le
assopisce, non le addormenta, anzi non le manda in letargo: quella è
un'abitudine dei regimi.
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Che
cosa possano servire le ferie e il tempo libero a chi non ha mai fatto
niente?
Forse ad affaticarsi... per uscire dalla norma?
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A differenza
di chi s'impegna,
il lavativo ha un'indiscussa prerogativa: non sbaglia
mai.
|
Prima
o poi le occasioni capitano un po' a tutti, ma ci vogliono occhi per
vederle, mani per toccarle, cervello per capirle...
e un gran cuore per goderle.
|
Se
non ci si complicasse l'un l'altro l'esistenza, prima o poi non avremmo
di che discutere.
E che vita sarebbe allora senza quegli adorabili
brontoloni?
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Chi
persegue un suo ideale di perfezione, crea e ricrea nel recesso più
profondo della sua mente quei sogni e quelle fantasie che tanto vere
e realizzabili gli sembravano da bambino.
E il bello è che lo
fa inconsciamente, con l'entusiasmo e l'inesperienza di chi non è
mai cresciuto.
|
Gli
si avvicinò.
Fece finta di sfilare il portamonete e se ne andò, sogghignando
furbescamente.
Il mendicante non se la prese più di tanto.
"Poveraccio!", disse tra sé.
|
Vendeva
abusivamente dei fiori all'angolo.
Lo faceva - disse - per estremo
bisogno.
Non le credettero.
Se ne tornò al suo paese.
C'era la guerra.
I fiori li ha ancora con sé, appassiti.
Al cimitero.
|
Quell'ometto
scalcagnato, dal volto di topo.
Quel cagnetto tignoso, che a dire bastardino gli si fa un regalo.
Eppure si credono la coppia più bella del mondo.
Almeno da come si ammirano.
|
Se
ne andava diritta, impettita, con passo deciso: ben conscia d'esser
ammirata.
Il cane accanto - un bellissimo barboncino -, praticamente negletto.
Anche il cane la guardava, ma di sottecchi: sembrava offeso.
|
Due
cani che s'incontrano per la strada s'azzannano o fanno comunella.
Noi, invece...
|
Urla,
strepiti, botte da orbi. Poi la polizia. Le denunce. I tribunali.
E sbocciò uno strano amore... Ovvero che si fa per non pagare
gli avvocati.
|
Un
bel gattone randagio un dì lo scelse per compagno. E fu subito
amore. Ma un amore rispettoso, paritario, senza padroni: appunto da
compagni. Cioè quell'uomo si conformò alle regole, anzi
alla civiltà dei gatti.
|
Gli
occhi lucidi, la mano nella mano, lentamente, chissà dove vanno.
Forse nel giardino della loro infanzia, più su, ove un tempo
s'incontrarono. Ove i vecchi lampioni a gas brillano ancora, e l'incerta
luce sfuma ancora nell'ombra dei grandi alberi, di quegli alberi galeotti,
ove si scambiarono i primi baci, ove i loro sogni di ragazzi volarono
via, nel magico cielo dell'amore, e lì si realizzarono.
Ora le
rughe, gli acciacchi, malsicuri nelle gambe e forse un po' ingobbiti,
ma sanno ancora sognare, e, per chi ama, lassù i sogni sono sempre
gli stessi.
|
Fin dal
primo momento restò affascinata dalla luminosità dei suoi
occhi, ma soprattutto dalla sua figura, da quell'inusitato alone di
mistero che gli si percepiva attorno.
Quel bisogno d'imprevedibilità
e di mistero tipico di donne che troppo sognano, e che le fa innamorare
non tanto di una persona, quanto di una loro particolare e solitamente
effimera idea.
E fu così anche per lei: un amore improvviso,
a prima vista, ma esaltante, appassionato, da perderne la testa. Da
ridurla al punto che, abbandonando ogni remora, prese l'iniziativa e
glielo rivelò, e si disse anche disposta a tutto.
Ma quegli occhi
crudeli, divenuti di ghiaccio, resero vana ogni sua illusione. Quattro
parole di convenienza, un tenue sorriso - forse di compatimento - e
si dipanò anche il mistero: pure "lui" era una donna,
ma detestava gli uomini, sicché si divertiva a circuire e poi
a ridicolizzare proprio le ingenue come lei, "nate schiave e leccaculo
(disse proprio così) di quei mascalzoni".
|
Prima
la delusione, poi,
l'amarezza dei riscontri.
Il passato ci propina l'illusione del ricordo.
Se ne accorse quel giorno,
al paese natale,
quarant'anni dopo.
|
"Me
l'ha fatta, la fedifraga svergognata, ma d'ora in poi dovrà
accontentarsi solo di quello che passa il convento!", ed è
proprio dallo sfogo di quel marito tradito che una buona parte degli
avventori presenti nel bar dopo un po' si travestirono da frati.
|
Si
librò, volò ben oltre a ciò che avrebbe mai potuto
pensare.
Ora era nulla ed era tutto. E la coscienza, e ciò che era stato
- se c'era - volava in alto con lui. Una luminaria di corpuscoli a mo'
di cometa. Stelle filanti, su e giù... i pianeti... La terra:
un puntino immaginario, che chissà, forse non c'era più.
E che triste il risveglio!
|
Il
lavoro nobilita sì l'uomo, ma quand'è creativo o perlomeno
quando vi si senta perfettamente inserito.
Altrimenti è un'ossessione, un avvilimento o, peggio, un tedio
infinito.
|
Oh,
se avessi saputo che i profumi, i colori, gl'incanti assopiti d'una
notte di mezz'estate erano l'onda dei tuoi occhi, che divagava in
me, inquieta!
Oh, se avessi saputo che quegli occhi c'erano veramente, e i palpiti
del tuo cuore vibravano unisoni alle fronde smosse dal vento, alla
risacca, più in là, tra gli scogli!
Oh, se avessi saputo vivere, capire, cogliere il tuo amore e coprirti,
inondarti, avvinghiarti al mio grande amore ritrovato! Oh, se avessi
saputo che l'età non conta.
|
Se non
lo chiamavano barone, ci restava male. Difatti, oltre al titolo, non
che gli rimanesse granché: soldi pochini, salute non proprio,
e per il resto... meglio lasciar perdere. Comunque sia i lontani parenti
che gli antichi amici del cosiddetto bel mondo l'avevano da tempo lasciato
a se stesso. Oramai era più o meno un sopravvissuto, e sebbene,
nei tratti e nell'incedere, fosse rimasto quel gran signore d'una volta,
il vestito frusto, per quanto decoroso, rivelava purtroppo la cruda
realtà. L'unica residua raffinatezza, quel monocolo un po' rococò,
dono ancora di suo padre, decenni addietro.
Sì, perché,
a differenza dei soliti monocoli, il suo era tutto cerchiato d'antico
oro zecchino, finemente lavorato, perciò di valore inestimabile,
e chissà come preservato dai vari ufficiali giudiziari e dalle
tante disavventure occorsegli.
Per cui se lo soppesava, se lo rigirava
e rigirava nelle mani, e la sensazione di calore che si sprigionava
dalla lente e dal metallo soffregato la percepiva tutta, dolcemente
addosso, faceva parte di lui.
Barone-monocolo, ecco una ragione per
vivere! E l'antica perizia, che ostentava orgogliosamente allorquando
se lo infilava nell'occhio sinistro, era ancora il nobile segno, lo
stile di una schiatta, che neanche la sua totale decadenza aveva reciso.
Un posto speciale per lui all'ospizio, in alto, su uno scranno, laddove
un tempo suo nonno, il benefattore, riceveva invece inchini e salamelecchi
dai suoi assistiti. Come dire: "noblesse oblige".
|
Metastasi, diagnosticarono i medici. Sbigottì. Si guardò
attorno, smarrito. Il passato e il presente un informe tutt'uno. Le
cose, la gente: ombre, oggetti semoventi. Gli affetti, ingigantiti,
e dinanzi, in un immenso tableau, tutta la cronistoria della sua vita.
Vaga, inutile, come il tempo, gl'ideali, i troppi sogni lasciati a
metà per paura di perderli.
Già morto, il necrologio, pur essendo ancora vivo.
|
Il
velo della notte racchiude in sé i pensierosi, i malinconici,
quelli che, alla prima bruma del mattino, declinano, insonni, come
quell'ultimo spicchio di luna.
Che gran parte dei politici parlino in un modo
e agiscano in un altro è abbastanza normale, direi quasi prevedibile,
ma bastano e avanzano quei pochi che si ritengano in buona fede per
metterci nei guai.
|
Il
politico di razza ha la peculiarità di saper interpretare ogni
minima variazione dell'opinione pubblica, adeguandovi la sua politica.
Ed è estremamente positivo che in democrazia, se non l'unico,
questo sia di gran lunga il modo migliore di fare politica. Se non altro
è meno dannoso un politico pragmatico e magari un po' opportunista,
ma che s'attenga al buonsenso e alla realtà in cui vive, dei
cosiddetti gran campioni di coerenza, quelli che, nel passato come nel
presente: "vanno sempre diritti per la loro strada".
Che purtroppo
è anche quella strada da cui solitamente non si torna indietro.
|
A
forza di ascoltare uno scemo, si diviene scemi, ma, a forza di ascoltare
un demagogo, si diviene sordi e, alle volte, ciechi. Sordi, o meglio
rintronati, perché si prendono fischi per fiaschi, e ciechi,
o meglio illusi, perché si scorgono sirene persino laddove
gracidano i rospi.
|
Sono
gli altri che notano in noi quei difetti che noi tendiamo a minimizzare,
ignorare o tacitamente giustificare. E' meno facile essere indulgenti
con gli altri che con se stessi.
|
L'imponderabile
legge del contrasto, che regna tra gli uomini (e ben meno tra le donne),
pone chi si ritiene in difetto a sforzare proprio lì, ov'è
più scoperto, dunque ad agire esattamente all'inverso di ciò
che la sua natura richiederebbe.
Ma se alle volte un timido potrà
anche sembrare uno sfrontato, un nano non diverrà mai un gigante,
anzi tutti i suoi tentativi, i suoi bluff, alla lunga gli si ritorceranno
addosso: annegherà nel ridicolo.
Buffa quest'umanità:
si vive e ci si tormenta, ma, in buona sostanza, solo per apparire,
quasi che l'essere ci fosse d'impiccio.
|
A forza
di riempirsi la testa di pedanti elucubrazioni, pian piano s'era accorto
che sostanzialmente l'oggetto di quei pensieri era appunto il pensiero.
Ma un pensiero circolare, sterile, inaridito, per cui fine a se stesso,
comunque fuori della realtà.
Che poi si trattasse di mero intellettualismo
o solo pensiero da snob, non se lo seppe o non se lo volle dire.
Del
resto detestava gli snob... come lui.
|
Solipsismo, ovvero egoismo, culto di se stessi, ma anche paura di
confrontarsi...
E sentirsi braccati, e sfuggire da tutti, compreso se stessi!
|
Ossessionati,
come sono, di apparire banali e noiosi, prima o poi, ma senz'altro
lo divengono.
|
Attendendo
la Grande Occasione buttò via il suo tempo, ed ora, ormai vecchio...
e quel rimpianto di tante, piccole occasioni perdute, che non gli
dà più tregua.
|
Dentro di lui, un vorticare di ricordi immaginari: improbabili avventure,
i tanti racconti che ormai nessuno riesce più ad ascoltare.
|
Per
un emarginato, più della violenza di pochi sconsiderati o il
sarcasmo dei presuntuosi, colpisce l'indifferenza dei cosiddetti bempensanti...
come noi.
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Chi,
malgrado stia invecchiando, persiste negli stessi errori, se non è
già scemo del tutto, comunque ci tende.
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Macerie
ancora fumanti.
In fondo alla strada,
il rombo sinistro d'un cannone lontano.
Un gatto spellacchiato,
una vecchietta ingobbita.
L'algido chiarore della luna.
Sotto un muro diroccato,
due innamorati che parlano d'amore.
Ricomincia la vita.
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Il
vanesio che si pavoneggia nello specchio,
se non altro è un'emblematica raffigurazione della scemenza,
si potrebbe pure dire la fotocopia...
se in più non si ritenesse assolutamente irripetibile.
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Chi
si prende gioco della scemenza altrui,
magari è il più scemo di tutti.
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La
scemenza può anche portar lontano, basta non accorgersene.
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Di
solito gli scemi si rivelano proprio nel momento meno opportuno.
E a chi tocca, tocca!
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Se non
ancora scemo, chi si atteggia o si presuppone furbo, ha molte probabilità
di diventarlo, e presto.
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Per chi deve convivere con gli scemi, tutti gli altri assurgono a
geni.
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Lo scemo che sa di esserlo è meno scemo di quanto si crede,
se non altro perché non ha di che vantarsi.
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Il ricordo
ci serve per enumerare quanto a noi già successo e le relative
sensazioni, ma quasi certamente nel modo e nei tempi che più
ci aggradano.
Ogni tanto però il teorema si ribalta: come una
gran pioggia d'agosto, il passato ci piomba addosso quando meno lo si
aspetta, e si salva solo chi riesce prontamente a ripararsi, ovvero
a dimenticare.
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Gl'invidiosi
se la prendono con tutti, ma particolarmente con gl'innamorati.
Che siano troppo occupati per accorgersi della loro cattiveria li
fa crepare
d'invidia.
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Il successo o l'insuccesso degli altri diviene anche il nostro, così
la gioia, il dolore:
ogni sentimento che derivi da chi ci è attorno e che colpisca
la nostra sensibilità.
Peccato che l'abbiamo capito troppo tardi... da quando non ci siamo
più.
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Inebriarsi
d'amore è il vero segreto della vita. Anche se non ricambiato,
è pur sempre un'emozione così sconvolgente, che può
spazzar via ogni nostro complesso, persino quello della morte.
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Ci
fu un momento in cui m'illusi del tuo amore, ma il tempo ha pian piano
eroso gli entusiasmi, sopiti gli interessi, ed ora quei tuoi occhioni
aperti sul nulla - e che non mi vedono più - già dicono
tutto.
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L'anima
mia si apre
sulla tua immensa spianata da arare:
campi fervidi di pioggia, fruscii di fronde, brusii lontani di sorgente,
ma è il tuo profumo di donna che la pervade, insinuante, gravido
di voluttuose promesse...
come fragranze d'Oriente.
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Te ne
andavi stancamente a cogliere
le solite ore del giorno.
Poi, imprevedibile, l'avventura.
Sguardi, cenni, parole dette sottovoce,
ma fragorose nel segreto del tuo cuore.
E la veste tua di cemento discese
- pudica - frusciando di seta.
Finì lì, ma da quel giorno finalmente
hai capito quanto il tempo
possa essere prezioso.
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Quantificando
il valore del rapporto, il suo corpo veniva soppesato ad etto, ed ogni
suo palpito, ogni suo abbandono, le erano valutati per difetto. Allora
se ne stette zitta, in silenzio, a contar pecore con gli occhi socchiusi
sul vuoto del soffitto.
In fondo l'ingombro di quel corpo greve e ansimante
su di lei, quelle mani sudaticce ovunque sulla sua pelle, sebbene di
suo marito, per lei divennero invece un gregge di pecore che, pur belando
e brucando qua e là, prima o poi se ne sarebbero ritornate all'ovile.
E così avvenne che, a forza di veder pecore, cominciò
pian piano a sentirsi prato, per cui non si preoccupò più
di niente, neanche se le avesse fatto - per dire - i bisogni addosso.
Tanto un prato non soffre, né tanto meno reagisce.
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Cercai
inutilmente di modificarla nel profondo, di renderla quanto più
a mia misura. Ed ora sono proprio io che invece le corro appresso
come un cagnolino. Certo, non è ancora riuscita a farmi abbaiare,
ma ho fatto e so che farò ancora tutto il possibile per accontentarla.
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Sul
tuo volto, opale di lontananze, un timido, dolce, invitante sorriso,
e allora la carezza dei miei occhi sull'iride velata dei tuoi. Una
lacrima insieme...
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Forse
per l'educazione ricevuta, forse per una sua inconscia, quanto impellente
necessità, ma più soggiaceva alle pretese del suo uomo,
più - se non proprio appagata - si sentiva a suo agio, forse
amata.
Poi un giorno egli le accennò di un'altra coppia, di nuove,
eccitanti esperienze. Accettò di buon grado. E fu così
che conobbe chi le fece improvvisamente scoprire ben altre dimensioni
del piacere, che ne mutò il destino... Gianna, il suo nome.
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Suggestionata
dal memoriale di una famosa cortigiana del '700, abbandonò il
protettore e la stradaccia in cui "faceva il mestiere", e
da quella tipica buona ragazza acqua e sapone, tutta - si fa per dire
- casa e lavoro che era, divenne all'improvviso una sofisticatissima
signora che, tra sottintesi e raffinatezze, emanava quel fascino misterioso
e proibito della classica femmina d'alto bordo.
Cioè aveva capito
che per farsi desiderare non conta la naturalezza, la normalità,
ma l'idea stessa del mistero, della diversità, del sogno o -
se si vuole - l'illusione, e che quel lui da irretire - o piuttosto
da spennare -, anche se il meno proponibile, deve comunque sentirsi
un seduttore, perciò parte integrante ed esclusiva di quest'illusione,
anzi l'interprete principale.
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Tra
sguardi assassini, gridolini, mossettine e finti deliqui, capita pure
che una tenera e ingenua contadinella, rapita da un ipotetico bruto
- e di cui io sarei l'altrettanto ipotetico ed eroico salvatore -, al
momento giusto si trasformi in un'erinni altera e insofferente. Dalle
stelle alle stalle.
Eppure era dai tempi della Duse e della Bertini
che non m'innamoravo così. E sì che è ancora più
vecchia di me!
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Era
sempre lì ad aspettare
Ma chi aspettava non arrivava mai.
E quando arrivava,
era come se non ci fosse.
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Arduo
è l'amore quando non è ricambiato,
anche per chi s'illude del contrario.
"Amor ch'a null'amato amar perdona"...
se pur 'l cor non langua, ohimé, per 'n altro.
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Per
stravaganza o forse un po' per civetteria, all'inizio dà l'impressione
di prendersi gioco di me, e solo quando s'accorge del mio imbarazzo,
s'abbandona, si lascia andare, si fa cogliere come se così volesse
autopunirsi. E, fra le altre sue bizzarrie, ciò capita spesso,
quasi di norma, per cui conosco bene la lezione.
Al più mi resta
ancora da capire se il desiderio che ho di lei è frutto soltanto
della sua prepotente, quanto complicata femminilità o più
semplicemente della mia inclinazione per il teatro e per le recite in
genere?
Ovvero l'amo in quanto donna o in quanto attrice? Ma ciò
che importanza ha? Basta che esista o, meglio, che ci stia.
Comunque
per quest'amore sono disposto a tutto, anche a farle da pagliaccio o
a seguirla come un cagnolino. Tanto so che alla fine qualcosa ottengo.
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Non
riesco a capacitarmi che qui, accanto a me, ormai dorma una vecchia.
Eppure il tempo è passato anche per me, e credo proprio illusorio
pensare che con me sia stato più indulgente. Ma gli anni, dicono,
sono quelli che si sentono, per cui basta ignorarli, al più non
guardarsi nello specchio. E al che mi attengo.
Ma quando, appunto, ci
si specchia nelle persone che ci sono ancora vicine, e con cui, nostro
malgrado, è inevitabile il confronto: allora è proprio
lì che casca l'asino! Sì, lo so che purtroppo il tempo
non risparmia l'onta a nessuno - perciò nemmeno a chi, come me,
le tenta tutte -, pur tuttavia non m'accontento, né m'accontenterò
mai di quanto ancora mi resta ... se resta.
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Il suo motto: "Se c'ero, dormivo".
Poi, quando gli successe il fattaccio, dovette svegliarsi.
Ora è sveglio come un grillo, recrimina, ma a quanto pare non
ha ancora capito la lezione.
"Nulla esiste oltre a ciò che vedo", è comunque
il suo nuovo motto.
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Lo
struzzo s'illude di sfuggire il pericolo mettendo la testa dentro
la sabbia.
Chi lo imita già ce l'ha, ma non s'accorge di niente. Forse
neanche d'averla.
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Vide
con i suoi occhi che la moglie lo tradiva, ma, abituato com'era a
non accorgersi di niente, gli fu giocoforza non accorgersene. In ogni
caso non se la prese più di tanto, o almeno non dette a vederlo.
Da quell'uomo di buonsenso e di grandi risorse che si riteneva, agì
con estrema risolutezza, ma in silenzio, con discrezione, tutto proteso
ad un unico scopo: quello di rendere il più possibile pan per
focaccia all'amante. Sicché fece "tradire" anche
costui da quella sua moglie fedifraga, dapprima andandoci lui stesso
e poi, a sommo spregio, procurandole un altro amante.
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Di natura estremamente delicata e sensibile, quando finalmente incocciò
in colui che riteneva l'uomo dei suoi sogni, credette d'aver raggiunto
il culmine d'ogni felicità. Per cui quel suo difficile passato,
le tante, inutili e alle volte sgradevoli esperienze: ogni cosa era
ormai negletta, dietro a sé, come un incubo, orribile ma già
in totale dissolvenza.
Stava invece ritrovando se stessa e, con se stessa,
l'indicibile emozione di vivere all'ombra di quel suo meraviglioso principe
azzurro, di sentirsi ricostruita, rifatta a sua misura: sua dentro,
quindi per lui disposta a tutto. E, in cambio di cotanto amore, egli
adesso s'accontenta ben di poco: i quattro soldi dell'incasso e qualche
sporadico schiaffo, dice per scuoterla, per farla sentir viva, ma forse
intende solo che "batta" con più entusiasmo.
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Era innamorata dell'amore in sé, ma d'un amore pressapoco ipotetico,
contemplativo o, se si vuole, spirituale. Sicché per lei l'amore
era parola, espressione gentile del sentimento e, al più, uno
sguardo nello sguardo che magari trascenda fino all'abbandono, alla
catarsi, ma giammai ad un banale o, ancor peggio, volgare contatto fisico.
Quasi una fissazione la sua, cui tuttavia avrebbe voluto coinvolgere
qualcuno, bello o brutto che sia, ma gl'inutili tentativi finora perseguiti
l'avevano resa alquanto scettica, quindi sempre più sfuggente
e titubante con gli altri e, di conseguenza, sempre più irrequieta
e insoddisfatta di se stessa.
Del resto, se in parte il malessere era
solo latitanza d'affetto, dall'altra veniva acuito dal continuo contrasto
tra la coerenza ai suoi principi morali, ovvero al sogno, e il subdolo,
ma impellente richiamo alle sue esigenze fisiche, ovvero alla realtà.
Uno stimolo questo che lei aveva, appunto, in un certo qual modo compresso,
perciò già risolto, ma che, per colmo d'ironia, le si
manifestava invece in un aspetto con che di selvaggio e, nello stesso
tempo, di sensuale: il fascino misterioso d'una femmina inquietante,
spregiudicata e inoltre, in apparenza, anche ben disponibile. Ma poi
coloro che invano erano attratti dalle sue grazie, se indubbiamente
la turbavano, di fatto non toglievano alcunché al vigore dei
suoi convincimenti.
Fra l'altro si rendeva perfettamente conto che quel
suo modo cerebrale e comunque teorico di porsi, avrebbe senz'altro messo
ogni rapporto su un piano improbabile, per non dire impossibile, e che
pretendere in una società come la nostra che si parli tanto dell'amore
e che poi non se ne faccia niente è davvero bizzarro, anche per
chi ce la mettesse tutta, e infine che, se un'anima gemella ci fosse,
certamente non era quello il modo migliore per convincerla. Infatti
su tutto era disposta a transigere, meno che sulla sua verginità,
e non per dei banali preconcetti, né per aver deciso di sacrificarla
a qualcuno o a qualcosa - del resto non aveva alcuna vocazione alla
santità -, ma perché davvero puntava molto più
in alto: alla sublimazione dell'amore, quindi al perfetto compimento
del percorso intrapreso.
Perciò, al momento, non se n'ebbe a
male quando s'accorse che i suoi spasimanti, vista l'inutilità
dei loro sforzi, un po' alla volta avevano cambiato strada, ma, dai
oggi e dai domani, le s'era creato il vuoto attorno, per cui, nulla
avvenendo e non recependo più così alcun particolare sprone
dall'esterno, sempre più s'invischiò in una solitudine
senza alternative, quasi monacale, che, se non la modificò nel
profondo, le conferì un aspetto ben diverso: più nobile,
quasi ieratico, affinato dagli slanci dello spirito e dalle rinunce
del corpo, ma anche fatalmente inconosciuto, racchiuso in se stesso.
E ciò se non altro la spinse ad una certa consapevolezza e conseguentemente
ad una certa critica dell'utopia che stava vivendo, ovvero: se persisteva
a ritenere incommensurabile il sentimento che l'invadeva tutta, pian
piano s'insinuava in lei anche l'idea di quanto esso fosse maledettamente
sterile, rappreso com'era in quell'angelica vacuità, che la rendeva
sì come una musa dei propri sogni di grandezza, ma inanimata,
inutile, più o meno come un bozzolo che non si schiude mai. "Non
ci si può amare da soli - cominciò a pensare - o perlomeno
per me non è sufficiente". Era cioè il tempo di cambiare,
e cambiò. Divenne membro dell'Esercito della Salvezza e quindi
missionaria laica. La inviarono in Africa, tra i bantù, e di
lei non s'è saputo più niente.
Ora non esiste più neanche il villaggio ove esercitava la sua
missione o, meglio, è sparito per estinzione. Sarà un
caso ma, giunta lei, anche quegl'indigeni hanno rinunciato a fare figli.
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Sorrise.
La seguii.
Aprì un portone:
terzo o quarto piano.
Centomila d'amore.
Chi s'accontenta, gode.
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Ha la
fidanzata a Cuba. Lui ha settantasei anni, lei venticinque. Dice di
amarlo e lui in parte ci crede. Forse si sposeranno. Forse nasceranno
pure dei figli, e forse - fin che Dio vorrà - vivranno sereni
e tranquilli. Anche tra i cornuti c'è in fondo chi ci guadagna.
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E'
stato "il bello" per antonomasia, con le ragazze tutte matte
per lui e noi in disparte, ignorati, con le pive nel sacco. Ora, con
la pancetta, le rughe e i capelli a riporto, è quasi più
brutto di me. E il che è tutto dire. Ma io nel frattempo mi
ci sono abituato, lui... chissà?
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Vorrei
crederti ancora, ma riconosco bene, ormai, nell'algido languore dei
tuoi occhi, la gatta selvaggia, che prende ma non s'abbandona. Non
puoi più giocare con me a rimpiattino: se sei una gatta, io
non sono un topolino... anche se tento invano di mordermi la coda.
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Se
non siamo dei geni o dei matti (ovvero della gente che non sembra nemmeno
più di questo mondo), le care abitudini e gli annosi e ormai
frusti rapporti di routine tendono inevitabilmente a farci rientrare
da ogni nostro per quanto vago volo pindarico, omologandoci invece a
chi ci è attorno: le cosiddette persone normali.
Ne consegue
che il mare magnum della mediocrità trascina fatalmente a sé
pure noi, finché - come delle conchiglie, sulla sabbia, nella
risacca - ci sommerge del tutto.
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Se
appare sincero, l'elogio diviene musica per i nostri orecchi, per
cui ci auguriamo che continui il più a lungo possibile, anche
se facciamo finta che non c'interessa.
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Se
non c'è tornaconto, non c'è nemmeno malafede nell'animo
del falso modesto, al più un'innocua civetteria.
Del resto
chi è in malafede non ama si parli di lui, dato che è
già lui che sparla degli altri.
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Si supponeva
un santo, ma un santo di quelli che non si sa perché lo siano.
Forse si sarebbe accontentato del
l'aureola.
Per ogni madonnina che piange
i tanti dubbiosi sorridono.
E se poi invece...
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Si dichiarano agnostici, ovvero: "Se c'ero dormivo", oppure:
"Ci penserò domani".
Ed è così che se la cavano.
Se non ignorante, chi si proclama ateo è
per lo meno presuntuoso, comunque non è molto diverso dai fideisti
d'ogni credenza o, meglio, da tutti coloro che ritengono d'aver ogni
verità già in tasca.
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La chiesa ha il fascino dell'incompiuta
o meglio del "Chissà-cosa-c'è-dietro?"
|
I campanili svettano nel cielo,
per sovrastare la nostra fantasia.
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C'è
chi va in chiesa con speranza, chi con sussiego; chi per dare, chi per
ricevere; chi si strugge, chi gioisce: la chiesa è un via vai
di sentimenti, di profonde, antiche esigenze, in cui il senso del sacro
e del profano alle volte coincidono.
Ma purtroppo ci sono anche quelli
che prendono la chiesa per un luogo pressoché mondano, in cui
comunque si va solo per osservare la gente com'è vestita, che
dice, o altre amenità del genere. Non certamente per dissacrarla
- non ne hanno la taglia -, difatti per costoro nulla esiste o quantomeno
non li riguarda, in ogni caso nulla conta che non avvenga poi al mercato,
allo stadio o al bar all'angolo.
Al più sanno tutto sul tempo
o sui fatti degli altri e, salvo eventualmente a malignarci, l'unico
vero scopo della loro vita resta ancora quello di trasbordarsi ovunque
suppongano di poter trascorrere al meglio le ore. Come se gliene restassero
tante...
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Tranciava
spietati giudizi su tutto e su tutti, meno che su se stesso...
ovvero me.
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Piangersi addosso per farsi consolare, ben sapendo che sarà
solo una farsa.
E, sebbene sul suo volto qualche lacrima s'accenna, resta l'incomunicabilità
e la solitudine che comporta. In fondo né io né lei
ci amiamo così tanto da piangerci dentro.
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Non
che puzzasse, ma c'era in lui un che di viscido, di molliccio, di
melmoso, che lo allontanava dalla gente, quasi fosse un appestato.
Eppure era strapieno di soldi, e la professione che esercitava - il
notaio - lo poneva al riparo da qualsivoglia problema... oddio di
soldi, s'intende!
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Mentre
il vigliacco se la prende col più debole, s'inchina e fa i
salamelecchi al prepotente.
La vigliaccheria può divenire ben più vigliacca di quanto
ci si possa credere.
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Oltre
a sconvolgerne la vita, ogni prepotenza lascia dietro a sé tanta
amarezza nelle vittime, tanta delusione, tanta voglia di fuggire il
più lontano possibile. Magari alla ricerca di un'ipotetica giustizia,
in cui alla violenza si reagisca con altrettanta violenza. Ma tra violenti
in fondo si capiscono, sicché le vittime rimangono quasi sempre
vittime. Forse ne sono già predestinate.
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Sarà
solo apparenza, ma, al momento della dipartita, quel tizio che tutta
la vita ha eccelso unicamente per la sua cattiveria, ha un'infinità
di gente raccolta e contegnosa attorno a sé, e, salvo la solita
sceneggiata dei più zelanti - cioè quelli del finto groppo
alla gola o piagnisteo -, ovunque aleggia nell'ambiente quel tono severo
e compreso che la circostanza pretende.
Eppure ben pochi, forse nessuno
che abbia almeno qualche valida ragione per soffrirne: i più
sono lì solo perché non vedono l'ora che muoia.
Ma, se
si guardano bene dal palesarlo, se evitano gli insulti e i sogghigni
che invece costui comunque meriterebbe, è un po' perché
lo temono ancora, ma è anche perché, a forza di botte
e umiliazioni, ormai non sono più capaci di ribellarsi, ma nemmeno
di ridere se ne hanno voglia. Eppoi i diavoli, si sa, purtroppo sono
immortali.
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Sotto
sotto, il sarcasmo è la rivalsa dei deboli, solo che rimane
inespresso, o, al più, nell'ambito loro, ma a denti stretti,
a mo' di sfogo.
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Quando, oltre alle chiacchiere, ci si mette il cuore... è lì
che casca l'asino.
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Poco
fa ha dissertato di civile convivenza e dell'imperativo categorico di
Kant, ed ora furente, lì, sul campo di tennis, che s'agita e
strilla come un assatanato per una semplice pallina contestata. Ovvero,
quando alla ragione prevalga l'istinto si sveglia anche la belva che
c'è in noi, e sebbene ciò sia un punto debole per tutti,
lo è ancora di più per quelli che si ritengano diversi,
comunque migliori.
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Che
conta aver la pazienza d'un angelo! Certa gente è meglio lasciarla
perdere o far finta che non esista. L'irascibilità e l'intolleranza
vanificano ogni nobile teoria, ma anche ogni buona volontà.
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Il carisma
di certuni è di solito il contraltare della pochezza di altri.
Ovvero, come i cani anche l'uomo ha bisogno del capo-branco. Solo
che ha il pudore di riconoscerlo.
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Salvo
malattie od eccezioni, la fortuna arride a chi strenuamente se la
cerca. Agli altri, cioè a quelli che rimangono al palo, i pianti
e i lamenti. Chissà, forse li prediligono all'impegno.
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Il
presente trasuda del passato, se però l'ossessiva riproposizione
del passato diviene il fine ultimo del presente, allora, oltre al
presente, non ci sarà più nemmeno un futuro.
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Di teatralità
e di parole dette al vento è zeppa la nostra vita. C'è
poi chi le recita bene e chi male, ma il senso o, se si vuole, la
penosa farsa che ne deriva, in fondo è sempre la stessa.
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Proverbi, massime, adagi e sentenze si tramandano solo quando l'intuizione
e la capacità di sintesi di chi le ha formulate, oppure il
più genuino buonsenso popolare cui s'ispirano, divengano patrimonio
di tutti. Altrimenti sono parole, parole dette al vento, di cui ben
difficilmente resterà traccia.
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A forza d'insistere, gli slogans della pubblicità s'imprimono
nella mente fino a condizionarci nei nostri acquisti, e nello stesso
modo le bugie o le promesse più illusorie che ci propinano
divengono assolute verità. Fino a farcele poi diffondere.
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L'amore è un brulichio di sensazioni che allargano all'infinito
il nostro spirito.
Sensazioni che dal cuore s'imprimono nella mente
e quindi nella memoria, in quel crescendo dolcissimo, che già
di per sé è uno straordinario segno di speranza, anzi
un'iniezione d'ottimismo, che modifica dal di dentro chiunque ne sia
rapito.
E lo si nota dalla ritrovata elasticità dei movimenti,
dalla luminosità dello sguardo, dal tono suadente della voce,
da quella carica di simpatia e di giovinezza che rende così piacevoli
gl'innamorati, anche agli scettici o ai più scontrosi.
E' certamente
un miracolo, ma è anche un miracolo alla portata di tutti. Basta
averne il talento.
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Magari inconsapevolmente ma, per la quasi totalità dei comuni
mortali, amare è attribuire alla persona amata il senso profondo
dei propri desideri.
Che poi corrispondano o meno, alla fine solitamente
non si formalizzano: s'accontentano e se la prendono così com'è.
Per quei rari spiriti che invece tendono ad elevare la realtà
a sogno, il grande amore, quand'anche ignorato o non contraccambiato,
si riflette e si trasfigura nella persona amata.
Come l'idea platonica
dell'amore, vive per sé, di luce propria, mentre il resto, o
meglio il suo concretizzarsi, se non inutile, è più o
meno una pia illusione. A dar loro bada, persino l'umanità sarebbe
così un equivoco. Loro esclusi, s'intende.
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Se la solitudine rende scorbutico persino l'individuo più estroverso,
l'amore lo rende invece gentile, anzi un tenerone.
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Anche
se fa la scontrosa, il maggior scorno che si possa arrecare a una
donna è non guardarla. Specie quando si spoglia.
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Se
per l'uomo la donna è un giardino lussureggiante in cui abbandonarsi
beatamente, per la donna l'uomo potrebbe anch'essere un buon giardiniere.
Pur se al momento non lo dà a vedere.
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Ad
ogni compleanno, cupo rintocca il tempo che ci resta, ma il timore
è ben meno cocente quando si è indietro con gli anni.....
o quando se ne hanno troppi per filarci su.
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Umana
è la speranza, così le dilazioni, così, e fino
in fondo, è il pulsare della vita che allontana la morte, che
ne ritarda l'arrivo... che, per l'appunto, ci fa persino sperare nell'impossibile.
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Quando
m'accorgo del folle che m'è dinanzi è già troppo
tardi per farmi dapparte, meglio assecondarlo, al più far finta
di niente
e togliere i miei occhi dallo specchio.
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Le emozioni e le passioni, se impreziosiscono il tempo vissuto, lo rendono
anche estremamente fugace, nel mentre la pigrizia e la noia, poiché
danno la sensazione di non finire mai, viceversa ne interrompono la
crescita, quindi in pratica lo allungano. Immalinconendolo, però.
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Non
proprio della donna, ma capita d'innamorarsi dell'idea, dell'illusione
che quella donna in qualche modo ispira, e a quel punto potrebbe
già essere troppo tardi per innamorarsi sul serio.
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L'equivoco rappresenta in amore l'eterno gioco delle parti, e se
può servire a far sognare e quindi a vivificare quell'amore,
può significarne anche la fine.
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Una donna eccitante e magari anche ben predisposta, se ci emoziona,
certamente non lenisce al vuoto del sentimento. L'amore è
un'altra cosa.
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L'amore
è un'impellente bomba innescata, e, quando deflagra, una
luminaria di luci ci piomba improvvisamente addosso. C'involiamo
là, nel mezzo... convinti di volare per davvero.
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Non
siamo in grado di conoscere che l'apparenza, che la scorza degli altri
e, per buona sostanza, non conosciamo nemmeno noi stessi. Anche se
è arduo l'ammetterlo.
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Non
esiste una particolare tipologia dell'amore: c'è o non c'è.
E le varie giustificazioni o i distinguo null'altro sono che pietose
bugie. E' sempre estremamente difficile riconoscere la verità...
specie quando non fa comodo.
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Gli occhi sono lo specchio dell'anima e la luce che riflettono riverberano
le idee che affiorano dalla mente. Ma è sufficiente qualche
goccia di collirio per ricavarne l'identico effetto.
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Frammista
al passato c'è nel presente la magica fragranza del futuro.
Un labile segno di speranza.
L'indefinibilità di chi m'è dinanzi ne aumenta il fascino,
il silenzio lo acuisce. Sogno o son desto?
|
Come le idee si affinano e in un certo senso divengono riflessive, così
il segno del tempo matura in noi un velo di tristezza, di malinconia,
e la beata incoscienza e lo scoppiettio felice delle idee del passato
degradano allora nel nulla, come del resto la nostra giovinezza.
Se
ne va così con gli anni gran parte della nostra fantasia, della
nostra creatività: diveniamo "grandi" per il senso
comune, ma ancora più "piccoli" nel profondo della
nostra coscienza.
E in quel bonario, accattivante sorriso che ora accenniamo
appena affiora il ricordo null'altro si scorge ormai che un nostro canto
del cigno.
|
La vera conoscenza del passato si cela nelle vicissitudini, per non
dire nella psiche d'ogni singolo individuo (quindi sparisce con lui)
e poi - ma solo accettando la precarietà o la parzialità
d'una sintesi - nel popolo che lo rappresenta e quindi nell'umanità
intera. Ovvero, malgrado l'impegno, noi dal semplice racconto ricaviamo
impulsi, impressioni e non assolutamente certezze.
Sicché ogni
cosa che, in parte o del tutto, riteniamo di aver saputo è invece
lo specchio sbilenco, comunque deformato, del nostro personalissimo
concetto della conoscenza.
Null'altro che un io riflesso.
|
Meglio stare da soli che in una compagnia sbagliata. La solitudine
può rendere tristi ma può altresì affinare e
arricchire lo spirito. La compagnia sbagliata lo deprime comunque.
|
Subito dopo esser stato eletto sembra che il politico ponga ogni suo
sforzo per divenire proprio quel politicante da quattro soldi che
ha invece tanto esecrato in campagna elettorale.
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Con tutti quegli sforzi che fanno per farsi notare, certi personaggi
ti piombano letteralmente addosso. Evidentemente non si rendono conto
che l'impressione che danno è commisurata al loro invasamento,
anzi alla loro stupidità.
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Non è sfuggito da tutto e da tutti, e non s'è messo a
far l'eremita per rancore verso la gente ma piuttosto perché
ne era suggestionato, anzi la temeva, come se la pressione della gente,
quel suo sciamare senza fine, lo potesse fagocitare, sommergere, gli
potesse cioè far perdere quella sua particolarissima identità
di uomo cocciutamente solo e autosufficiente. In un certo senso si sopravvalutava:
la gente ha ben altre cose cui badare che alle sue fisime, tantomeno
se inespresse.
Sicché nessuno se ne accorse, nessuno che tentò
di fargli cambiar idea, e in quei suoi occhi sbarrati, assenti, quasi
fossero proiettati nel nulla, ora c'era tutta la consapevolezza d'una
solitudine senza scampo. Forse il rimpianto di quel calore umano, lasciato
sempre al di là della sua porta, ma che in fondo accalorava pure
lui... anche se non l'avrebbe mai ammesso.
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Ogni
punto d'arrivo ha già in sé la delusione, ed è
proprio quest'innata scontentezza che ci proietta verso l'avventura
della vita.
Altrimenti saremmo vecchi.
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La
fragilità del suo corpo lo rendeva particolarmente docile e
disponibile. Sperava così di difendersi dai prepotenti. Dentro
a sé gemeva di violenza.
Il genio potrà non essere compreso, ma
se si palesa, non passerà mai inosservato.
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Il mutismo e l'inespressività del suo volto evidenziavano crudamente
la sua nullità. Poi seppi. E seppi anche che gli occhi dei sordomuti
vedono ben al di là, comunque molto più in là di
quei fessi come me, che hanno la presunzione di saper giudicare da quattro
chiacchiere e da un qualche balenio delle pupille.
Come se l'abito facesse
sempre il monaco.
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Chaque
jour on gagne l'argent au moins pour manger deux fois, mais ca n'est
pas suffisant pour acheter meme un peu de joie.
Amò - si dirà di lui - per amor
d'amore.
Come dire: parole, parole
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Più l'ama, più la sfugge, come se l'ansia del desiderio,
di quella meravigliosa idea che di lei ha, fosse l'unica cosa intangibile,
l'unica strada percorribile. Oltre: incertezze, tradimenti... E ciò
da cinquant'anni in qua, sicché di lui forse lei non s'è
neanche mai accorta.
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L'immagine tua, scolpita in me, è un albero fiorito, fluente
di primavera, ma quando l'onda del presente cinge di rimpianti, di
disincantamenti, quell'albero s'affloscia, s'inaridisce... è
un salice piangente.
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Più
ti sfuggo, più t'inseguo, sicché quando m'illudo d'aver
finalmente eluso la tua malia, mi ritrovo lì, contrito, come
un pulcino bagnato, ad abbandonarmi al tepore del tuo corpo.
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M'illudo tu sia costì oppure colà, ma in verità
nulla so di te, oltre a quello che vuoi.
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Hai fatto di me un uomo innamorato, ma l'amore per te resta un gioco,
come un gioco è la vita che fai.
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Ti
diverti così, libera nel vento,
come una farfalla mi sfiori e te ne vai.
Ma quella tua libertà può non aver più senso,
e il vento può portarsi via me e quel poco che dai.
A chi s'illude d'esser felice già incombe
l'infelicità, altrimenti un'indolente, malinconica inconcludenza.
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L'ipocondriaco accusa tutti i mali possibili,
ma l'unico di cui è certamente affetto, il vittimismo, è
inguaribile purtroppo.
Il male arriva quando meno lo si aspetta,
come i guai, del resto, meglio quindi far finta di niente, oppure
dirsi che tanto passano.
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Le muraglie dell'io irte s'innalzano a me d'intorno. Al di là,
la fantasia galoppa sul cavallo alato dei sogni, su, nella nirvanica
valle dell'amore, ove ogni zolla, ogni leggiadro prato fiorito pullula
di tenere fanciulle innamorate.
E sono tutte lì per accogliermi
e rendermi felice, come se esistessero apposta per me. Una melodia lontana,
il tiepido languore dell'aria, quel distacco dalla realtà che
ti fa sentire immortale, il turbamento di chi si sente desiderato...
Inganno.
Per ammansirlo e portarne via in groppa qualcuna, a quel cavallo
non basta certo lo zuccherino, né che accenda fuochi e abbassi
il ponte levatoio.
E' ombroso, fatto a modo suo: rifiuta ogni approccio,
anzi dopo in po' scalcia e mi sbatte giù. E qui appunto ci sono
e ci sto, sempre più prigioniero di me stesso.
Ma ora ho una
grande idea nella testa: quella di fargli intravedere una cavalla che
l'aspetta.
Magari con le ali posticce.
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Il ricordo che ho di te è come una lanterna cinese che si spegne
e si riaccende.
Ahimè, altro non vedo.
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Non ho braccia per cingerti tutta. Sguscia via quel tuo spiritello
burlone, che, irriverente com'è, già s'è messo
a farmi le boccacce.
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Se con quell'inatteso, quanto insperato invito alla première
toccammo il settimo cielo, i soldi che poi spendemmo ben presto ci riportarono
a terra. Ma non ce ne preoccupammo quel giorno, lungo il percorso, con
gli occhi ammirati della gente per il perfetto "à plombe"
del mio fiammante smoking e del tuo splendido abito firmato non so da
chi.
Dopo tanto attendere, avevamo - come dire - cambiato pelle, ed
ora ci ritenevamo pure noi "à la page", emuli di quegl'idoli
tanto declamati: quegli elegantoni pavoneggianti, magari ampollosi,
alle volte molli, alle volte un po' sdegnosi, fors'anche un po' snob,
ma con quel segno addosso, tipico d'una certa classe, d'una certa, affascinante
unicità. Sicchè anche i nostri rinnovati pensieri veleggiavano
altrove, proiettati ormai nel gran mondo, tra inchini e baciamano, nelle
misteriose suggestioni dell'esclusivo tempio della mondanità
che già ci appariva dinanzi.
E fu così che, beandoci e
gloriandoci, al momento non demmo alcun peso alla strana gente che si
agitava nel piazzale antistante il teatro.
Ma giunti proprio al culmine,
quando, tesi come un violino, già pregustavamo la solenne entrée,
quelle accidenti di uova marce piovuteci all'improvviso addosso ci riportarono
brutalmente a terra con tutte le nostre illusioni.
Presi allora dalla
rabbia o piuttosto dal panico, raggiunta finalmente la soglia del teatro
dopo una fuga alquanto indecorosa, ancora inebetiti, puzzolenti e con
gli abiti tragicamente sciupati, ci guardammo in faccia, sconsolati.
Per un nostro particolare modo di essere, e la buona sorte nei momenti
più difficili, siamo sempre riusciti ad astrarci e a sfuggire
dalla realtà, e quindi, pur udendo vagamente i rari cenni di
solidale simpatia o l'ilare brusio della gente, ora coglievamo soltanto
il battito dei nostri cuori.
Amore mio, che ridere... quel tuorlo d'uovo
appiccicato a mo' di cappellino alla tua mèche appena fatta,
e il rimmel che, dai tuoi occhi, frammisto all'albume, scendeva fino
al decolletée!
Che ridere quel garofano d'uovo sul rèver
dello smoking; che ridere poi, nello specchio, come due pagliacci tutti
impiastricciati, pronti alla gag!
Ebbene grazie, grazie per averci fatto
rinsavire... grazie
tangheri!
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Vedersi e dover correre via è un ben triste segno dei tempi.
Che poi il lavoro nobiliti
forse, ma certo non fa bene all'amore.
Poter tornare indietro! Vivere d'aria e di speranza
come nei
film.
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Astuzia e cinismo potranno farci ricchi e potenti, ma infine che ci
resterà se non l'invidia dei più?
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Ad
ogni costrizione rispondi con un lavacro, ad ogni pretesa con un inchino.
La tua dignità finisce laddove inizia l'arroganza, ma quella
loro: imperiosa, pretenziosa, inumana... che pian piano ti uccide.
Ma forse preferisci morire, se non altro perché loro possano
sopravvivere.
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Han vinto loro: ha vinto il passato, han vinto i tabù, ed ora
ci siamo ritrovati come dei sacchi vuoti, dei burattini afflosciati,
senza il burattinaio. Non sappiamo più che pensare, che dirci.
Il gelo dell'estraneità s'è insinuato in noi, e il nostro
sguardo è ormai ben al di là delle poche illusioni ancora
rimaste.
Anche se poi annaspa nel buio.
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S'è
chiuso un ciclo. Sul nulla abbiamo costruito il nostro amore, e il
mare del nulla ha continuato a lambire quel nulla che c'è in
noi. Il nulla è un modo di vivere, una difesa strategica di
chi non sa o non vuol scegliere alcunché. E' una ragione di
vita di chi vere ragioni non ha. E' la tua, ed è stata la nostra
maledizione.
Brandelli
di sogno
Sudari di fantasmi
Gracidio di rospi
Nello stagno dei ricordi
.
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Cerco
un'immagine bianca
diafana di silenzi
di sofferenze mai lenite.
Cerco quei tuoi occhi tristi
in cui tutto era già segnato
anche il mio rimorso.
Hai conosciuto solo l'inverno
né io ho fatto niente
per farti conoscere la primavera.
E cerco di dirtelo ora
che forse non m'ascolti.
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Se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo, per poterlo implorare,
quando se ne sente il bisogno.
Prima
di nascere che cosa esisteva di me, se non il soffio d'un battito
d'ali di farfalla, che qui poi si chiama anima?
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La
fantasia non galoppava più, le parole non gli uscivano: la
sua vena era esaurita.
E se ne stava il poeta a piangere, in silenzio, che tanto nessuno
l'avrebbe capito.
Si dice che era generoso, leale e magari pieno d'interessi, tanto
la morte perdona tutto, anche le pietose bugie.
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Disse: "Sarò ricco, forte e seducente, risoluto quel tanto
da non risvegliarmi dal sonno almeno quando queste piacevolezze me le
sogno". E quando si vantò d'aver realizzato parte di quei
sogni, e sentì subito addosso tutto il peso dell'interesse e
dell'invidia della gente, s'accorse che nel sogno avevano ben altro
sapore.
Cercò allora di ritornare sui suoi passi, ma invano:
i sogni non sgorgavano più come un tempo. Si rintanò in
se stesso. Si fece crescere la barba, donò ogni suo avere ai
poveri, incanutì e si mise alla stregua del più misero
e sgradevole degli straccioni.
Disse: "Sono come sono, potrò
finalmente esser lasciato in pace?" Questa volta non accennò
al sogno.
Evidentemente aveva capito che i veri segreti, quelli più
preziosi, vanno custoditi gelosamente, quantomeno in silenzio.
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Parla e sparla ma certo non s'ascolta. Se s'ascoltasse, forse s'accorgerebbe
che le sue parole non hanno alcun costrutto: non significano niente.
Al più sono il ben misero frutto d'uno che comunque respira,
che è dunque vitale, che vive, ma a modo suo: senza pensarci
su, senz'afferrarne il senso, alla stregua d'un vegetale, casualmente.
Sempre che il vegetale non s'offenda.
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Se s'incaponisce di far presa su qualcuno, il cinico gli fa sfoggio
d'ogni titolo, d'ogni privilegio, d'ogni evento in cui egli rifulga
di capacità e d'intelletto. Ridondante come un pavone, è
disposto a tutto pur di compiacerlo.
Ma come s'allenta l'entusiasmo
o svanisce ogni interesse, si rintana, si raggrinza: dà a vedere
tutto il contrario.
Arriva ad autoconvincersi che non è successo
niente, anzi che quel qualcuno non è mai esistito. Anche se gli
è ancora dinanzi.
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Per i prepotenti, la vita non è un raffinato svolazzo, da fioretto,
ma un gioco duro, anzi cruento, da spadoni d'assalto.
Sicchè
vivono in una perenne tensione, pericolosamente, col terrore addosso
di perdere la ghirba, d'incocciare in uno ancora più deciso...
magari già armato di spingarda.
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La violenza si ritorce quasi sempre contro chi la provoca, sia per l'ulteriore
violenza che genera che per la resistenza attiva o passiva delle vittime.
Chi più e chi meno, quindi tutti ci rimettono, però le
vittime sono già temprate alla sofferenza, mentre il violento,
se spiazzato o a sua volta aggredito, rischia di ritrovarsi quel poveraccio,
vigliacco e pieno di complessi che in verità è sempre
stato.
Anche se farebbe monete false pur di non ammetterlo.
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Di
culi ce ne sono tanti
piccoli, grandi, ridondanti
ma ce n'è uno che mi par l'eletto
il tuo, anzi il tuo "signor" culetto.
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Il
passato rinasce, ma ben presto si dissolve nella banalità del
presente.
Il ricordo è un'onda di riflusso nel mare magnum dell'eternità.
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Mi spogliai con la flemma di chi si finge sicuro di sé.
Mi guatavi,
di sbieco.
Poi, nudo, me lo ritrovai addosso quel tuo sguardo arcigno,
gelido e penetrante come una lama d'acciaio, ed io molle e spennacchiato
come un tacchino lesso.
Sicché, inopinatamente pudico, divenni
come quel timido fraticello che, preso alla sprovvista senza il saio,
s'aggeggi - le mani conserte - a celare le vergogne.
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Ciò
che conta è vivere il nostro tempo, del resto poco c'importa
che in fondo non ci convenga.
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