pensando e ripensando...

pensieri sparsi e inediti dell'amico mario marion - un uomo discretamente libero e di discreti costumi

Qua e là m'annotavo da tempo degli spunti per un romanzo, ma - raccolti e sviluppati nel computer - s'erano via via talmente dilatati, da costituire un impegno a sé stante. Ogni tematica ne ispirava delle altre, così iniziò un avvincente colloquio col computer o, meglio, con me stesso.

2 - pensieri sparsi

2 - pensieri sparsi e inediti di mario marion


Dal momento che commisurano la grandezza d'una persona dalla sua notorietà, è giocoforza che tendano anche a giustificare, comunque a ritenere del tutto insignificante ogni sua miseria. Per timore di smitizzarlo, preferiscono anzi illudersi che quel personaggio rappresenti, oltre a se stesso e a quel suo particolare "splendore", una parte e non trascurabile di loro stessi, o meglio di quella loro strana e altresì incombente nevrosi - diciamo da identificazione - che comunque impone loro d'assomigliare, fino ad immedesimarsi in quel qualcuno che ammirano, tanto da sentirsene irradiati di luce riflessa.
Come se, esaltandolo, esaltassero pure loro stessi, magari anche illudendosi d'una ipotetica rivincita verso chi si ostina a ignorarli.

 

La violenza in genere, ma quella che si scatena negli stadi in particolare, è il risultato più evidente dell'impossibilità, anzi dell'incapacità quasi patologica dei cosiddetti ultras a darsi una regolata, a ragionare, a dimostrare a chi li sopporta almeno un barlume d'autonomia e di buonsenso, in sintesi d'umanità. Sicché il tifo calcistico è per costoro solo un'occasione per ritrovarsi a fine settimana, tutti assieme, finalmente annullati nel gruppo, in un contesto comunque protettivo, quasi da branco, in cui ogni loro timidezza può impunemente trasformarsi in chiasso, ogni vigliaccheria in rissosità e prepotenza, e la più stolida ignoranza in ispirazione e vanto di quel loro, appunto, ultrasquallido branco.

 

La guerra è una vera jattura per l'umanità, e non ci sono, né ci sono quasi mai state delle irreparabili o comunque sufficienti ragioni per provocarla. Ma i finti pacifisti, s'intende quelli politicizzati, a senso unico, per lo stesso fatto che possono impunemente agire in malafede, danno ampia giustificazione proprio alla parte belligerante contro cui sono mobilitati. Ovvero, se bene o male lì vengono ancora pazientemente sopportati, con molta probabilità quella parte avrà avuto a suo tempo altrettanta pazienza, e quindi dei serissimi motivi per entrare in guerra.

 

Fomenti violenza e riceverai tempesta, finché, malconcio, implorerai invano un po' di tregua. Pochi saranno allora disposti a crederti. Troppi per quanto meriti.

 

Se non sta mai zitto chi non sa quello che dice, è fin troppo taciturno sia chi pensa in eccesso che chi non pensa del tutto. Certo, disturbano meno.

Nel mentre i falsi moralisti si fanno immoralmente i fatti loro, ma di nascosto, senza darlo a sapere, i veri moralisti, i cosiddetti incorruttibili, già da secoli fanno più o meno le stesse cose, ma alla luce del sole, senza alcun pudore. Tanto ciò che è o non è morale è roba loro, da patteggiare esclusivamente tra di loro, in quella loro tronfia, indubitabile, quanto maledettamente perenne priorità.

 

Si sono giurati eterna fedeltà, ed ora, smorzato l'entusiasmo, se ne vanno altrove, in cerca d'altro. Ma ognuno per suo conto, di soppiatto, senza darlo a vedere. Quella è gente tutta d'un pezzo, che non tradirebbe mai la parola.

 

La terra ov'è nato. Lo struggente sentimento di chi la vagheggia da lontano.
Foto, ricordi, tenui sonorità d'un mandolino. Un vecchietto, una cartolina…
Ritorno… Oh, quegli occhi attoniti, delusi…. Forse la sua memoria incerta?

Il vento dipingeva di nubi
la fossa del cielo.
E l'arcobaleno del tuo sguardo,
lontano, oltre l'ultima nube,
a cercarne un'altra più in là.

 

Epigoni d'un mondo che non c'è più i reduci si ritrovano invano, illusi di poterlo rivivere. Forse pure loro sono già morti.

Quel tuo sguardo assente, sempre più assorto sulle tue incertezze.
Cerco di capirti, ma più di compatirti, ahimè, non m'è possibile.

 

T'hanno fatto come un grande uccello marino, librato nell'aria,
ma poi t'hanno mozzato un'ala.
Così, perché si usa.

Ribellarti per te è inconcepibile, anzi più ne approfittano e più lo chiami amore.
Eppure non te lo meriti.

Per quanto deludente, la faccia che mi ritrovo null'altro è che la risultanza del tempo e dell'esperienza acquisita, ma l'alibi della memoria e le abitudini più o meno fasulle, se m'illudono, mi determinano anche tali e tanti complessi, da spingermi a mascherarla con occhiali neri e cappellaccio da bullo. Quasi che a farla vedere così, da tenerona com'è, fosse uno scorno.

 

Come in uno specchio, è nel segreto d'ognuno di noi che si riflette lo spirito del tutto. Ma ci vuole la sensibilità per poterlo intuire o almeno gli occhi per poterlo intravedere. Più delle tante parole, è proprio la solennità del silenzio che fa capire il senso profondo delle cose, i vari perché della vita.

 

Si cercano l'un l'altro perché altrimenti si sentirebbero come degli orfanelli, e poi ci sono quelli che invece rifuggono ogni rapporto e amano chiudersi in loro stessi… nella torre eburnea della loro tristezza.

 

L'insoddisfazione che assilla la condizione umana è la migliore garanzia del progresso dell'umanità…
o del contrario.

Pur viaggiando in lungo e in largo o comunque approfittando appieno d'ogni opportunità, d'ogni stramba offerta di questa nostra cosiddetta civiltà dei consumi, se si è incapaci di socchiudere gli occhi e di lasciarsi andare nel magico regno dell'immaginazione, se cioè non ci si rende conto che è proprio nel mondo dei sogni o, se si vuole, della realtà virtuale, che ne consegue, che si possono sciogliere i nodi più intricati, i complessi più radicati, i momenti più bui o significativi della nostra esistenza, allora è proprio del tutto inutile lamentarsi della noia o, peggio, di quella struggente, quanto tenace malinconia, che di norma affligge chi non sa o non può vedere al di là del proprio naso.
Non quindi i viaggi o le grandi, quanto improbabili avventure, ma l'attesa, l'idea che le stesse possano o debbano avvenire. Tanto più che se c'è in noi una qualità che in un certo qual modo ci distingue, se non altro dagli animali, è quella di poter viaggiare nella fantasia.
Difatti la memoria tangibile dell'esperienza acquisita nel viaggio si decanta quasi subito, e quanto resta è soltanto una nostra particolare sensazione, verosimile o non, ma commisurata, appunto, solo all'intensità e alla qualità di questa nostra perciò preziosissima, ma fin troppo negletta immaginazione.

 

Il penoso, quanto inutile annaspare alla rincorsa disperata di nomi e cognomi, ormai storpiati o confusi nella nostra memoria, se è il segno più tangibile del tempo che passa, è anche un'inquietante avvisaglia di ben altri smarrimenti.

 

Cenere, miriadi di luci spente nel deserto della vita. Milioni d'anni luce sul minuscolo, brumoso io pensante. Vacuità d'ogni mia opinione. Meteore. Lo sgomento del niente astrale che mi circonda…
Che preluda al mio annientamento?

Innamorarsi è la gioia di darsi
l'un l'altro con la parte migliore,
ma nell'intimità, senza testimoni.
E' dal di dentro che nasce il sentimento.


Gelo dell'indifferenza.
Coscienza della propria nullità. Angoscia. Un lupo che la notte ulula invano alla luna, l'innamorato deluso.

Quel cane e quel padrone stanno così bene assieme che in un certo senso si rassomigliano.
Certo che è oltremodo difficile distinguere chi dei due ha prevalso.

L'intelletto rincorre tempo e spazio, travalica la realtà, ma poi ricade nelle piccole, banalissime cose d'ogni giorno. Evidentemente non può prescindere dal corpo cui appartiene. Forse più avanti… nell'aldilà.

 

Tra il via vai di camici bianchi e parenti, sgomento, il povero paziente, con lo sguardo fisso al di là del vetro del balcone, cerca invano nel buio della notte chi, beffardo, gli sta sogghignando nell'orecchio: "Crepa scemo! Qui non c'è più posto per te". Traluce soltanto, e sempre più distante, una falce di luna calante.

 

Nella vetrina di un negozio del centro brilla raggiante e fiera una vecchia candela da sagrestia, messa a richiamo. Ai lati, quasi spenti, gli spot e le grandi luci al neon, invano protestano.

Natale. Ci siamo incontrati al centro. "Come va… Tutto bene?… Auguroni!".
Ma ora non ricordo più nemmeno la tua faccia.
Come se non fossi mai esistito.
Forse per me le persone sono fantasmi, mere illusioni. E forse anch'io per loro.

 

Natale. La gente in giro allegra, indaffarata, piena di borse.
Acquisti per regali.
Un poverello, emaciato, tremante, con la mano tesa… a rovinare la festa.

 

Se rimorde la coscienza
vuol dire che c'è qualcosa dentro.
Ma se poi non ci si fa niente,
è come se se ne fosse senza.

Il cosiddetto pianto del coccodrillo s'addice all'impostore, comunque a chi si cura solo di se stesso.
Anche se fa di tutto per non essere scoperto.

 

Cos'è il mondo, la vita, la natura che mi circonda se non un palpito di speranza? E cos'è la morte, il poi, l'aldilà se non dubbio, inquietudine… un fremito di paura?

Gl'impietosi segni del tempo, il peso abnorme del tuo vecchio corpo, e quella tua anima
giovane, intonsa, veloce come il vento, a tracciare agili arabesques nel cielo terso dei tuoi occhi.
Forse nemmeno lo sai, ma gioia e orgoglio m'è l'esserti figlio.

Verrà la notte e avrà il tuo volto.
Quello che ora, assorto, mi rifiuto
di guardare.
Che schifezza la vecchiaia!
Come del resto le immonde rughe,
la notte marcia, la morte cialtrona…
che sopravviene.

 

L'abitudine intorpidisce membra e cervello
ed è l'anticamera della nevrosi.

A forza d'immedesimarsi negli altri ormai quell'analista non è più neanche in grado di riconoscere la sua immagine riflessa nello specchio. Come se gli fosse sconosciuta.
Sicché l'altro del momento, contiguo o magari indistinto, forse persino inesistente (ma che comunque pensa e agisce in lui), se lo rende in un certo senso alieno a se stesso, d'altra parte ne appaga la coscienza, comunque collima con quella sua strana identità che, per ritrovarsi, abbisogna di rifiutarsi.
Come dire che è più paziente lui del paziente che cura.

 

Il passato che incombe, che ci si piange su, che non si vuol ammettere che non ritorna più. Ne consegue un presente incerto, precario: una piatta staticità, in cui il pretesto d'essere tutto d'un pezzo, più d'una giustificazione, dà proprio l'idea dell'inconcludenza, d'un pavoneggiarsi senza costrutto… di robaccia da soffitta.
Occorrono invece programmi, progetti, perlomeno quelle idee che, sebbene non realizzate, sebbene vengano e vadano dalla mente o, se si vuole, null'altro siano che delle sterili bolle di sapone, comunque ispirano un momento di riflessione, magari d'entusiasmo, che è poi dare un senso al vivere, un'iniezione di gioventù.

 

Senza un cenno di dinamismo, senz'alcuna proiezione nel futuro, senza, cioè, concludere alcunché, inutile, per non dire penoso è poi lagnarsi delle occasioni perdute, ma quanto più triste è il silenzio di chi ha ormai perse anche le speranze!

 

Le belle parole potranno magari lenire,
ma certamente non guarire il disagio dell'emarginazione e chi l'ha capito parla
poco e aiuta, ma senza dare nell'occhio.

Proteste e cortei.
Ma la conclamata solidarietà sindacale, quand'è velleitaria, chiassosa e inconcludente, più d'opportunità è fonte di recriminazioni e rimpianti.

 

Dallo scrigno della memoria, oltre ai ricordi, il sentimento del tempo mi riporta a quelle illusioni, che m'illudo ora di rivivere, come se fossero realmente esistite.

Al di là del big-bang, di pianeti, comete e galassie, la nostra conoscenza altro non sa né prevede, e ogni qualvolta si ripropone l'eterno, irrisolto e a quanto pare irrisolvibile enigma dell'esistenza, ci si ritrova con un pugno di mosche e una gran confusione nella testa.
"Chi siamo? Dove andiamo? Che saremo?": domande, solo domande senza risposta.
Nella diaccia e impenetrabile immensità del cielo il nostro pensiero vagola inutile… come uno sghiribizzo senza costrutto.

 

So solo, tesoro mio, che il tuo tenero sguardo innamorato è come un allegro caminetto acceso: un crepitante focherello il cui tepore m'entra dentro, dentro fino all'anima, fino ad avvolgermi del tutto. E nel benessere che m'arreca, come nella rovente nervatura del ciocco, del legno che brucia, vibra l'essenza, il succo, il fior fiore della tua tenerezza.
Del tuo magico modo d'essere donna.

 

Gli scherzi della memoria fanno a volte travisare, comunque deformare la realtà.
Così chi crede di ricordare in verità ricorda soltanto ciò che è compatibile con la sua mente e quindi percepibile in quel preciso momento.
Eppure questa nostra impareggiabile giustizia impone il cosiddetto teste oculare quale prova tangibile, pur prescindendo dall'età e dal tempo trascorso.
E a chi capita, capita!

 

Come la vecchiaia e la miseria, le brutture delle malattie destano orrore soprattutto in coloro che grandemente le temono, e che magari ce l'hanno già nel DNA, nello specchio segreto di quella loro vitalissima, quanto perfettissima… disumanità.

Ci professavamo innamorati, e dopo aver forse vissuti i momenti più belli della nostra vita, ci siamo accorti che l'amore non era fatto per noi. A quanto pare per noi la costanza è il disimpegno, la pigrizia, quella soave e malinconica solitudine, che poi magari c'indurrà ad un altro amore, ad altre inconcludenti vicissitudini...

 

Non s'annoia mai l'innamorato
che parla e parla del suo amore,
ma chi l'ascolta…

Pur in precario equilibrio,
danzavamo felici
sul filo intrecciato dei nostri sogni.
Peccato, poi, il tonfo, quando s'è rotto.

 

Ti ricordi quella sera a cena: gli occhi negli occhi, le mani nelle mani…
palpiti, carezze, languori, e quella falce di luna, galeotta, riflessa sul pallore del tuo volto.
Ma che s'era mangiato?

 

La scatoletta che mi hai regalato era per me come uno scrigno prezioso.
Ma ero anche innamorato.

La rugiada c'illegiadriva il cuore. Avevamo scoperto il nostro primo mattino. Poi la sera, quando le prime ombre si stagliavano altere anche nei nostri cuori, ci rifugiavamo dolcemente, l'uno nelle braccia dell'altro, quasi che a cercare l'amore fosse l'unica conseguenza possibile.
Vivevamo così, in sintonia, con lo spirito affine e con la gioia di sentirci diversi, rinnovati dal di dentro. E fu un'esperienza unica e irripetibile.
Certamente, perché il sogno non si ripete mai.

 

Svolazzi e tremuli arabesques fan da cornice alle nostre illusioni.
Nel mezzo, sulla dilatata tavolozza del sogno, si staglia trionfante la nostra immagine barocca.

Il tempo che passa e l'ombra della sera, poi della notte, che stretti si tengono i loro segreti. Se non l'epitaffio sulla lapide, di nostro, di veramente nostro che cosa rimarrà?
Sentimenti, qualche ricordo… forse, ma saremo poi in grado di recepirli?

 

Come passano gli anni cambia anche l'approccio tra le persone. Non si parla più di successi, viaggi e avventure, ma del passato, del tempo e dei piccoli, noiosissimi malesseri d'ogni giorno.
E il che, se non altro, è altrettanto noioso.

 

Si disserta, si polemizza, ci si accapiglia, ci si danna per i più nobili ideali ma anche per le più strampalate utopie, eppure basta un semplice raffreddore per farci dimenticare tutto. Siamo troppo abbarbicati alla terra per volare tra le stelle.

Come sei entrata nella mia vita s'è rinchiusa una porta nella mia stanza più segreta, e dentro, col passato, ho riposto tutte le mie ansie, le mie incertezze, quella cronica mia incapacità di accettare il presente, forse di amare sul serio. Ora non intendo, né potrei più comportarmi diversamente: ho gettate le chiavi.

 

Se le risate decretano il successo del comico che sa sfruttare i contrasti, enfatizzando un atteggiamento austero e solenne, divengono una tragedia per quel cocciuto, quanto azzimato "trombone", pieno di sussiego, che con quelle sue noiosissime, quanto roboanti chiacchiere inutili, la lezione d'austerità e di solennità vorrebbe invece propinarcela.
Ma ancor più tragico o, meglio, tragicomico è che persiste, imperterrito, per nulla scosso, come se scambiasse per gioia la derisione e addirittura per entusiasmo il sarcasmo di chi viceversa ormai comincia a non sopportarlo più.
Certo, se costui avesse veramente voluto far ridere, non avrebbe potuto che far piangere. Senz'accorgersene, naturalmente.

 

Quando uno scemo si erge a profeta anche il sublime diventa ridicolo.

Nelle variegate gradazioni dell'ironia c'è sempre qualche motivo plausibile, ma, per chi ne è vittima, solo di cattiveria si tratta, specie quando c'entra la politica.

 

Sprovveduto com'è, che dà l'impressione di barare, comunque
di non essere se stesso, che vale poi lamentarsi della diffidenza che lo emargina?
Al più potrebbe consolarsi con qualcun'altro come lui… magari mettendo su assieme un teatrino.

 

Di furbi ce ne sono tanti, ma il più furbo è quello che fa finta di non esserlo, se non altro perché sa confondere le idee senza pagarne lo scotto.

Quando ti vedo, sento in te una parte del mio spirito.
Quando ti stringo, sento in te anche il calore del mio corpo.
Quando ti bacio, è il battito del mio cuore che si dilata, che fa tutt'uno col tuo.
E quando facciamo all'amore, non so che mi capita, ma vorrei rifarlo all'infinito.

 

C'è un che di patetico nell'alibi di quei pazienti, che giustificano la loro assiduità con i medici cosiddetti dalla ricetta facile, accusando strani malesseri e improbabili cedimenti, in verità la disponibilità di questi medici e la sovrabbondanza delle medicine - che poi restano di norma inutilizzate nell'armadio - rappresentano piuttosto una panacea al loro profondo, quanto disperato bisogno d'affetto, di sentirsi più coccolati, più importanti.
Ma tale verità, se non inconfessabile, è altrettanto imbarazzante… persino a loro stessi.

 

Quando mi arrovello, mi giro e rigiro nelle mie invalicabili ansie, nei problemi che nascono e muoiono nella mia mente, e ne pongono altri, e altri ancora, che poi hanno il medesimo decorso, credo di poter dire che ciò, se non da un animale, mi rende comunque diverso da un qualsiasi oggetto.
E il che è già un vanto.

 

Chissà perché, ma, nella valutazione di certa gente, quando un povero appare anche rozzo e trasandato è un pezzente, mentre un ricco, magari messo peggio, è al più un originale. Forse per quell'eccitante profumo di soldi che si porta dietro?

Le stranezze dei VIP divengono espressioni di genio per la gente comune, e più sono astruse, più colpiscono nel segno.
Conta solo il grado di notorietà.


Lo squallore e la povertà vanno di conserva,
ma la ricchezza non è molto diversa.
Solo che non lo dà a vedere
o sa nascondersi dietro all'apparenza.

Aborrita la miseria, l'unico modello cui si ambisce è nel segno dell'invidia.
Ma chi ne è vittima, pur lagnandosene, si guarda bene dal mollare il privilegio.

 

In alto, nell'ambitissima scala sociale, più su, fino al torrione principale,
ove si possono anche fare le pernacchie ai barbari di sotto.

E' timorato di Dio e ligio ai Grandi Principi, ma appena può, di soppiatto, fa fessa la povera gente, cui ha carpito la fiducia. Ma ha anche la coda di paglia, per cui, se le sue malefatte dovessero adombrare quel suo Dio, così equanime e onnipotente, cioè proprio occorrendo, dopo le suppliche d'uso e il pentimento, a viatico di riserva tiene sempre in serbo parte del mal tolto, da restituire. La prudenza non è mai troppa per chi s'ingegna a vivere tranquillo.

 

Il tuo sguardo impertinente, che coglie sul mio volto quel momento d'imbarazzo, che avrei voluto tener nascosto. M'è già caduta da tempo la maschera da bullo di paese, e nulla più mi resta, che questa mia vecchia faccia rugginosa di satiro impotente.

Più della sequela di nomi e di date, di nozioni che comunque non ti porterai dietro nella memoria, oltre alla vaghezza di una immagine, di tangibile ti rimarrà soltanto la sensazione d'esserti trovato in un luogo memorabile. Sempre che tu sia riuscito ad astrarti dalle chiacchiere.

 

L'armonia vibra, sussurra, piange
di commozione nell'infinità della dolcezza… il violino è dei poeti, ai scimmioni la grancassa e il bum bum dell'elettronica.

 

Il senso estetico trascende il valore dell'oggetto, per cui l'opera d'arte non è
certamente tale per il suo costo, ma per l'intensità del sentimento che suscita.

Quando un'opera d'arte è degna d'essere ammirata non c'è discorso, non c'è colloquio che tenga: la si contempla in silenzio, rapiti, quasi fosse una magia.


Il vibrare armonico del pianoforte e l'appassionato sentimento del musicista fanno della musica un canto dell'anima, un'emozione inesprimibile a parole.

L'imprevedibile piacere di svegliarsi alla luce del sole quando ci si aspetta la pioggia, è un po' come andare a letto imbronciati, arrabbiati con il mondo intero, e risvegliarsi distesi, riconciliati con gli altri e con se stessi. Il buon umore è come il sole: spazza via tutto, anche la bruma della routine.

 

Sognare l'incanto al Nord d'una notte d'estate, il sorriso d'un bimbo, il dolce, insinuante sguardo d'una donna del Sud. Vivere la vita d'ogni giorno intensamente, come un'opera d'arte, ancora con l'entusiasmo, lo slancio e la serenità d'un fanciullo… e infine sorridere anche a se stessi, anche se nessuno ci guarda, anche se la solitudine e la miseria ora ci umiliano e ci rendono tristi. Tanto ci sarà sempre un altro giorno. Per tutti.

 

Vada che, ignorando la propria dissennatezza, incolpi gli altri del proprio fallimento,
ma che ritenga poi di cavarsela,
facendo finta che nulla sia successo…

Se l'intera umanità fosse certa di farla franca e non temesse di pagare il fio nell'Aldilà, molto probabilmente sarebbe anche del tutto estinta: autodistrutta.

 

Tra celie e risa sguaiate, chi eccede per farsi coraggio, rischia poi di piangere in silenzio.
Di solito è proprio nell'eccesso che è insita la debolezza. E il baccano la può confondere, ma certo non guarire.

 

Consola e dà un gran senso di benessere il sentirsi amato, protetto, desiderato, ma può apparire sufficiente anche un pizzico d'illusione. Basta non accorgersene.

L'espressione d'un concetto, quand'è l'intimo frutto d'una travagliata dialettica, va in ogni caso riportato o trascritto. Molte volte ci si azzecca.

Il concetto di perfezione è in parte innato, ma per lo più s'identifica con l'esperienza, dunque con la nostra perfettibilità. Che è anche un nostro tormento.

 

Dal nulla ritorniamo nel nulla? Ovvero morire è un sonno, un lungo, indefinito sonno, senza sogni, senz'alcun cenno di vitalità o, nel lento defluire della coscienza, sereni, innocenti, come dei bambini, stanchi dei giochi, che non sia già questo il segno d'un qualche, insperato "risveglio"?

 

Il presagio d'un radioso Aldilà s'annida in noi fin dalla nascita e se non altro per la consolazione che ci dà
è il più bel sogno che ci capita.

Vibrazioni e multiformi impulsi vitali, nello squallore d'un mondo lunare, senz'ali del pensiero, senz'angeli in preghiera, tragiche vittime di noi stessi, di questa nostra disperata, quanto prepotente curiosità.

Quando il misticismo diventa esaltazione, il palpito del cuore e il pianto che vi sgorga dal profondo bagna, deterge e consola ciò che noi chiamiamo anima, ma quando la consapevolezza della propria identità ne denuncia anche i limiti, allora il cuore diventa solo un organo e il riscontro dell'anima… un sorriso ironico.

 

Per i Padri della Chiesa l'anima è puro spirito, non ha alcuna estensione, al che c'è però chi aggiunge che l'anima è comunque preesistente al corpo e che vi si congiunge o, meglio, che lo raggiunge quando nasce. Meno male, direi, perché altrimenti già nel pancione della puerpera dovrebbero convivere due e, nel caso dei gemelli, più anime. E se fossero incompatibili?

 

L'idea dell'anima, oltre ad esserci connaturata, riesce a darci un senso, in ogni caso una giustificazione alla vita, ma se fosse solo una pia illusione, penso che non saremmo comunque mai in grado d'accorgercene. E per nostra fortuna, direi, perché, demitizzandola, rischieremmo di sentirci spiazzati, solitari, inutili: tristemente destinati a perderci del tutto… ammalati d'impotenza.
Tanto più che, alla fine, oltre l'estremo limite dell'esistenza, anche ogni cosa della vita potrebbe non avere più alcuna importanza, anzi potremmo già essere in parte o del tutto assenti o, peggio, spariti nel nulla, o magari proiettati verso ben altri interessi, ben altri destini, comunque divenuti ormai un'altra cosa e, per come siamo ora, inconoscibile.
Ovvero tutto potrebbe schiarirsi ma anche già essere compromesso, e a quel punto chissà se ci sarebbe ancora qualche traccia di quella che noi ora chiamiamo anima o perlomeno qualche spirito bizzarro a testimoniare di questa nostra incantevole, quanto precarissima presenza?

 

Anche se i morti fossero morti del tutto, c'è sempre la speranza che possano rivivere per chi li ricorda. E la speranza è dura a morire… almeno per noi, vivi.

Probabilmente i morti non sanno d'esser morti, ma quanti di noi sanno d'esser vivi?
La vita è un privilegio che, nel bene e nel male, va colto con tutta la passione disponibile, ma i più se ne accorgono solo quando stanno per perderla.

 

Detesto gli ipocondriaci,
gli attaccabrighe e gli scrocconi:
me ne sto in disparte e non pretendo niente da nessuno… salvo a ricredermi.

A forza d'insistere anche le bugie divengono verità, quindi esperienza, storia, persino mito.
Meno male che al più restano innocue.

 

Illudersi è un po' crearsi delle nuove opportunità, e l'illuso sarà pure risibile, ma intanto se la gode.

Come il cane che abbaia non morde, così chi troppo parla poco conclude.
Vada se è per nascondere la sua pochezza, ma che presuma il contrario!…

 

La cognizione del bello è preesistente in noi, ma cresce e si affina ogni qualvolta ammiriamo un quadro o un paesaggio finora sconosciuto, ogniqualvolta la commozione e quel senso d'appagamento che ne consegue, arricchendoci, ci dà la misura e l'orgoglio della nostra umanità.

 

Con il sopravanzare dell'età me ne sto sempre più in disparte e in silenzio: parlo o ascolto solo quando m'interessa. Non cerco più di compiacere, comunque di farmi bello, colto e intelligente, ma basto e avanzo per quello che sono, almeno per quanto mi concerne.
Che sia davvero un segno di saggezza questo o, più semplicemente, d'una, per quanto repressa, pur sempre latente pigrizia?

 

Che ci dia bada o non, per la gran parte di noi Iddio è il Padre ideale e, nel nostro immaginario, rappresenta in concreto l'Archetipo cui potremmo e ci dovremmo ispirare. E se la Sua perfezione fa in un certo senso da contraltare all'alibi della nostra mediocrità, pregna di furbizie e di trasgressioni di poco conto ma anche delle peggiori nefandezze, tanto paterno è l'amore e la pietà che emana, da indurci a ritenere sufficiente una preghiera o un lieve pentimento perché ogni peccato ci venga rimesso… Illusi!
Basta ritornare con i piedi per terra per rendersi conto che la tanto vagheggiata volontà divina s'identifica unicamente con noi, che siamo solo noi a indulgere sulle nostre colpe, e ancora e sempre noi a placare così l'assillante lato censorio della nostra coscienza. E il che, se da un lato ci può far comodo, d'altra parte ci fa anche temere che, pur inconsapevolmente, pur per una profonda, quanto impellente necessità di rapportarci a qualcosa che trascenda ciò che siamo e significhiamo,
Lui purtroppo sia stato creato unicamente da noi. Ovvero che, più di Padre, sia solo il figlio di questa nostra irrequieta, quanto mirabolante fantasia. Anche se il suo miglior figlio possibile.

 

A sublimare un comunissimo istinto
si fa come d'un asino un santo.

Dubitare non può essere una colpa, ma far dubitare gli altri forse sì. Almeno per chi ha la coda di paglia.

 

L'integralista è arciconvinto che la Verità ce l'ha in tasca. E che sia pur bucata, lui comunque non deflette.

Distraendosi il prepotente potrebbe diventare lo zimbello della sua vittima, per cui l'incessante suo imperativo è di non distrarsi mai.
Che fatica, però!

 

Blaterando d'un arcigno Aldilà, c'è ancora chi c'impone la mistica del sacrificio.
Ma non a se stesso, s'intende, anche perché non ne è poi tanto convinto.

 

Coloro che s'adoperano per lenire i disagi della povera gente non abbisognano certo di preghiere o riconoscimenti.
Sono già in pace con se stessi.

Per il nostro codice morale far del male agli altri è ben più grave che a se stessi. Però ove capitasse d'applicarlo il più delle volte ce ne mancherebbe il coraggio.

 

Insita nell'uomo è la propensione alle novità e alla ricerca. Se così non fosse saremmo ancora all'età della pietra. Anche se non manca chi vi ci vorrebbe ricondurre.

La lontananza affina, ma può dissolverlo il desiderio:
dipende dall'amore.

D'amore non si ragiona: si palpita, si vibra; ci si precipita l'uno nelle braccia dell'altro, e senza pensarci su.

 

Nel dolce tepore del tuo corpo m'irroro di linfa vitale. Se torno bambino è per amarti di più. Ti meriti l'innocenza del mio amore. Di quel sogno meraviglioso, scavato nella memoria.

 

L'intensità dell'amore si subisce e basta:
non c'entra la volontà.

Alla ricerca d'una inafferrabile, quanto sempre più ipotetica felicità, c'è chi spera in una lotteria, chi in un'imprevista eredità, chi in un'occasione fortunata, chi in un istituto di bellezza… comunque in qualcosa che lo evolva dall'ambiente in cui vive, che gli cambi, cioè, la vita.
L'innocuo sogno nel cassetto del resto non manca a nessuno, così le smanie, gli assilli, i miti del successo: le tante vanità che ci portiamo dietro. Eppure, quando lo stimolo della speranza si coniuga con l'emozione dell'attesa, lo slancio vitale che ne consegue potrebbe già prefigurare il segno d'una qualche felicità possibile.
Magari poco riconoscibile e non certo pari alle nostre attese, ma forse anche l'unica possibile.

 

Correre dietro ai perditempo, agli slogans, ai falsi profeti, e urlare come matti senza chiedersi il perché. Aver la facciatosta, o la dabbenaggine di ritener musica quel tam tam fracassone degli aggeggi elettronici, agitarsi come dei forsennati e farsi rompere i timpani fino all'intontimento. Fino a perdere ogni capacità di pensare autonomamente, fino all'aberrazione della droga per uscire dalla propria coscienza, rincitrullirsi del tutto e illudersi d'una liberatoria esaltazione dell'istinto. Se tutto ciò è essere giovani, è una vera fortuna non esserlo più.

 

Quand'è soffusa, in sottofondo, quasi provasse pudore a proporsi, la musica affina lo spirito e indubbiamente mi rilassa. Ed è per me proprio questa sua dolce evanescenza il suo maggior pregio: di compagna discreta, senz'alcuna pretesa.

Ho mangiato dai migliori cuochi del mondo, per ridurmi a cappuccino e brioche. Meno male che almeno la memoria non mi tradisce: mi sommerge di sapori.

Il nostro corpo è come un abito che ci si porta addosso, e che, con l'andar del tempo, diventa sempre più liso e demodé. Finché si butta.

 

Al di là d'ogni mio pensiero, d'ogni straripante infinito, là, giù, laddove non percepisco più, c'è un bianco puntino di sfera elicoidale: la mia anima. E gira, e rigira, finché il dardeggiante sole, o altre diversità, dal cielo che non distinguo più, riflesso nella pozza del mio cuore, quel poco, quel troppo d'umano ritrovo.
Ora la notte, la luna, l'ululato d'un lupo solitario… è come la deriva d'un sogno la vita?

 

Il vento del tempo.
Librato nel nulla.
Eppure non cado.

Il passato m'annoia.
Il presente non lo capisco.
Il futuro m'intimorisce.
Ma ho la fortuna di vivere.
E se ciò non basta, me lo debbo far bastare.

 

Ce l'ha con tutto e con tutti, ma quando gli ho chiesto che ci sta a vivere, m'è giunto un perentorio "fatti i fatti i tuoi!", con corna e pernacchioni di contorno.

 

Se l'immortalità attiene all'anima,
l'illusione attiene al corpo.

La sua vita scorre serena e innocente. Eteree immagini ed elevati pensieri gli si accavallano nella mente, e, nel tempo, quella sua strana speranza d'un suo mondo trasognato e fantastico gli diviene sempre più concreta.
S'illude, certo, ma per quanto il naturale decorso della vita non lo favorisca, l'innocenza e la fantasia che lo animano comunque lo preservano dalle tante delusioni. A suo modo è felice.

 

Il desiderio ci fa capaci di qualsivoglia impresa, anche se la delusione è dietro l'angolo, in attesa.

Sono giovane, piacente, ho tempo, soldi, salute… eppure…
Sono vecchio, squattrinato e pieno di acciacchi… eppure…

 

Ogni dubbio comporta un altro dubbio, ma l'apatia non porta a niente.

 

Nulla ci rende felici quanto
l'idea della felicità.

Conta molto di più quel che si è rispetto a quel che si ha, ma che giova comprenderlo quand'è ormai troppo tardi?

 

Il filo della vita è fin troppo esile
per giocarci su senza criterio.

Quando comincia, la decadenza
non finisce mai… proprio mai!

Se uno agisce da scemo poco serve
che si presuma intelligente.

 

Si può aver ragione anche avendo torto: dipende da chi giudica.

L'eccesso d'altruismo può far perdere di vista le proprie necessità. Il rischio è di non ritrovarsi più, di perdere il contatto con se stessi, persino la propria identità.

 

Il tempo disponibile rende tutto possibile, anche se poco fruibile.

La sindrome da notorietà può far offuscare il senso della misura.

 

Frustrati, senza pace… ma che senso ha ricorrere a trucchi e mascherate per apparire diversi o come chi vorremmo essere?
Prima o poi ci ritroveremmo comunque con tutte le nostre anchevolezze, i complessi… quell'insopprimibile incapacità di convivere con noi stessi.
Oltre alla figuraccia se scoperti.

 

Se chi ha talento coinvolge e chi "mestiere" convince, a volte basta quel po' di spontaneità per essere gradevole. Sul palcoscenico della vita c'è posto per tutti… salvo per chi recita una parte che non gli compete.
E magari ci s'incaponisce.

Monotona l'ombra mi precede, mi segue, come l'onda delle mie cocciute illusioni.

 

L'amore e la libertà sono beni irrinunciabili…
peccato che non sempre si conciliano.

Chissà come richiamare chi era?
Come riviverlo realmente in quella sensazione - ora così vivida in me - d'esserci già stato, d'esserci ancora,
e che noi ancora vivi chiamiamo memoria?
Come se si fosse già l'altro in noi dissolto.

 

La memoria accresce ed arricchisce quel certo tal momento della vita che abbiamo voluto ricordare, ed ora l'emozione che ne proviamo, se non più intensa, è probabilmente ben più piacevole di quanto realmente provammo.

Capire il tuo prossimo, vivere e soffrire con lui, è come dilatare all'infinito le proprie esperienze. Eppure sembra così difficile.

 

Quei fatti del passato, esaltati
per gli uni e deprecati per gli altri…
ma a quale Storia addiverranno
che possa essere credibile?

C'è chi vede solo ciò che vuol vedere
e, se gli si dimostra il contrario, sente anche solo ciò che vuol sentire.

Certi atteggiamenti eccessivamente austeri e inflessibili, più che d'onnipotenza, danno l'impressione d'un patetico, per quanto malcelato complesso d'inferiorità.

 

L'amore è quel senso profondo della vita cui tutti tendiamo, ma, come del resto ogni cosa nella vita, può dare gioie o dolori. Dipende da come ci si pone.

E' un trepido sguardo, una lieve carezza… una lacrima che dolcemente riluce su un volto innamorato. E'… e ancora, e ancora di più, fino a che ogni descrizione, anzi ogni parola appare inadeguata, anzi inutile. Ah, l'amore!

Quando lo rivedeva il suo cuore danzava di gioia: si sentiva sua,
tutto sua… fino alla cima dei capelli.
Quando la rivedeva il suo cuore danzava di gioia: si sentiva suo,
tutto suo… fino alla cima dei capelli.
Ah, l'amore!


Il vento ricopriva di sabbia
la fossa degli occhi,
ma noi, stretti stretti,
estasiati al miracolo dell'alba.
Il morto?…
Un orribile passato. Ah, l'amore!

Era certa di amarli entrambi, al punto che pur stando con l'uno pensava all'altro e viceversa, ma candidamente, senz'alcun senso di colpa: tanto lei quelle cose le faceva solo per amore. Perciò quando poi s'aggiunse un altro, e un altro ancora… due, tre, poi quattro e più volti che ora le s'intersecavano nella mente, non se ne preoccupò, non si sentì minimamente in colpa: tanto li amava tutti. Ah, l'amore!

Il riflesso del tempo s'è ormai assiso nella retina dei miei occhi, nella pelle, nella percezione del cervello, ma non addentro a me, nel profondo del mio cuore. Ho gli anni che ho, non l'età, così le esperienze della mia vita, sia sofferte che godute, sono un segno del ricordo, non del mio vivere d'ogni giorno. E quel volto un po' emaciato, e quelle rughe che lo segnano crudamente, altro non sono che un me nascosto, la scenografia più o meno riuscita d'una vita già lungamente vissuta. Ma forse non propriamente la mia.

Se non s'è mai amato veramente,
che si viva o si muoia conta poco,
anzi niente.

Possiedi… ma cos'è che possiedi se non la tua idea del possesso? Quell'assiderti sulla "cosa" che poi nulla è se non la proiezione d'un tuo complesso.

 

Il respiro del tempo defluisce nelle froge d'un cavallo come nelle mie narici.
Ma da lì si rimanda nella generosità dello slancio, da qui nella staticità del rimpianto.

 

Nel volto d'un vecchio amico segnato dal tempo lo specchio riflesso del mio.

La nostra società si regge in genere sulla convenienza, comunque sull'utilità, che poi la si definisca "buon vivere civile", quello è il senso. Cioè prescindendo dal credente, comunque da chi si affida al sentimento della fede, la gran parte della gente ha ben compreso che qualsivoglia tentativo di affrontare i grandi problemi escatologici dell'esistenza è destinato più o meno al fallimento, dunque meglio glissarli, non filarci su e - carpe diem - prendere la vita così come capita.
Che tanto, salvo gli scemi o quegl'illusi-che-sanno-tutto, non le più cervellotiche teorie ma l'esperienza ci fa dire che l'unica comprovata certezza è proprio l'incertezza o, se si vuole, l'indefinibilità. E che, se non esaltante, ciò avrà pure una sua intima logica, un suo per ora alquanto inesplicabile perché… O no???

 

Il politico non deve mai dire tutto ciò che pensa… sarebbe banale.

Pur a scapito della qualità ma in democrazia vige la forza del numero. Però altrove è ancora peggio.

 

Attrarre il consenso è un'arte antica, altrettanto la satira… per fortuna.

Ogni libro ha la sua dignità, i suoi perché, ed è un amico che non ti lascia mai.

Infinite combinazioni, il DNA, totale casualità della nostra vita: nascere qua o nascere là: maschio o femmina, bello o brutto, ricco o povero, triste o allegro… imprevedibilità d'un colpo alla roulette. Chissà che non configuri anche il dopo?

 

Per chi ce la sa raccontare, anche un incorreggibile attaccabrighe può diventare un eroe, così gli Oberdan , i "Che", o tutta quella sfilza di facinorosi, esaltati dalle più distorte, quanto utopistiche ideologie salvifiche, che un'improvvisa, quanto folle sindrome d'onnipotenza rende disposti a tutto pur di raggiungere quei loro cervellotici scopi.
Ma l'odio, i lutti e le miserie, che immancabilmente provocano, se colpiscono chi non ha mai creduto a quelle loro esagitate prediche di libertà e progresso, colpiscono anche quegli sprovveduti che hanno avuto la dabbenaggine di ergerli a paladini.
Eppure chi tende a infatuarsi d'una ideologia tende anche a scordarsi d'ogni sopraffazione e violenza (specie se accaduta ad altri), cosicché, con l'andare del tempo, alcuni di costoro entrano persino nella leggenda, nel mito del bell'eroe romantico che si sacrifica per l'Idea, e il mito, quand'è integrato nella tradizione popolare, è ben duro a morire.
Specie quello dei santi e degli eroi.

 

I demagoghi, i populisti, come tutti coloro che promettono la botte piena e la moglie ubriaca saranno pure una jattura, ma sanno cogliere gli umori d'una folla che abbisogna d'illusioni, e in politica contano anche gl'illusi… purtroppo.

 

In una democrazia matura le riforme sono il senso stesso della politica, per cui l'elettorato consapevole non può che dare ogni suo appoggio alle riforme… altrui.

Un uomo politico che ha il coraggio di scegliere, comunque di rischiare, non è certamente raccomandabile per quell'elettorato che, nel principio gattopardesco del "che tutto cambi perché nulla cambi", s'è costruito i propri privilegi.
Per quest'elettorato, che ha magari anche il vezzo di dichiararsi progressista, non v'è alcuna remora se, pur di esser eletto, il candidato di riferimento prometta proprio quelle riforme e quell'efficienza apparentemente così antitetici a quella sua parte e relativi interessi di bottega. Ma di colpe altrui o "di problemi a monte" tanto poi ne troverà o se ne inventerà a bizzeffe, per cui avrà tutto il tempo per giustificare la pochezza del suo operato.
Se non altro per salvare la faccia a chi l'ha sostenuto.

 

Non sempre chi nel corso della vita ha dato ampia prova di sé riesce poi ad essere convincente anche in politica, anzi quasi mai. Salvo non si adegui.


Oltre al valore aggiunto, i grandi ideali sono delle giustificazioni per la politica, per cui mal si conciliano con i veri problemi della vita.

A far le cose senza costrutto proprio te le cerchi le disgrazie, idem alla fine, quando poi ti metti a recriminare, e magari chi t'ascolta pensa invece ai fatti suoi.

 

A voler troppo agitarsi si rischia
di combinare dei guai, e ben lo
sa il lavativo o chi la pensa come lui.

Le incertezze dell'eterno dubbioso sono altrettanto dannose delle certezze del presuntuoso.
S'intende a chi assieme ci viva
o assieme debba concertare qualcosa.

Ognuno di noi difende le sue ragioni, ma quando queste cozzano l'una con l'altra o comunque non si conciliano, chi s'arrabbia, o impreca e se ne va, di solito ha sempre torto. Anche perché l'intemperanza mal s'attiene alla ragionevolezza.

 

Che certi sogni non siano già la prova generale d'una compassionevole agonia?
O che ciò che noi chiamiamo sogno non sia solo una scenografia più o meno riuscita che appare, dispare, a seconda dello "spettacolo" cui ci siamo ispirati? E, scesi dal palcoscenico, saremo poi in grado di capire, di giudicare… di giudicarci?

 

Le streghe e gli stregoni ce li cerchiamo, ce li inventiamo, ce li costruiamo, fanno parte della nostra cultura, del nostro DNA. Non possiamo farne senza. Così i roghi, i dagli all'untore, e tutta una sequela di non so, di colpe a monte e di se c'ero dormivo.
Popolo di lavativi, di lustrascarpe, di leccaculi e di calunniatori, fatto apposta per meritarsi quei politici, quei magistrati e quegli accidenti che ha.

 

Abbisognano della controparte per esistere, altrimenti che farebbero gli "anti" se, come delle cellule impazzite, non avessero la possibilità di ripetersi all'infinito. E ciò sia a prescindere dal contesto che dalle loro idee. Anzi anti-idee.

 

Nei tribunali sta scritto: "La Giustizia è eguale per tutti", confortante, ma che serve se poi ti capitano quei giudici che interpretano quell'eguaglianza a loro modo?

Mi sono sognato di un luogo ove la gente si faceva i suoi affari dandosi la mano e una pacca sulla spalla, e tutti apparivano sereni, senza problemi, felici di esserci e di aiutarsi; di un luogo in cui il bene dell'uno era la gioia dell'altro, di tanti sorrisi e sguardi sinceri.
Mi sono sognato di un luogo in cui tutte le porte erano aperte, anzi non ce n'erano, né esistevano barriere o serrature, così non esistevano soldati e nemmeno la polizia (comunque non appariva nel sogno), c'erano sì degli anziani con delle palette, ma sembravano felici di dirigere un traffico che non c'era, così non c'era la burocrazia e nemmeno tutti quei rompiscatole che ci rendono la vita così difficile.
Mi pare che non ci fossero nemmeno le case… e nemmeno le strade: prati e mare, mare e cielo all'infinito. Peccato che non c'ero neppure io.

 

Settantadue, e gli anni si ammassano, si accavallano l'uno su l'altro. Così le memorie, le sensazioni del presente e del passato: luci e ombre, che ora, dall'alto di ciò che chiamerei esperienza, mi fanno sorridere bonariamente. Al di là delle antiche, quanto abbacinanti illusioni, sono finalmente consapevole di ciò che sono: non poco, non molto… sufficiente. Che sia questa la cosiddetta senilità?

 

Altroché la storiella d'un impegno altamente morale e di buonsenso esplicato nell'interesse esclusivo della collettività, ormai il fine vero della politica per lo più si riduce ad una lotta senza quartiere per la propria poltrona o, al caso, per la propria parte politica.
Così il veleno di cui è intrisa questa nostra infida, quanto mediocre classe politica s'insinua ovunque, nei media, nei circoli che contano, nei sindacati, persino nei gangli più riposti della magistratura. Un andazzo che ammorba, fino a rendere inerte e del tutto acritica un'opinione pubblica che, se ha rappresentato la vera forza pulsante della democrazia, ora sembra non s'accorga più di nulla, non reagisca a nulla, nemmeno quand'è palese che ogni giudizio viene più o meno subdolamente travisato, ogni proposta inficiata da un'altra contraria, ogni azione finalizzata solo a distruggere qualcuno o qualcosa, e nemmeno quando anche un semplice avviso di garanzia divenga un grave indice di colpevolezza per l'avversario politico.
Ovvero nemmeno quando persino la Giustizia venga strumentalizzata dall'arroganza e dalla pericolosità d'un potere ben al di sopra dei meriti di certi squallidi personaggi, che nel loro livore verso chi non la pensa allo stesso modo perdono il senso della misura, tanto che da giudici quali sono, oltre a intangibili, magari si pretendono giustizieri.
Sicché pure la Giustizia diviene una farsa, tragica per chi ne è succube, ma una farsa, anche se poi ne genera altre, fino a divenire abitudine, comportamento, pensiero, in una sarabanda incontrollabile in cui non esistono più dei punti fissi cui affidarsi.
Ognuno va per suo conto, e la decadenza dei costumi fa il paio con la decadenza dei principi. La democrazia è umiliata, abbacchiato chi ancora ci crede. Restano a consolazione i bum bum ossessivi dei rocchettari e l'urlo della folla per i goals.
Povera Italia!

 

Quando si è giovani ogni compleanno viene festosamente scandito dalla memoria, ma come cresce l'età decresce l'interesse, finché non ci si pensa più.

Quantomeno anacronistica, quest'inamovibile burocrazia persiste imperterrita ad imporre una miriade di leggi, leggine o disposizioni sempre più cervellotiche e ottuse.
Un tormentone per tutti, ma per ironia della sorte particolarmente oneroso e frustrante per chi lavora e produce, ovvero proprio per chi la mantiene.



2 - pensieri sparsi

le opere pubblicate di mario marion
POESIE - ed. El Sol
LA GRUCCIA SUI TEMPI
ed. Rebellato
POESIE
Centro Int. della Grafica - VE
SPAZI E TEMPI
ed. Biblioteca Cominiana


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