Su quel
vecchio album c'erano tutte le mie foto del passato. Dico passato
perché quel ragazzo ricciottello e con gli occhi sgranati sull'obiettivo
oggi m'è quasi sconosciuto. Come se non fossi io.
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I
mobili, gli oggetti, i giocattoli della mia infanzia, le adorabili
cineserie
tutto quel vecchiume che sa di muffa e non serve a
niente
Anche se non saprei come farne a meno.
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come se fossimo stati plasmati dal genio di un immortale scultore
e non soltanto dal fervido, ma arciterreno amore dei nostri genitori.
Come se, a ricercarti con gli occhi, non rivedessi più te,
come sei, ma la sfumata personcina da sempre riflessa nel buco nero
del mio ancor più profondo desiderio.
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Non
c'è di peggio che attendere la persona amata che si faccia
viva. Ma quando il cenno finalmente arriva, d'acchito ci si calma,
ci si placa, ci si sente più distesi. Magari si finisce con
l'amare un po' di meno. E' l'ansia e il disagio che accrescono l'amore,
così l'attesa.
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Quando la forza evocativa di un antico sentimento è così
impellente da sublimare il ricordo della persona amata, quella sua particolare
percezione in qualche modo può compensarne anche la mancanza.
Ed è allora che comunque la vita e la morte ben poco possono
rappresentare, come ormai ben poca importanza possono avere le reali
vicissitudini del rapporto e la stessa esistenza della persona amata.
Difatti insito in quel ricordo c'è il segno dell'immortalità,
dell'immutabilità, di tutto ciò che di norma dovrebbe
esulare dalla nostra sfera di comuni mortali, ma che alla fin fine pur
sempre ci eleva. In fondo le favole provengono dalla fantasia, comunque
da un'interpretazione magica della vita, e senza un pizzico di magia
credo proprio sia assai arduo vivere.
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Questo stesso momento è già riportato nel tableau della
mia memoria, e se ora mi sembra
del tutto banale, poi chissà?
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Una
foto ingiallita, un qualche episodio della nostra vita
e la
trama è già quasi definita.
Sarebbe davvero un peccato ricadere d'abbasso, oltre l'apparenza.
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Che
inutile faticaccia l'atteggiarsi o comunque l'agire a sproposito per
apparire diversi!
Tanto la verità, per quanto spiacevole, prima o poi immancabilmente
esce. Così il carattere.
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Se fossi un gestore di palestre truccherei le bilance per far la gente
contenta.
Se fossi un fabbricante di specchi li farei in modo che tutti si vedano
belli.
Se fossi uno psicologo direi alla gente solo le cose che vuol sentirsi
dire.
Tanto illudersi non ha mai fatto male a nessuno.
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Se non sono simile a Dio o Lui non m'è accanto, allora perché
me lo fa pensare? Per quel libero arbitrio che abbiamo studiato a scuola,
ed ora così caro alla coscienza o, più semplicemente,
per confondermi le idee? Ma poi sono proprio io davvero degno di pensarlo?
E' la mia un'incorreggibile presunzione oppure è Lui che ispira
i miei dubbi, e ciò magari per una sua ragione recondita o anche
perché altrimenti forse non avrebbe alcuna ragione di esistere?
E ancora: Dio c'è o sono io unicamente a pretendere che ci sia?
Lo penso, dunque in fondo lo creo, o è invece Lui che s'insinua
in me e m'obbliga ad agire così? E ancora: perché l'idea
o, se si vuole, l'esigenza di Lui incombe tanto profondamente in noi,
e forse nasce addirittura con noi?
Ovvero ce l'ha messa dentro Lui,
per una sua qualche imperscrutabile finalità, o va ridimensionata
a mero istinto naturale, per quanto caratteristico della nostra specie?
Appunto, che non si resti con un pugno di mosche e che infine ci s'accorga
che, malgrado tutte le nostre più o meno sofferte elucubrazioni,
Dio siamo solo e invariabilmente noi.
A dir il vero, alle volte ne abbiamo
quel certo cipiglio. Peccato però! In fondo sarebbe a dir poco
triste sentirsi quaggiù da soli e predestinati al nulla, senza
nulla e nessuno attorno a noi, senza stimoli, ma soprattutto senza più
alcun vero motivo per lasciarsi andare, per cullarsi - e finalmente
senz'ambasce di sorta - nell'abbraccio di quell'incantesimo che noi
chiamiamo eternità.
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Se certamente non rimarrà nulla del nostro corpo, tutto mi fa
supporre che a quel punto, scissa dalla sua naturale e in fondo congeniale
fisicità, anche alla nostra coscienza verrà riservato
lo stesso destino. Prescindendo quindi dall'anima (che poi magari non
ci riguarda), illudiamoci che almeno qualcuno di noi potrà allora
essere in grado di sprigionare quell'energia vitale che, per quanto
latente, di solito nemmeno sappiamo di possedere.
Energia le cui pulsioni,
sebbene ormai impersonali, inidentificabili, potrebbero autonomamente
proiettarlo - e in un certo senso proiettarci - ben oltre l'universo
sensibile.
Solo qualcuno di noi, certo, ma qualcuno già in linea
con i fenomeni dell'evoluzione selettiva insita nei processi naturali,
quindi i migliori, i più degni: chi ha vissuto una vita intensa,
emotiva, che ha usato e perciò sviluppato nel tempo un'energia
ben più incisiva ad esempio dell'ignavo, dell'incerto, di chi
null'altro ha saputo dare all'umanità e a se stesso che la foto
sbiadita del suo fallimento.
Ma, sia come sia, penso che il destino
vada comunque accettato, e che la nostra forza risieda appunto nel coraggio
di accettarlo con la massima serenità possibile. Tanto chi ignora,
oppure non c'è più, ha se non altro un pregio: quello
di non soffrire.
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Con
tutte queste piogge acide, un bel giorno ci potremmo ritrovare a dover
uscire in tute repellenti. Ma ve l'immaginate i fiumi e quelli che
vi abitano attorno? Basterà un lieve straripamento che ci vorranno
anche i trampoli.
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Chi ne ha tanti di soldi si lamenta di averne pochi e chi ne ha pochi
fa finta
di averne tanti.
Ma di solito il bluff non paga
al povero.
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Non
che i nostri figli si diano un gran da fare: sono stati troppo ben
abituati per sacrificarsi come noi.
Di questo passo, quando verrà
il loro turno, non ne avranno più l'età.
Cosicché
ogni problema verrà demandato ai nostri futuri nipoti.
Ma,
visti i genitori, saranno poi in grado di reagire?
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Sebbene
il vocabolario ne riporti all'incirca centomila, non mi pare siano
più di diecimila i vocaboli in uso. E pochi quelli veramente
indispensabili, anzi pochissimi: cinque o sei: cuore, amore, fame,
sete, gioia, dolore
Gli altri sono lì per complicarci
la vita, comunque per metterci in imbarazzo.
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Modificando e teorizzando dal suo punto di vista i fatti della Storia,
forse quel professore s'illude di poter orientare o, peggio, plagiare
i suoi malaugurati studenti, quasi volesse incidere in quella delicata
pagina della loro vita. E non s'accorge che quel tipo di storia diviene
invece per costoro una divertente storiella e lui semplicemente uno
che è lì per raccontarla, come al cabaret.
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Se non
ha l'anima d'un poeta, lo scrittore darà sì l'impressione
d'un prosatore molto attento e raffinato, ma di archeologia o cose
del genere: rigido, severo, professionale
e niente più.
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Quando ci si limita a parlare in dialetto o nel solito gergo, se nel
tempo l'espressione si riduce all'essenziale, tanto da non richiedere
alcuna particolare elaborazione, d'altra parte è purtroppo anche
il nostro cervello che tende a non affannarsi e quindi a lasciarsi andare.
Quando invece a impegnarci è un nuovo o inconsueto linguaggio,
quando in quel linguaggio ci si sforza di pensare ed esprimere dei concetti:
quello è certamente il momento in cui ogni causa ed ogni effetto
si sono in noi trasformati, tanto da coinvolgerci. Ovvero da farci finalmente
usare una certa, per quanto esigua parte della potenzialità del
nostro cervello, ridestandolo un po' da quel suo ormai cronico torpore.
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I proclami contro la lussuria sono una tipica fissazione degli impotenti
o di chi pretenderebbe che tutti fossero null'altro che degli impotenti.
Come se l'impotenza, nella sua accezione universale,
fosse l'unica vera chance per addivenire al mitico paradiso perduto
quello dei castrati, s'intende.
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Chi
troppo strilla assomiglia a un gallo, ma spennacchiato.
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Tra me e me l'invalicabile senso dell'io,
muro di quarzo, a tormentarmi.
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Parlavamo
del tempo, del mangiare e del carattere della gente, e intanto intuivo
d'aver perso irrimediabilmente quell'attimo sfuggente in cui ci si
era sentiti l'uno dell'altra, ma imprevedibilmente, senza artifizi.
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Mentre
ti spogliavi, me ne andavo con lo sguardo
ben oltre il limite del letto:
rivolevo cogliere quel miracolo all'improvviso,
cioè di te nuda e pudica.
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Quando
faccio all'amore con te, anche se fisso i tuoi occhi socchiusi, le tue
labbra invitanti, le tracce vermiglie del rossetto sbavato dai miei
baci sul pallore delle guance
intravedo quell'altra. E più
lei in me si delinea, più riesce a definirsi, più sfogo
su di te quella rabbia, quel sussulto carnale, quella vertigine
che l'altra mi ha fatto appena intuire.
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Tutte
le notti, con gli occhi protesi nel buio,
a ricrearti, a renderti plausibile.
Ed ora che ti ho qui tra le mie braccia,
che ti ho qui per quella che sei, mi accorgo che
ti amavo del solo desiderio.
E ciò è ben poco, direi.
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Le
mie mani che s'insinuavano nel tuo corpo,
fin dentro, quasi volessero strappare quella tua palpitante carne
di donna,
e tu, al dolore, fremevi di gioia.
- "Di più, di più
" - "Troia!".
E precipitavamo così, confusi e felici,
oltre, ben oltre la voragine.
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Quando
sto qui ad attenderti, il tempo rinuncia a esistere. L'emozione lo dilata
o lo restringe, lo mette in assonanza con me. Eppure quando verrai tutto
ritornerà nella norma. Saprò esattamente quando te ne
andrai e che ora è. E me lo ripeterai incessantemente, e - accidenti!
- anche in quel tal momento
L'orologio è per te un fine,
non un mezzo.
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Ti sei
tolta le mutandine sotto il tavolo. Attorno la gente che non s'accorgeva
di nulla. Mangiava e beveva. Stemmo lì, in silenzio, a divorarci
con gli occhi. Oh, quei tuoi occhi lascivi e penetranti che ora spogliavano
me!
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La
pioggia che lentamente discende oltre la vetrata sta bagnando un mondo
che più non ci appartiene. Qui io e te ci autoproclamiamo Cittadini
d'Amore. Qui non piove. E se dovesse piovere, sarebbero lacrime
no, stille di rugiada.
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Dei
capelli mollemente abbandonati sul di dietro, ove la pallida schiena
è ben costruita sui morbidi fianchi di donna ancora giovane.
Le natiche
quelle lunghe, lunghissime gambe tornite, quel tuo
incedere elegante, regale direi. Sì, ti spiavo. Ti spiavo per
carpire il segreto del tuo essere così femmina. Per portartelo
via, per racchiuderlo in me.
Mi sono ormai assuefatto a questo vivere
di memorie. E' l'unico che non tradisce. E cos'è poi la vita
se non un lungo corollario di occasioni perdute, di memorie cioè?
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Mi
attendevi
dischiusa, disponibile
immensa giumenta in calore.
E celebravamo il rito all'unisono, vibrando, ansimando, urlando come
impazziti.
Poi il distacco. Poi l'abbandono.
Ed ora divaghiamo, così, vicini ma lontani, entrambi, ognuno
nel suo steccato.
Cavalli ormai azzoppati. Pronti al macello.
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Hai
scordato il reggiseno.
L'ho qui davanti.
Eppure è come se te lo stessi or ora indossando.
Ma in una grande vetrina del centro.
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Che
m'è rimasto di te, se non la scia
di quel profumo, che potrebbe
anche essere il mio.
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La
tua natura è racchiusa in uno scrigno meraviglioso che ben
la nasconde. Almeno a me.
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...e
me l'aspettavo da te!". - "E io da te!". Ed è
così, da sempre, con quelle accidenti di ciance inutili. Forse
perché non abbiamo più niente da dirci.
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Non
riesco che ad intravedere l'inquietudine dei tuoi occhi. Forse perché
esprimono quelle eccitanti promesse, che tanto mi fanno sognare. Anche
se rimangono promesse.
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Il
tempo ha ormai corroso i ponti della primavera, ed ora non potremo più
ripercorrere i magici sentieri dell'avventura, neanche di sghembo o
a tentoni. Giunta è l'ora delle considerazioni, dei rimpianti,
"dell' "in potenza" che mai s'è poi messo in atto.
Perché - ci si dice - perché non me ne sono accorto prima,
perché così distratto?
Di là del ponte, qualcuno sorride bonario
E' solo il riflesso
della nostra coscienza o già un indulgente spettro del passato?
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Se
questo meraviglioso momento si potesse ibernare e mettere in serbo da
qualche parte per poi riviverlo all'infinito, molto probabilmente ne
perderemmo il senso. Le cose troppo facili e comuni perdono quella fragranza
e quella carica d'eccitazione, che arreca solo il desiderio o l'impressione
della caducità. Eppure se me ne sto qui a contemplarti in tutto
il tuo splendore, e per trattenere in me almeno il fremito di quei tuoi
occhi, che ho visto piangere un momento, d'una commozione imprevedibile,
per cui ancora più preziosa, e che non si ripeterà.
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Non
posso vivere né con te né senza di te. Dal momento che
t'ho conosciuta, l'edera del tuo amore m'ha tolto ogni possibilità
di fuga, o perlomeno di reazione, e m'ha fatto così smarrire
anche il senso della misura.
E m'ha avvinto a te, piuttosto che tu a me.
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Scoprire
quell'attimo sfuggente in
cui saresti disposta a cedere
e a toglierti quelle difese che ti rendono
così inaccessibile.
Ma sarà poi possibile? |
La
scala, galeotta, a svelarmi quelle nudità, che tu, da lassù,
fai cenno di nascondere. Voyeur
lo so che non è nobile,
ma come faccio a non vederle se sono state fatte apposta per essere
viste?
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Si
dissero t'amo e furono felici. Poi, col tempo, la noia e la ricerca
d'altre sensazioni. Poi l'abbandono. Ed ora di nuovo qui, che si tengono
per mano e si guardano negli occhi. Commossi. Oh, l'amore
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Prima
Com'è
bello tenersi per mano!
vero, amore?
- Sì, bello.
- E un po' come essere più vivi
Ma amarsi è un'illusione
- Oh, sì, certamente.
- Ma che dici!
Amarsi non è un'illusione: è sognare,
è correre nel vento, è cantare insieme una meravigliosa
canzone
- Una canzone, dici?
- Ma non capisci? Non ti senti addosso quel brivido, quella passione
e sempre di più
di più
di più?
- Come? Come "Brivido blu"?
- Certo, come un brivido blu, ma ancora di più, e sempre di
più, di più, di più-ù-ù!
Qua, su qua, vieni qua
Oh, l'amore!
e
dopo
- Che ore sono?
- Le tre!!!
- Perché 'sto tono?
- Mah
- Che, sei già stanco di me?
- E chi te l'ha detto?
- Lo si intuisce.
- Mah
- Oh, eri ben più carino poco fa.
- Bah
- Non ha proprio altro da aggiungere?
- Mah
- Mah?
ma spiegati. Che intendi dire?
- Mah
- Ma, ma vuoi proprio farmi soffrire?
- Bah
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Becco
e contento
- E che potrebbe lei, signore, indicarmi un sito laddove si possa recuperare
almeno un po' di sollazzo?
- Un casino, dice?
- Oddio, se di loco osceno si tratta, forse dovrei dir di no.
- Macché osceno e non osceno, e un casino e basta!
- Oh, non vorrei ch'ella mi prendesse per un pravo gaudente, od altro
del genere, ma mi par io debba comunque ringraziarla
Un ca
un ca
sino, diceva?
- Ma guarda questo, quante chiacchiere per una chiavata!
- E sia, e se di ciò si tratta, meglio si faccia ove nessuno
veda.
E s'aggiustò la cravatta, tirò giù le falde del
cappello e se ne andò il professore,solenne e cogitabondo come
sempre - "a compitare col suo io - perverso le folli sciarade della
passione", si disse. - Chiedo venia, o gentil signora, chiedo venia
ma
la prego
che dimorano qui, in codesto bel casino, le
signore puttane?
- E io che sono!?
- E' lei proprio?
una vera signora puttana?
- Ebbé!
- Pardon
professor Oddo de Scalcagnini
pronto, al suo servizio.
Ed è così che se ne innamorò a prima vista.
Bionda platino, bella di speranze e ardente, divenne sua moglie e, per
quanto dopo un po' gliene fece di tutti i colori, lui proprio non se
la prese, anzi ne fu ben lieto. In fondo l'aveva desiderata proprio
così com'era, ovvero che restasse quell'impareggiabile puttana
del suo primo e unico amore. E, giust'appunto, in ciò lei mai
lo tradì, anzi
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Quei
momenti di rilassamento,
di vuoto interiore, per cui ti riguardi,
ti rivolti in te stesso,
e non sai né chi sei né che vuoi.
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Non
siamo liberi né di vivere né di morire.
Ovunque i rompiballe,
e quelle maledette carte bollate,
poi
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L'uomo
è fatto di gioie e dolori, d'altruismo e meschinità,
d'amore
e odio
- Che noia sennò!
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Le
dottrine politiche si configurano in un uomo che nella realtà
normalmente non esiste. Perciò attecchiscono sugli illusi.
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Chi
si reputa bello non fa fatica
a reputarsi anche intelligente.
Contento lui
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Il
vero saggio conforma le idee all'esperienza, ma affascina di più
chi oppone sogni e incoscienza, sebbene sia foriero di disgrazie.
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Dannato
quel malvagio, anche se ha la spudoratezza ma - perché no - anche
il coraggio di dirlo e di accettarne le conseguenze. Comunque la malvagità
al solito si coniuga invece con la viltà, e la viltà con
l'opportunismo, anche se lo si gabella per buonsenso.
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Chissà
se vedremmo allo stesso modo, ad esempio con gli occhi di un elefante.
Probabilmente ogni cosa ed ogni effetto verrebbero ridimensionati a
poco più di niente, e noi stessi a poco più di un topo.
Meglio accontentarsi subito, dunque, degli occhi di topo.
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Quando
tutto filava liscio, e la gente di buona volontà lavorava sodo,
guadagnava e comunque era serena, venne il burocrate. E, trovandosi
costui su un terreno favorevole, non mancò di moltiplicarsi,
finché divenne un esercito. Un esercito di burocrati. E così,
dapprima uno, poi due, poi tre
se la presero proprio con coloro
che sembravano impegnarsi di più, e tanto li tormentarono, e
tanto brigarono, tanto li resero infelici che via via se li fecero scappare.
Rimase solo chi non aveva niente da perdere, comunque i professionisti
del farsi mantenere e al più di attendersi la fatidica manna
dal cielo. Reso perciò inutile ogni controllo, ormai quelle torme
di burocrati scorazzavano ovunque, piazzavano cartelli di normative
dappertutto e sembravano non curarsi per niente dall'aver inaridito
ogni fonte di guadagno. Chissà, forse pure loro
la manna
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Chi
si sente predestinato al comando non s'accorge nemmeno che in verità
comanda solo a se stesso.
E qui pure ci sarebbe da dire.
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Ci
pretenderemmo immortali, proiettati nell'infinito, ma evitiamo di
parlarne, quantomeno di pensarci su.
Al più ce lo accenniamo
timidamente, nel buio
per non deluderci in anticipo.
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Finché
si è talmente miopi da non voler vedere nemmeno al di là
del proprio naso, finché ci si riduce a guardarsi da sé,
come in uno specchio, anche se deformante, non saremmo mai in grado
di compenetrare alcunché della realtà che ci circonda.
Ed è l'ombra di questa nostra onnipresente, quanto ingombrante
fisicità che s'interpone e, a quanto pare, innanzitutto a noi.
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Nel
bene o nel male, l'intelligenza lascerà sempre una traccia positiva,
la forza bruta mai, tanto più se degenera in violenza.
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