Il racconto è stato pubblicato sulla rivista internazionale di navigazione da diporto:


5 - Diportisti

Il mare è grande e c'è posto per tutti, ognuno può trovare il suo spazio e goderne con la massima soddisfazione. E' a disposizione di chi vuole veleggiare, correre con il motoscafo, fare sci nautico, pescare, stare all'ancora a prendere il sole, fare il bagno, l'amore e così via. Allora Perché tanta indifferenza per i diritti altrui, perché certi comportamenti d'incomprensibile maleducazione?
Chiariamo subito che non è mia intenzione dare lezioni di comportamento, sono certo che su 1000 di noi, solamente lo 0,00001% leggendomi, scoprirà cose nuove a lui inedite, ovviamente dovute alla pura disattenzione e non certo alla carente educazione. Ben lungi da ogni mio intendimento l'offendere ed eventuali riferimenti a fatti o persone sono puramente fortuiti.
Chi di noi non è mai stato testimone di comportamenti spesso prevaricatori e certamente in difetto di normale buona civiltà? Chi si è comportato in maniera discutibile senza nemmeno rendersene conto? Nessuno dei presenti naturalmente! Vediamo quindi assieme come si comportano "certi altri", scherzandoci su, ovviamente.
A causa del fatto incontestabile che l'elemento base del mare è liquido e quindi volubile nelle sue forme, in considerazione che il mare mosso non è gradito alla stragrande maggioranza dei diportisti che malvolentieri lo frequentano e si possono quindi considerare assai scarsi, è corretto affermare che nelle belle giornate di sole e mare calmo, esso è notevolmente frequentato, soprattutto sotto costa.
Molti, alla fonda, trascorrono la giornata pescando, mangiando, dormendo e praticando tutto ciò che rientra nelle attività considerate dai più rilassanti. Più che giusto. Ma allora perché passargli così vicino da sporcarsi la falchetta con la loro crema da sole? Perché terrorizzare il pesce mentre è intento a decidere se farli felici abboccando? Perché creare tante onde da rovesciargli la birra nel pozzetto, obbligandoli ad aggrapparsi come i naufraghi sulla zattera del Medusa? Che senso ha sconvolgere la pace altrui obbligandoli a saltellare come la pallina in un flipper?
Evidentemente chi lo fa non se ne rende conto, "guida" la barca come l'auto in autostrada mentre supera gli altri turisti che fanno merenda sulle piazzole di sosta. Non è la stessa cosa!
Non sarebbe molto più apprezzabile se chi, costretto a passare vicino ad una barca all'ancora, lo fa con garbo avvicinandosi piano, quasi in "punta di chiglia"?
Pensiamo a coloro che con venti leggeri stanno bordeggiando a vela, anzi, stanno "pascolando" tranquilli nella rilassante pace donata dal sussurro del vento sulle vele e lo sciabordio dell'acqua sotto lo scafo. Beati loro. Ma allora perché alcuni "armati" di motoscafo devono puntarli come se fossero contrabbandieri da arrestare, per poi schivarli all'ultimo metro creando un mare in tempesta? Per vedere come sbattono le vele? Per udire il boma che centra le loro teste? Forse è uno sfoggio di potenza, o è la curiosità di ammirare la barca e qualche seno abbronzato?
Anche i velisti a volte si comportano da birbanti, sebbene non siano in grado di fare molto rumore e ben difficilmente riescano a creare mare mosso. No. Loro sono molto i più infidi perché, quatti quatti e nel massimo silenzio, hanno il coraggio di passare a pochi centimetri dalle barche alla fonda.
Improvvisi, ve li trovate naso a naso mentre vi sfiorano silenziosi e, con un'espressione di superiorità e raramente di circostanza, vi osservano lucidi di Bilboa che vi crogiolate al sole in pose da "abbronzatura totale", oppure a sonnecchiare in posizione fetale.
Non sarebbe vera cortesia annunciarsi con un colpetto di tosse? Un tocco di creanza molto apprezzabile, che darebbe il tempo di coprirsi, ricomporsi, chiudere la bocca intenta a sbadigliare, trattenere i muscoli e tirare in dentro la pancetta. Insomma, assumere un atteggiamento più consono ad un equipaggio di lupi di mare.
I velisti sono di una razza particolare e solamente per loro si può riscrivere buona parte della Divina Commedia e mi riferisco all'Inferno naturalmente, e parlo da velista, credetemi! E' gente speciale, convinta che il fatto di navigare con la compiacenza del vento e quindi di Eolo, dà loro il diritto di credersene imparentati.
Avete mai conosciuto un velista modesto? Che ammetta di avere poca pratica, di essere insicuro. Un velista che non chiami "alito" un vento in grado di spazzare via il cappello piumato dalla statua di bronzo di un generale a cavallo?
Un velista che non abbia mai raccontato di aver affrontato almeno un Uragano con tutta la tela a riva ed in più di averci aggiunto anche il servizio completo di asciugamani che aveva a bordo? Mai! E mai saprete che invece la sua grande impresa era stata un maledetto incubo dal quale è fuggito a motore e con tutte le mani di terzaroli possibili, almeno cinque! Che alla fine dell'esperienza, se non ha già svenduto la barca, avrà fatto giurare col sangue ai suoi compagni, ancora stravolti, che è stata una vera impresa. Altro che Capo Horn!
E' gente suscettibile, questi velisti, nel cui Clan non sono ammessi i pavidi, anche se questi sarebbero giudicati dalla gente comune solamente dei tipi prudenti. E, poi, hanno un vocabolario così elitario che certi sono in grado di farsi passare per stranieri anche nel loro stesso circolo velico.
Quando sono al timone delle loro barche invelate, forti dei loro diritti di precedenza (unica regola certa incisa a fuoco nelle loro coscienze), sono in grado di sfidare chiunque, portaerei comprese. "Voglio l'acqua che mi spetta, attento a te se mi speroni! Non credere che le tue 100.000 tonnellate mi facciano paura!"
A mio parere, sono convinti che mostrare il bianco delle vele sia lo stesso che fregiarsi della Croce Rossa sul campo di battaglia!
I velisti sono permalosi e cocciuti. Guai superarli a vela, anche inconsciamente, è una grave offesa. Da marinai a zonzo si trasformano in regatanti assatanati. Cazzano, stringono, urlano con le vene del collo che scoppiano impartendo gli ordini e se potessero distribuirebbero punizioni corporali come tanti capitani Blight. Offesi nel loro orgoglio, devono assolutamente riprendervi e superarvi a loro volta, ingaggiando una regata al limite del disalberamento. Molti accettano la sfida che giustamente si dovrebbe trasformare in una piacevole tenzone per la gloria della vela e del miglior timoniere, pochi restano indifferenti e si lasciano raggiungere e superare.
Male, molto male, perché questi rimangono delusi e non lo ammettono continuando imperterriti la loro regata fino al momento in cui, giunti al vostro traverso, sopravvento, pance in dentro, muscoli tesi e scotte brucianti strette nei pugni possenti, vi superano facendo finta di non vedervi. Felici e imperturbabili, vi ignorano smaccatamente come se foste trasparenti, ma si sa che sono gongolanti per aver salvato la dignità e l'onore della loro barca.

I motoscafisti, come i velisti, sono anche loro dei tipi particolari e non vanno dimenticati. Molti sembrano automobilisti in preda al "raptus dell'acceleratore folle". Rombo di motori, frenesia di correre, curve in dérapage, dove la schiuma del mare sostituisce la pioggia di ghiaia nelle curve sterrate dell'Isola d'Elba durante un rally. E' gente alla quale il silenzio porta sconforto, la calma è sintomo d'età senile e il mare è un'autostrada di loro proprietà privata. A differenza dei velisti che possono solamente "passeggiare" bordeggiando in relax, per i motoscafisti è indispensabile avere una meta che va raggiunta prima possibile, immediatamente!
Sia per i velisti sia per i motoscafisti, spesso, a meno che non abbiano una patente nautica e quindi la conoscenza delle norme che regolano gli abbordi in mare, il loro incrociarsi crea situazioni da roulette russa. Escludendo coloro che ignorano completamente le altre barche e che continuano imperterriti sulla loro rotta come se fossero soli in mezzo all'Oceano Pacifico, ci sono quelli della serie: "Incontri ravvicinati del terzo tipo". Se i loro pensieri fossero visibili come i fumetti nelle storie di Topolino, leggerli sarebbe più emozionante che assistere ad una sfida tra due campioni mondiali di box.
"Ti ho avvistato Birbaccione. Stai attento a quello che fai!" - pensa il primo che, stringendo con forza maggiore la ruota del timone, già inizia a provare per l'altro una punta d'antipatia.
"Ma dove di credi di andare?" - pensa l'altro, indurendo lo sguardo, mentre con la mano si ripara gli occhi dalla luce accecante del sole - "Vuoi vedere che questo marinaio da strapazzo si crede l'unico padrone del mare!"
Lo spazio tra le barche diminuisce e i due iniziano, ognuno per se, a rimanere coinvolti emotivamente in una sarabanda di pensieri, quesiti, dubbi. Entrambi assolutamente certi del loro diritto di rotta, iniziano contemporaneamente a seguire dei percorsi tentennanti, un po' di qua, un po' di là. Sguardi torvi s'intrecciano tra una barca e l'altra come se fossero i comandanti di due galeoni che si scambiano bordate di palle incatenate. Ma il mare è grande e gli spazi non sono delimitati dai cordoli dei marciapiedi e, più per fortuna che per volontà, a pochi metri l'una dall'altra, le due barche s'incrociano senza entrare in collisione. A questo punto i due Comandanti si lanciano l'ultimo sguardo di fuoco, l'ultima bordata di pensieri inverecondi, poi, si allontanano nuca contro nuca, ognuno convinto che l'altro è un incompetente, un marinaio da vasca da bagno.
Chi ha scritto che la fortuna arride agli audaci, certamente non frequentava i diportisti i quali, più incompetenti sono, più godono del favore delle divinità del mare. Forse dipenderà dai loro Angeli Custodi, gente provata a tutte le emozioni e con un potere di tutto rispetto.

Si è già precisato che chi si mette alla fonda lo fa per stare tranquillo, ma allora perché coloro che arrivano più tardi danno fondo a pochi centimetri dai primi, come se il punto dove gettare l'ancora dipendesse solamente dal caso e non è conseguenza di una ponderata decisione? Perché affiancarsi a barche dove il silenzio regna, santa conseguenza del sonno dei giusti? Possibile che il concetto di "distanza di cortesia" abbia tanta difficoltà ad essere applicato, ancor meno che alle poste, oppure in banca? Perché volere a tutti i costi rendere partecipi gli altri della gioia dei propri bambini dediti al campionato di tuffo urlato? E i pranzi conviviali tra forti esclamazioni e richiami per sopraffare il volume troppo alto della radio? Si devono pure informare tutti quelli che stanno sottovento del proprio menù e se qualcuno non l'ha ancora capito dall'olfatto, si può mostrare gli avanzi portati dalla corrente, tanto il bagno è già stato fatto! Tutto ciò finché non si decide che è il proprio turno per la pennichella e solo allora scende il silenzio. E' il momento in cui si risvegliano i diritti di tutti, soprattutto di coloro che prima li hanno ignorati.

Stare ormeggiati in banchina è un momento particolare. Ci si riposa, si fa ordine e pulizia, si allacciano amicizie con i vicini di barca, si può scendere e fare acquisti, due passi, insomma una vacanza nella vacanza. E' pur sempre relax. Anche in quest'occasione c'è chi si fa notare arrivando per ultimo a tutta birra e facendo democraticamente ballare il ballo di San Vito a tutte le barche ormeggiate. Poi, comincia l'operazione d'attracco: matasse di cime in acqua, ancore coperte nonostante il gesticolare dei legittimi proprietari e per ultimo l'arrembaggio con il mezzo marinaio usato come un grappino d'arrembaggio, agganciato con forza alle draglie, ai cavetti dei parabordi, alla falchetta, come se perdere la presa avesse per conseguenza il precipitare in un abisso senza fine. O si resta attaccati o si muore! L'attracco è il momento in cui si scopre di che tempra è l'equipaggio, quello degli altri ovviamente.
Ci sono quelli che arrivano impreparati, come se l'unica operazione da fare è quella di spegnere il motore e stapparsi una birra fredda. Cavi d'ormeggio, parabordi e mezzo marinaio riposano beatamente nei gavoni e sono recuperati all'ultimo secondo, momento in cui scoppia l'impellente necessità di avere a disposizione qualcosa per legarsi, afferrarsi, insomma vincolarsi ad un solido e fermo sostegno, come una banchina.
Forse un giorno qualche anima portata per le innovazioni convincerà sia le marine sia i cantieri nautici a munire le banchine e le fiancate delle barche con delle strisce di velcro. Uno arriva, si appoggia al molo e, spento il motore, può stapparsi beato una birra!
Ma non è così e allora assistiamo a scene apocalittiche dove Capitani a rischio di ictus sbraitano alla moglie ed ai figli mentre questi a prora tentano disperatamente di sbrogliare uno scupidù di cavi d'ormeggio aggrovigliati, tentano di abbatterlo con un colpo in fronte mentre sfilano dalla tuga il mezzo marinaio, oppure ciondolano sulla coperta nel disperato tentativo di portare tutti i parabordi assieme.
Il lancio del cavo a terra è il momento più esaltante ed avviene sempre di fronte ad una moltitudine di spettatori scettici. Lanci che raramente raggiungono distanze maggiori di qualche centimetro. Lanci e affannosi recuperi si ripetono nell'arco di secondi che sembrano ore. I nervi si tendono più dei cavi stessi e già tra la folla c'è chi commenta negativamente la durata del matrimonio del Capitano. Una lite durante un ormeggio è in grado di sgretolare le fondamenta di un matrimonio più di un flagrante reato d'adulterio!
Alcuni hanno un concetto degli spazi assolutamente personale, sono convinti che una barca larga tre metri è in grado di infilarsi in un ormeggio appena sufficiente alla canoa dell'ultimo dei Moicani. Caparbiamente certi che la barca ci deve entrare, spingono e tirano tanto che i parabordi sembrano scoppiare.
Cercare di spiegare loro che l'operazione è contraria e tutte le regole che governano la fisica dei corpi solidi è inutile. Sembra che non si desideri averli per vicini, condannandoli ad un eterno peregrinare per i mari in balia dei marosi, loro e il loro provato equipaggio!
Una volta che l'ormeggio è conquistato, iniziano i lavori di rito mentre tutti vorrebbero scappare a terra. Dopo che hanno sfidato la natura e la fisica, ora "devono" fare ordine. Iniziano subito da un lavaggio generale della loro e altrui coperta, poi sistemano per bene i cavi d'ormeggio (i più pignoli che marinai, li avvolgono a spirale in coperta come tappetini sui quali e doveroso non camminare), quindi, piegano le vele con cura maniacale come se fossero le lenzuola di merletto della nonna, armano le tendaline da sole e così via.
Sembra che preparino la Viribus Unitis per il genetliaco dell'Imperatore Francesco Giuseppe. Tutto lustro e in ordine. Infine, danno inizio alla cerimonia del Gran Pavese dove boma, draglie e ogni altro appiglio disponibile, sfoggia asciugamani, costumi da bagno e magliette o, peggio, canottiere color singhiozzo di pesce e pedalini color pancia di monaca.
Le immondizie che per carità cristiana non sono già state date in pasto ai pesci (notoriamente ghiotti di scatolame vuoto, contenitori di detersivi, e ogni altro possibile pattume) sono lasciate avvolte in un minuscolo sacchetto di plastica tipo tanga, preda di mosche e vespe a prora sulla coperta, nella attesa che il primo fortunato in franchigia lo getti in un cassonetto.
La sera, infine, spuntano dalle tughe quelli che vanno a cena in ristorante. Educatamente salutano i vicini di barca, augurano buon appetito a quelli che stanno mangiando seduti in pozzetto e, quasi scusandosi per il menù che li attende, timidi, se ne vanno. Ma tornano e quando lo fanno è un avvenimento che coinvolge tutta la marina.
Abituati al volume di voce che dovevano usare per comunicare tra loro al ristorante, arrivano presso la barca quando la marea nel frattempo è calata. C'è chi "tira" la cima per avvicinare la barca e chi, per mancanza di ritmo ed eccesso di vino, non si decide a saltare. L'operazione può richiedere molto tempo, con vivaci discussioni, fragorose risate e litigi familiari e la sua durata è direttamente proporzionale alla quantità di vino bevuto a cena.
Una volta terminato l'imbarco, iniziano i preparativi per la notte, a volte preceduti da quattro chiacchiere in pozzetto per l'ultimo bicchiere. La notte galeotta nella marina addormentata, amplifica tutti i rumori per la buona pace di tutti che avranno quindi l'ultima irrinunciabile soddisfazione d'essere partecipi dei loro fatti privati.

Va bene, ve ne do atto, ho esagerato. Sono stato indifferente al bisogno innato dell'uomo di fare tribù, di cercare compagnia, la vicinanza dei suoi simili. Si deve essere tolleranti, il mare fa tutti fratelli. Chiedo scusa per l'ironia, per le cattive opinioni, ma siamo onesti, costa così poco rispettare gli altri, basta pensarci appena e dividere la gioia del mare senza farne una ricchezza a proprio esclusivo piacere.
Ci sono poi delle semplici "regolette" e consigli da considerare come etichetta di bordo. Prima di tutto, le regole riguardanti le bandiere: non sono imposte sulle barche da diporto, ma certo non sarebbero da ignorare, e poi fanno tanto "barca vera". Altra regola è quella che deve adottare il Comandante il quale, in presenza di ospiti, deve sempre salire a bordo per primo e scendere per ultimo; è lui che a bordo deve riceverli, mentre deve sovrintendere al loro sbarco e, responsabile assoluto della barca, scendere dopo che l'ormeggio sia terminato e sicuro.
La prima volta che tale incombenza è toccata a me, da novello Comandante, mi sono sistemato sull'estrema prora a ricevere gli ospiti, agevolando il loro passaggio sulla passerella. Per ultima è salita una signora "robusta" che, caparbia, ha voluto portarsi appeso alla spalla un borsone da bagno voluminoso e pesante come un armadio.
Giunta a metà passerella si è fatta assalire dalla crisi del "funambolo tentennante". Si è bloccata mentre la passerella di legno iniziava a tremolare come le ginocchia della mia ospite ed a piegarsi gemendo sotto il peso non indifferente. Indecisa se proseguire, oppure retrocedere, la signora ha iniziato a mugolare richiamando l'attenzione di tutti i presenti.
L'intera marina si è immediatamente divisa in quelli a favore del proseguimento ed in quelli propensi per un dignitoso ritiro e in pochi attimi c'era già chi raccoglieva scommesse. Io, nel frattempo, cercavo di rincuorarla e la invitavo ad avanzare quel tanto sufficiente ad afferrare la mano che gli tendevo.
La signora, ormai in piena crisi, mi guardava terrorizzata tremando tanto che le vibrazioni interessavano ormai tutto lo scafo, poi di scatto ha allungato il braccio libero e sporgendosi in avanti mi ha afferrato il polso, quindi, gridando "Non ce la faccio!", ha deciso di fare retromarcia per ritornare sulla banchina e mi ha letteralmente strappato via dalla barca e trascinato con lei sulla passerella.
La vita è pur sempre un affare di pesi e misure e per quanto si può pensare esoterico, la fisica non si può ignorare. La passerella stremata da tanta abbondanza di ospiti, anch'io sono un tipo "robusto", con un rumore secco di legno spezzato ha ceduto ma non senza una testarda resistenza e noi, abbracciati come i due fidanzatini di Peynet, siamo lentamente affondati nell'acqua limacciosa del porto.
Vi lascio immaginare il parapiglia creato dai soccorritori e da una moltitudine di presenti sghignazzanti, mentre io cercavo di tenere a galla la signora e la su borsa tipo camper. E' stata la bassa marea creata da tutta l'acqua che mi sono bevuto a permetterci di sopravvivere e raggiungere le scalette di pietra della banchina. Insomma, un'esperienza da non dimenticare, soprattutto quando si compila la lista degli ospiti.
Altra regola da tenere in considerazione è quella che a bordo non si devono indossare le scarpe, e per scarpe intendo quelle da passeggio con la suola di cuoio, oppure gli zoccoli di legno. Non è solamente una questione di pulizia della coperta, ma di sicurezza, infatti, il cuoio scivola e così gli zoccoli che potrebbero produrre delle slogature alle caviglie.
A mio avviso stare a piedi nudi è certamente comodo e fresco, ma andando a vela o durante le manovre di attracco, sarebbe meglio indossare delle scarpe da barca, oppure quelle da ginnastica con le spighette legate molto strette e senza "fiocconi" al vento. In manovra, i piedi nudi possono scivolare sulla coperta bagnata, inoltre hanno la deprecabile abitudine di entrare in collisione solamente con le attrezzature più taglienti e resistenti, come i golfari, le castagnole, i tornichetti delle sartie, e ogni altro spuntone degno di essere utilizzato come aculeo in una Vergine di Norimberga.

Ritornando agli ospiti, questi sono sacri e a loro è concessa l'ignoranza del vocabolario di bordo, la poca pratica nelle manovre, la loro inefficienza. Poco male, un bravo Comandante cerca di metterli a loro agio e con cortesia li istruisce, dando loro soddisfazione e con il tempo ottenendo anche un valido aiuto. Purché non sia un tipo nervosetto, ultimo "Barba" rimasto a comandare una barca negriera, dove gli sbagli non sono ammessi, la lentezza di esecuzione punibile con raffiche di improperi e gesti minacciosi.
Se è una barca dall'atmosfera "pesante" e in odore di ammutinamento si capisce dalla velocità di sbarco degli ospiti e dell'equipaggio quando la sera si rientra all'ormeggio, pochi commenti e frettolosi saluti. Ma a compensare le qualità di un buon Comandante sono necessarie anche alcune qualità degli ospiti e non da meno dell'equipaggio.
Chi usa qualcosa a bordo deve poi riporla al suo posto, mentre chi sporca deve pulire. Chi riceve un incarico deve svolgerlo e non passarlo ad altri. Chi riceve un ordine dal Comandante deve eseguirlo e non contestarlo con pareri contrari o peggio rifiuti, iniziando fastidiose discussioni.
E' indubbio che se in una barca a remi c'è uno che voga contro, difficilmente sarà gratificato della simpatia degli altri. Ospiti o equipaggio sulle piccole barche non hanno grandi distinzioni, tutti devono collaborare, fa parte del divertimento. Chi desidera salire a bordo di una barca altrui deve innanzi tutto chiedere il permesso e solamente dopo averlo ottenuto, badando di non sporcare con le scarpe e ringraziando, s'imbarca. Non si sale su di una imbarcazione senza che a bordo non ci sia già qualcuno, a meno che si sia stati preventivamente autorizzati. Si può salire in caso di emergenza quando la barca lasciata incustodita sta subendo dei danni perché le cime d'ormeggio hanno mollato, o altre situazioni eccezionali, con il rischio di danni alla barca o a quelle vicine.
Un vero marinaio non ama solamente la propria barca, ma ogni barca indistintamente.

Le crociere con ospiti sono il vero banco di prova dell'amicizia, esperienze indimenticabili che lasciano piacevoli ricordi, oppure che sono archiviate sotto la "C", C come Calvario. Le crociere in comune non si possono improvvisare ed è doveroso conoscere bene coloro con i quali s'intende passare una o più settimane assieme. Ricorda un po' il matrimonio. Conoscere il coniuge prima della cerimonia è indubbiamente importante, in ogni caso anche nel matrimonio capita che, una volta sposati, il compagno o la compagna si trasformi come il Dr Jekyl in Mr. Hide.
Anche in auto si viaggia assieme, ma con l'auto è facile liberarsi dei passeggeri. E' sufficiente fermarsi per un momento vicino al marciapiedi, pregare l'ospite di scendere a controllare una possibile foratura e poi ripartire in quarta lasciandolo a terra. Dalla barca è molto più difficile, a volte impossibile. E' così che a mio avviso si creano i navigatori solitari. Forse Joshua Slocum si è fatto il giro del mondo con lo Spray per scrollarsi di dosso il ricordo di una crociera con ospiti.

Nel mio passato affiora un'unica occasione dove mi sono impegnato in una crociera con ospiti, infatti, è stata la prima e l'ultima; la prima perché l'inesperienza si può giustificare e l'ultima perché la perseveranza, No.
Precisiamo prima di tutto che non mi ritengo un orso e che i miei ospiti si sono divertiti e tutto è filato liscio anche se il tempo è stato inclemente. Nessuna amicizia si è rovinata e alla fine, tirate le somme, per gli ospiti è stata un'esperienza dalla quale hanno ancora un buon ricordo, e ne sono giustamente soddisfatto, ma a che prezzo!
Era una coppia di giovani, gentili e simpatici, di vera compagnia, ma con un concetto delle crociere più appropriato a quelle che si ammirano nei telefilm di "Love Boat".
In navigazione relax, abbronzature e tanta crema da sole, una quantità impressionante, sufficiente a spalmare tutti i passeggeri di una nave da crociera. La coperta ne era, scusate il bisticcio, interamente coperta e per andare a prora a cambiare un Genoa, scavalcando i loro corpi distesi nei punti più impensabili, si era costretti a veri percorsi di terrore. Era un'impresa disperata, da campioni di pattinaggio.
Convinti che quella era una vacanza d'assoluto rilassamento, infatti, per loro lo era, la mattina dormivano fino a tardi, in pratica fino a mezzogiorno. Imbarazzante per uno come me abituato a svegliarsi all'alba e bere il caffè nella gamella, seduto in pozzetto a godere della pace dell'insenatura. Ammirare i primi gabbiani, il salto di qualche pesce, oppure osservare il porticciolo che lentamente si risveglia, i pescatori che ritornano, i primi compagni di altre barche che spuntano dalle loro tughe con gli occhi cisposi, spettinati, sbadigliando come trichechi e scambiarsi un cenno di saluto con la mano. E poi scendere sul molo per sgranchirsi, oppure lavarsi in pozzetto, fare un po' d'ordine e prepararsi a mollare gli ormeggi in cerca di qualche baia tranquilla, prima che il sole sia troppo alto e l'aria troppo calda.
Ma come si fa se in cabina c'è chi dorme saporitamente, se ad ogni passo la coperta scricchiola, se la caffettiera borbotta, la gamella batte su di una compagna e sembra una campana e la radio con le previsioni meteo deve rimanere spenta. Impossibile. Non rimane che scendere subito a terra, oppure, se ci si trova alla fonda, cercare la massima immobilità seduti in pozzetto con la smania di fare, il tempo che passa e gli altri che, mollati gli ormeggi, ti salutano e se ne vanno. Una sofferenza per sopportare la quale si dovrebbe fare un corso intenso da frate trappista. Per di più, i miei ospiti erano i signori della notte, veri nottambuli che non comprendevano che la sera uno come me, che per tutto il giorno aveva fatto il marinaio, è stanco e dopo cena e due chiacchiere in pozzetto, con un buon libro, si imbusta dritto in cuccetta e si addormenta felice.
No, loro amavano il ballo e nei porti, lui in giacca e cravatta e lei in lungo e tacchi alti, andavano all'arrembaggio di tutti i possibili locali notturni. Rientravano ben dopo mezzanotte tutti felici e se noi rimanevamo a bordo, io in particolare, dovevo attenderli per aiutarli ad imbarcarsi, ma non finiva qui. Cosa fa una giovane coppia dopo una bella serata fuori se non coronarla facendo l'amore? Allora diventava una questione di privacy e per non essere indiscreti e invadenti, noi dell'equipaggio ci sentivamo in dovere di fare due passi sul molo con la scusa dell'ultima sigaretta nell'attesa che l'illuminarsi della tuga ci avverta che era tutto finito e si poteva finalmente andare a dormire.
Anche l'ordine delle cose a bordo lasciava a desiderare. Si sa, il mare mette appetito e così la coppia ad intervalli di mezz'ora si preparava una robusta merenda. Si eclissava sotto coperta dove si arrabattava ad edificare panini da giganti, poi si ritirava a prora a saziarsi per la mezz'ora successiva. E nella tuga? Una Waterloo! Briciole, vasetti, scatolame, piatti e posate impiastricciati. Sembrava la cucina di una trattoria alla fine d'un pranzo di nozze con cinquecento invitati.
Una volta, andando a curiosare da basso ho trovato il panetto del burro, ormai squagliato, dimenticato su di uno scalino dell'entrata. Ve lo garantisco e potete suggerirlo anche a Gustavo Tomba, da ottimi risultati sotto i piedi, meglio della sciolina sotto gli sci! Comunque da bravo ospite ho lasciato correre e stringendo i denti per il dolore al fondo schiena, ho pulito tutto ma, resti tra noi, per un momento ho guardato con desiderio lo stipetto dove tenevo la pistola Very.
Per non parlare dei momenti in cui si veleggiava. Lei, una bella ragazza, adorava il sole e come una salamandra si sistemava sulla tuga a goderselo tutto e non sopportava se la randa, oppure il Genoa, s'insinuavano tra loro creando anche il pur minimo pezzetto d'ombra. Non potendo sopportare di ascoltare tanta bellezza che si lamentava a causa di quella "tenda" fastidiosa, ero costretto a cambiare mura e direzione, regolando diversamente le vele. Aveva poi l'abitudine di appendere il reggiseno del costume nei posti più impensabili, la cosa in sé non era assolutamente sgradevole, anzi, ma ricordo la volta in cui l'aveva legato con una spallina alla drizza del Genoa. Al momento di sostituirlo con uno maggiore, ammainandolo, il reggiseno è partito in varea andando ad ingarbugliarsi con una sartiola della crocetta superiore.
Mai visto un nodo tanto resistente, tanto che sono stato costretto ad arrampicarmi sull'albero per liberarlo e recuperare l'indumento.
Evviva le crociere in compagnia! Ma ricordatevi di cercare sempre amici con la loro barca e se proprio non sopportate di stare separati da loro, compratevi un comodo catamarano con due scafi indipendenti e che ognuno sia autosufficiente!
Forse sono proprio un orso.

paolo carbonaio




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